2021-07-13
Una Nazionale identitaria. Ma Mattarella rovescia il Tricolore
Trionfo dell'11 con meno quote «straniere» e più entusiasmo nel cantare l'inno. Peccato per la gaffe tricolore di Sergio MattarellaMettiamola così: oltre che una lezione di calcio al continente, gli azzurri più identitari di sempre impartiscono una lezione di patriottismo alle istituzioni. E prendono a pallonate, dopo i sogni di gloria degli inglesi, la retorica di chi voleva trasformare l'Europeo in uno spot per le società meticce. I 26 di Roberto Mancini sono praticamente «monocolore»; la convocazione degli oriundi brasiliani, Emerson Palmieri e Jorginho, non è stata concepita come un tributo all'etnicamente corretto; eppure, la squadra ha sotterrato le ben più blasonate formazioni da melting pot. E ha portato a Roma la coppa che mancava da mezzo secolo. Clamoroso, anzitutto, è lo iato tra l'orgoglio dei campioni nel gridare, più che cantare l'inno, e la foto con il tricolore al contrario, scattata a Sergio Mattarella e Valentina Vezzali, accanto al tennista Matteo Berrettini e a Evelina Christillin, membro aggiunto dell'Uefa. Nemmeno la cura di sistemare la bandiera a favor di camera, mettendo il verde alla sinistra dell'obiettivo. Saranno stati in preda a emozione e concitazione, ma possibile che né il presidente della Repubblica né il sottosegretario allo Sport, che di vessilli sventolati nei tornei ne sa qualcosa, si siano resi conto della gaffe? Non era scontato che questa Nazionale dovesse sembrare la più innamorata del Belpaese. Fino a una ventina d'anni fa, sulla stampa infuriavano le polemiche contro i calciatori che non cantavano l'inno. Ieri, i reduci del trionfo a Wembley, con il valoroso Berrettini, l'hanno intonato anche al Quirinale. Le performance canore degli azzurri hanno appassionato gli utenti di tutto il mondo su Youtube, che trabocca di video, da centinaia di migliaia di visualizzazioni, con titoli eloquenti: da Italian most passionate national anthem against Turkey (Il più appassionato inno italiano contro la Turchia), a Why italian players belt their national anthem? (Perché i giocatori italiani cantano a squarciagola il loro inno nazionale?), in cui la grinta dei nostri viene contrapposta alla moscia reazione di altre squadre, in quei momenti solenni. E alla faccia degli Stati che sono passati di moda, della mobilità globale come valore morale, delle glorificate metropoli internazionali, il ct Mancini ha voluto dedicare la vittoria «in particolare» ai connazionali «che risiedono all'estero». Poi, c'è la goleada rifilata da questi azzurri identitari ai fanatici del «multiculti». A un paio di giorni dalla finale, Beppe Severgnini twittava la foto dell'undici inglese, con la scritta «England without immigration» («L'Inghilterra senza immigrazione») e i volti cancellati degli assi non proprio cockney: a parte il giamaicano Raheem Sterling, erano cassati altresì Harry Kane e Harry Maguire, per via dei loro antenati irlandesi. Ma come dimenticarsi i titoloni sul Belgio, fortissimo perché multientico? «Le diversità sono l'arma in più», scriveva il Corriere, prima che i pallidi Nicolò Barella e Lorenzo Insigne infilassero due volte Thibaut Courtois. E i francesi che, sui social, ci insultavano perché non avevamo giocatori neri forti? Le quote razziali, ai Blues, non hanno portato tanto bene: una squadra di figurine, una collezione di primedonne, umiliata dalla piccola Svizzera. L'ex portierone Fabien Barthez aveva profetizzato: «L'Italia non farà strada». Quindici anni dopo Berlino, abbiamo di nuovo spennato il galletto. Al massimo, col senno di poi, si può supporre che a Mancini avrebbe fatto comodo una punta affamata di reti e fisicamente imponente: un Moise Kean al posto dell'inutilizzato Giacomo Raspadori. Ad ogni modo, quanti trofei abbiamo vinto con Mario Balotelli? Le Nazionali colorate, agli Europei, le hanno prese di santa ragione. La Germania, poi eliminata dagli inglesi, aveva rischiato di uscire perdendo con i cattivissimi sovranisti ungheresi. I francesi sono arrivati agli ottavi per inerzia e, dopo un paio di squilli individuali, hanno fatto la fine che meritavano con gli elvetici. I belgi hanno dovuto rimettere in valigia le loro inesauste ambizioni. I padroni di casa che piacevano a Severgnini, domenica, hanno tirato solo due volte in porta. E avevano scippato la finale a una Danimarca che, salvo rare eccezioni, è etnicamente piuttosto monotona. Tra l'altro, a conti fatti, cos'è rimasto delle sceneggiate in ginocchio? Il campionato l'hanno dominato quelli più «democristiani»: gli italiani che prima se n'erano infischiati, dopo si sono inginocchiati a metà, quindi, tirati per la maglietta da Enrico Letta, non si sono inginocchiati affatto e, infine, hanno tirato il colpo alla botte, sottolineando, però, che di Black lives matter non gliene importava un fico secco.Sarà che lo sport non corre dietro ai tic degli opinionisti chic, ai calcoli pseudoscientifici di quelli che spacciano per amore universale le teorie, quelle sì, razziste, su come migliorare la genetica degli atleti. La palla rotola e così sguscia via dalle manie dei salottini. Il calcio fugge dai propagandisti politici. E, finalmente, torna a casa.
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare della Lega Roberto Vannacci durante un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles.