2022-07-21
Letta sognava di umiliare la destra ma si ritrova con l’incubo elezioni
Bandiera bianca sul Nazareno. Falliti i tentativi di ingabbiare Mr. Bce e convincere il M5s a votare la fiducia Il Pd ha negato ogni apertura a Fi e Lega, sulle quali ha provato poi a scaricare la responsabilità della crisi.Falliscono uno dopo l’altro i piani del Pd di Enrico Letta, che (se tutto andrà come sembra, senza imprevedibili colpi di scena finali) pare destinato a misurarsi proprio con lo scenario che aveva fatto di tutto per evitare, e cioè quello delle elezioni a breve. E cosa rimane in mano al segretario del Pd? Una goffa e discutibile operazione volta a infilare a Mario Draghi la maglietta del centrosinistra, dopo aver consigliato il premier nel modo più autolesionistico. A ben vedere, si tratta di un tentativo che viene da lontano, e che però il Pd e i suoi alleati speravano di realizzare senza scivolare verso le urne. Ecco alcuni indizi dell’operazione «acquisitiva». Si pensi, l’altro ieri, all’intervista in cui Bruno Tabacci auspicava apertis verbis una coalizione di centrosinistra ispirata a Draghi. Si pensi, sempre l’altro ieri, all’incontro (non preannunciato) tra Draghi e lo stesso Letta a Palazzo Chigi, un vero e proprio dito infilato nell’occhio del centrodestra. Dopo le proteste di Lega e Fi, era lecito attendersi che Draghi, ieri, si sforzasse almeno di riequilibrare un po’ le cose a favore del centrodestra. E invece - come tutti sanno - nell’Aula del Senato sono venute le provocazioni del premier di ieri, tutte o quasi rivolte contro la destra.Fino al colpo di pistola finale: chiedere il voto a favore della risoluzione di Pierferdinando Casini. Draghi non poteva non sapere che una scelta del genere sarebbe stata esiziale per il governo, e che al tempo stesso avrebbe contribuito al tentativo di spostare la responsabilità della crisi - nella narrazione mainstream - dalle spalle di Giuseppe Conte a quelle di Lega e Fi. Eppure è andato avanti senza fare una piega, facendo sponda ai dem, e adeguandosi ai loro consigli ed esigenze.Ricapitolando, il Pd aveva tre piani. Il primo è totalmente naufragato, ed era quello di una umiliazione assoluta del centrodestra. Secondo la sceneggiatura del Nazareno, Draghi non avrebbe dovuto concedere nulla al centrodestra e questo schieramento - masochisticamente - avrebbe dovuto nonostante tutto chinare il capo e dire sì. Nessuna sostituzione di Luciana Lamorgese e Roberto Speranza, nessuna concessione programmatica, niente di niente. Da dove il Pd traesse la convinzione di un centrodestra totalmente sottomesso e inerme, non è chiaro.In questo senso, rivendendo alla moviola il film politico di ieri, si resta colpiti dall’arroganza del Pd e dal senso di hybris che Letta deve aver trasmesso anche a Draghi. A un certo punto, infatti, sarebbe bastata una ragionevole apertura al centrodestra (sul no ai grillini per un nuovo esecutivo, o sui ministeri chiave, o sull’agenda programmatica) per scrivere un esito diverso. E invece il Pd ha scientificamente lavorato perché quell’apertura non ci fosse. E allora è scattato il secondo piano. Se crisi doveva essere, l’obiettivo del Pd è diventato darne la «colpa» alla destra, provando a depotenziare il ruolo del M5S nella genesi dello sfascio della maggioranza. In questo l’«arruolamento» (mediatico e di immagine) di Draghi era decisivo: per presentarlo come vittima della «destra cattiva». Il terzo piano del Pd era una variante (abbastanza disperata, a onor del vero) del secondo. Da subito, drammatizzare ogni emergenza reale o presunta, ricominciare con il «rischio spread», nella speranza di tentare in extremis di non sciogliere le Camere, e tenere la legislatura artificialmente viva. Come detto, a meno di colpi di scena, ognuno di questi piani è fallito. Cosa resta allora? Per un verso, sperare in defezioni nel centrodestra (ma per ora non si va oltre i casi di Maria Stella Gelmini e Andrea Cangini); per altro verso, tentare l’impossibile per salvare il cosiddetto «campo largo».Nel pomeriggio di ieri, infatti, prima Dario Franceschini e poi il duo Enrico Letta-Roberto Speranza erano stati a colloquio con Giuseppe Conte. Non sono riusciti a convincerlo alla capriola finale (cioè far votare ai suoi senatori la mozione Casini), e così hanno inevitabilmente compromesso anche una prospettiva di alleanza. Parafrasando la celebre citazione: potevano scegliere tra campo largo e unità nazionale, e hanno perso entrambe le cose. Nella serata di ieri, una malinconica nota di fonti del Nazareno issava bandiera bianca: il Pd si dichiarava «orgoglioso di aver sostenuto il governo Draghi», definiva la giornata di ieri «drammatica», e accomunava nella responsabilità da una parte Lega e Fi e dall’altra il M5S. Un Letta incendiario parlava invece di «un giorno di follia in cui il Parlamento» aveva deciso «di mettersi contro l’Italia».Certo, chissà se qualche voce coraggiosa metterà in fila tutti gli errori di Letta (e del suo predecessore Nicola Zingaretti): puntare su Conte («punto di riferimento dei progressisti»), restare attaccati ai grillini, non offrire alcuna agibilità a Lega e Fi nella maggioranza di unità nazionale. Resta infine un interrogativo (per lo meno legittimo) sul ruolo giocato in tutta questa vicenda da Sergio Mattarella: semplice spettatore o qualcosa di più?
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