2022-09-27
Letta richiama i grillini al capezzale del Pd
Il segretario dem annuncia l’uscita di scena dopo aver accusato Giuseppe Conte e Terzo polo: «Colpa loro il naufragio del campo largo». Poi lancia la volata a Elly Schlein suggerendo il ritorno dell’alleanza giallorossa. Ma anche Stefano Bonaccini adesso scalda i motori.Più lagna continua che lotta continua. Un Enrico Letta particolarmente lamentoso e in cerca di alibi, scusanti e diversivi si è presentato in conferenza stampa ieri alle 11.30, più di mezza giornata dopo la chiusura delle urne. E invece di squadernare un minimo di analisi critica rispetto agli errori commessi dal Pd, si è messo a distribuire colpe da tutte le parti. I due principali imputati nella ricostruzione lettiana? Per un verso, il M5S, per aver fatto cadere il governo di Mario Draghi; per altro verso, il cosiddetto terzo polo (in realtà il quarto, in base ai numeri), per aver impedito una più vasta alleanza alternativa al centrodestra.Prima di tutto, però, Letta non ha rinunciato alla formula infelicissima che già la notte precedente era stata messa in campo – in una luttuosa dichiarazione post voto – da Debora Serracchiani: «Oggi è un giorno triste per l’Italia e l’Europa. Gli italiani hanno scelto la destra». Curioso incipit per il segretario di un partito che si definisce «democratico»: se gli elettori si sono espressi, perché definire «triste» quel responso? Al massimo, sarà triste per il Pd: ma non si vede perché debba esserlo per gli italiani che si sono – democraticamente, appunto – pronunciati.Poi, bontà sua, Letta ha definito il risultato «insoddisfacente», salvo subito dopo ricominciare con la solita litania: «Il partito è il secondo d’Italia. Faremo un’opposizione dura e intransigente, con tutte le nostre forze. Siamo capaci di fare opposizione, l’abbiamo già fatta in passato. Non permetteremo che l’Italia esca dal cuore dell’Europa. Non permetteremo che l’Italia si stacchi dai valori europei e da quelli costituenti». Del resto, pure Andrea Orlando ha sciorinato lo stesso mantra, assicurando – non si capisce su quale base – che «le forze democratiche sono maggioranza nel Paese». Con ciò, forzando l’aritmetica e qualificando indirettamente come antidemocratici i vincitori di una libera elezione. Ma torniamo a Letta. Nel suo discorso di ieri, il piatto forte è stata la ricerca – altrove – dei responsabili della sconfitta. Ecco il primo imputato, Giuseppe Conte: «Abbiamo tentato di fare in modo che la legislatura arrivasse alla fine», ha detto Letta, «ma se siamo arrivati al governo Meloni, è stato perché Conte ha fatto cadere il governo Draghi». E qui scatta una contraddizione logica abbastanza evidente: da un lato, Letta celebra il governo Draghi e ne deplora la caduta; dall’altro, finge di non vedere che il voto ha clamorosamente premiato proprio l’unica forza di opposizione a quell’esecutivo, forse non così amato dagli italiani, c’è da ritenere.Dopo di che, Letta ha chiamato in causa il secondo presunto colpevole, e cioè il blocco centrista. Il segretario del Pd, in una specie di training autogeno, ha cercato di convincere i presenti di quanto sia pimpante il suo partito («Il Partito democratico si rivela ancora una comunità viva, è la principale forza di opposizione»). E poi ha aggiunto: «Per questo lavorerà per costruire in prospettiva quello che non è stato possibile questa volta. L’unico modo era il campo largo, l’abbiamo persistito in tutti i modi, ma alcuni interlocutori si sono sfilati. Quindi la coalizione larga non è stata possibile, ma non per colpa nostra».Subito dopo, un altro passaggio curioso sul piano della consecutio logica, quando Letta, che in questo è sembrato determinato a tirare la volata a Elly Schlein, ha apertamente auspicato che, in particolare con i grillini, si riprenda una tessitura. In sostanza, puntando a impegnare il partito, da domani, su quello che non è stato possibile realizzare ieri: «Si dovranno comunque ritrovare le relazioni per costruire una opposizione efficace». E ancora: «Con questa destra, chi verrà dopo di me dovrà lavorare per dare un’alternativa alla maggioranza degli italiani. Non sono mai stato per l’autosufficienza, non sono mai stato per l’isolamento, sono sempre stato per il dialogo. Sia per fare opposizione che per costruire l’alternativa: avremo delle elezioni in primavera e dovremo andare con uno schema che non dia campo libero alla destra». Una specie di autoconsegna ai grillini: e peraltro, visti i risultati, da una chiara posizione di debolezza da parte dei dem.Quanto al suo destino personale, fosse stato per lui, Letta se ne sarebbe andato ieri stesso. Ma ha accettato il pressing della «ditta» per accompagnare il percorso fino al congresso, al quale comunque non si ricandiderà. Altra evidente contraddizione: se le colpe sono solo fuori, come mai lui non si ripresenta? Quanto al futuro congresso, secondo una retorica abbastanza logora, Letta lo ha definito «di profonda riflessione». «Penso», ha aggiunto, «che si debba fare il prima possibile. Mi occuperò di accompagnare in maniera neutrale il partito a questo congresso, a cui non mi ripresenterò come candidato. Non ne sarò il protagonista, ma mi auguro che sia di grande profondità, per capire chi è il Partito democratico e come vuole costruire il futuro».E in vista delle assise, già scaldano i motori la citata Elly Schlein e, come favorito (sostenuto da Base riformista e non solo), Stefano Bonaccini, governatore della stessa regione, l’Emilia Romagna, di cui la Schlein è vicepresidente. Dunque, dovrebbero sfidarsi presidente e vice della stessa giunta? La cosa appare politicamente abbastanza surreale. E ad accrescere l’impressione di situazionismo si affaccia l’ipotesi della candidatura anche del sindaco di Pesaro Matteo Ricci, che ha evocato la necessità di una «sinistra di prossimità». La fase di opposizione del Pd si annuncia lunga, con queste premesse.