
L'Italia sta riaprendo il dialogo con Abdel Fattah Al Sisi interrotto da Marco Minniti. Il suo appoggio è cruciale per fermare i tentativi francesi di assumere il controllo del Maghreb. La strategia prevede meno traffico di uomini e più petrolio.Le cose cambiano in fretta. In Europa e soprattutto nel Mediterraneo le relazioni diplomatiche stanno assistendo a un effetto cascata. È bastato rompere lo schema delle Ong che traghettano gli immigrati per aprire più tavoli, tutti dedicati ai problemi della Libia e del Medioriente. Il tema dei confini ha messo fortemente in crisi la stabilità politica del Bundestag, tanto più che ieri pomeriggio il presidente statunitense Donald Trump ha messo il carico da undici. In un tweet si è rivolto alla cancelliera tedesca Angela Merkel scrivendo che «sull'immigrazione la Germania le si sta ribellando». La bastonata è caduta a fagiolo perché assestata poche ore prima dell'incontro tra la cancelliera e il premier italiano Giuseppe Conte. Ma il rinnovato interesse degli Usa al Sud del Mediterraneo apre per l'Italia nuovi scenari. La rottura dei rapporti con il presidente dell'Egitto Abdel Fattah Al Sisi consumatasi dopo l'omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore dell'università di Cambridge coinvolto in attività di intelligence (non italiana), si appresta finalmente a essere reversibile. Non solo, perché Matteo Salvini, ministro dell'Interno, si è espresso a favore. Ma anche perché la politica estera nell'area si sta riallineando con quella del nostro colosso energetico, l'Eni. L'enorme giacimento di Zohr in mano al Cane a sei zampe necessità di strategie congiunte con i russi e ovviamente con gli stessi egiziani. Mentre cozza profondamente con gli interessi turchi. La frattura che si è consumata con Ankara a febbraio, dopo l'allontanamento dalle acque turco-cipriote della nave di Saipem, impone una forte sponda locale, che altro non può essere che quella di Al Sisi. La stessa sponda si estende in Libia. Al momento non è immaginabile dialogare con l'ex nazione di Muhammar Gheddafi senza avere le spalle coperte dagli egiziani. Solo in questo modo il governo italiano potrà riaprire il dialogo che la strategia di Marco Minniti, predecessore di Salvini al Viminale, aveva interrotto favorendo l'egemonia dei francesi. Il prossimo 28 giugno a Vienna si terrà una conferenza tra Europa e Libia e sarà l'occasione per cambiare registro. Negli anni passati Roma ha dialogato solo il governo di Tripoli e ha cercato di tenere buone le milizie di Misurata con la logia delle dazioni economiche. Il generale Khalifa Haftar, vicino a egiziani, francesi e russi, ha acquisito sempre maggiore potere e ora si appresta ad avere un nuovo partner oltreoceano. La prossima settimana il suo esercito dovrebbe portare a termine la riconquista definitiva della città petrolifera Derna, nel Nord della Cirenaica. E a quel punto potrà dedicarsi alla presa del terminal di Ras Lanuf, nel Golfo di Sirte, conquistato dai soldati di Ibrahim Al Jadhran (ex comandante della guardia petrolifera libica), in questi giorni sotto il fuoco dei droni americani gestiti dal comando Africom. Segno che Donald Trump non è più intenzionato a ignorare i destini del greggio libico. In questo contesto l'Italia si ritrova con il vento a favore proveniente dalla Casa Bianca e con il rinnovato interesse di dialogo di Al Sisi. Se in Libia tornano i soldi del greggio sarà più facile limitare il business del traffico di uomini. Ma prima di ciò, servirà un consesso internazionale che garantisca due pilastri. Il primo è la gestione dei flussi finanziari da parte della Banca centrale libica. Le percentuali di riparto tra Tripoli, Misurata e Tobruk rispecchiano gli equilibri del 2012. Ora le cose sono cambiate. Il secondo pilastro, già espresso dai libici in diversi consessi internazionali, è il ritorno all'unità. I francesi nonostante le apparenze non sono convinti. L'Italia, al contrario, potrebbe intestarsi la nuova strada dell'unificazione. Tanto più che il nuovo scenario potrebbe favorire l'Eni che non vede l'ora di rifare il punto sulla produzione petrolifera. A indicare che le acque del Mediterraneo stanno ribollendo è l'iniziativa organizzata per metà luglio. Le principali tribù della Libia si incontreranno in luogo neutro. Inizialmente, secondo quanto risulta alla Verità era prevista Milano come città ospite, ma la scelta dovrebbe ricadere su Francoforte. Tutto però porta nella medesima direzione: quella del ritorno non tanto alla Gran Giamahiria di Gheddafi ma a una Libia unita.
Fabio De Pasquale (Ansa)
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