2019-02-02
«L’estremista che uccise mio zio è libero e fa il bullo su Facebook»
Enrico Galmozzi, ex Prima linea, irride la polizia sui social. Il nipote di una vittima lo denuncia. Potito Perruggini aveva 12 anni quando un commando di Prima linea ammazzò a Torino lo zio materno, il brigadiere Giuseppe Ciotta. Era il 12 marzo 1977.Anni di piombo, ma anche parole di piombo. Parole che possono diventare insopportabili e illeggibili a chi, in quella folle stagione di furore, ha perso un familiare. Abbattuto in nome della lotta di classe e della rivoluzione. Potito Perruggini aveva 12 anni quando un commando di Prima linea ammazzò a Torino lo zio materno, il brigadiere Giuseppe Ciotta. Era il 12 marzo 1977. I processi accertarono che a quell'agguato e all'uccisione, un anno prima, del missino Enrico Pedenovi, aveva partecipato tra gli altri uno dei fondatori del movimento di estrema sinistra, Enrico Galmozzi. Galmozzi fu condannato a 27 anni di carcere, e non all'ergastolo in quanto «non irriducibile». Tornato in libertà, l'ex terrorista si è rifatto una vita a Milano vendendo all'ingrosso scatole per gioielli e scrivendo libri sulle imprese dannunziane a Fiume, e poi trasferendosi in Calabria dove tuttora abita. Perruggini lo ha querelato per alcuni post da lui pubblicati (e poi cancellati) su Facebook che irridono la memoria e il ricordo, e il dolore. «Siamo vittime senza diritto di parola», racconta alla Verità Perruggini. «Costrette a leggere frasi che dimostrano l'incapacità di capire il male provocato».Agli atti dell'esposto ci sono pure le foto di armi messe in bella mostra sulla bacheca social di Galmozzi. L'irriverente didascalia a una Glock, a firma dell'ex Prima linea recita così: «Io non me ne intendo, ma se volete sparacchiare di notte ai zingheri che vi entrano in casa consiglio questa... (ottima di giorno, anche per spaventare i venditori porta a porta di Lotta comunista...)». Sotto la foto di una Beretta 9×21, Galmozzi scrive invece: «Basta piangerci addosso, celebriamo anche i grandi successi del genio italico...». E a chi la paragonava a un modello tedesco, l'ex terrorista replica in un commento: «Non penso proprio, ma non insisto dato che io di armi non ne capisco e non ne ho mai visto una...». In un'altra immagine, è sorridente davanti a un battaglione della polizia in assetto antisommossa: «Gli stavo dicendo “baciatemi il culo"». Sotto la storica immagine di Paolo e Daddo, i due studenti universitari armati protagonisti degli scontri con le forze dell'ordine durante la marcia antifascista davanti all'Università La Sapienza, a Roma, aggiunge: «2 febbraio 1977 - perché ci vuole il cuore. Il cuore, soprattutto». A dicembre, poche settimane prima dell'arresto di Cesare Battisti, Galmozzi aveva difeso l'assassino dei Proletari armati per il comunismo condannando la «forsennata caccia a Cesare da parte di tutte le forze di polizia brasiliane». «Chiunque in questo duello», aveva scritto su facebook, «fra una imponente macchina da guerra e un uomo solo in fuga non parteggi per l'uomo in fuga è una merda inside». «Prima che scompaiano i protagonisti di quegli anni, prima che la memoria svanisca», ha sottolineato Perruggini, «bisogna trovare i dettagli mancanti, i pezzi che ancora non rispondono all'appello. E non sono certo le frasi che i vari terroristi, perché non esistono ex terroristi così come non esistono ex mafiosi, lasciano sui social network o durante i dibattiti pubblici per dimostrare chissà che cosa a loro stessi e agli altri». «I processi hanno tracciato delle traiettorie, hanno dato degli input ma c'è bisogno ancora di scavare per arrivare ai mandanti». La proposta di Perruggini, è iniziare un percorso condiviso condizionato per l'istituzione di una «commissione per la verità storica e la riconciliazione nazionale, come fatto da Mandela in Sudafrica».In occasione del suo sessantesimo compleanno, nel 2011, sempre sul social network, Galmozzi aveva lasciato una frase di tutt'altro tenore. «Siamo passati attraverso immani disastri convinti di avere sempre ragione, avendo avuto invece sempre torto... Abbiamo passato la vita a parlare di cose di cui non sapevamo un cazzo. Da domani, non chiedetemi più pareri su cose per le quali nutro ormai solo indifferenza. Sarà il mio piccolo contributo recato nella direzione di ciò che tutti noi dovremmo veramente fare: dileguarci». È evidente che, da allora, ci ha ripensato.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Friedrich Merz e Giorgia Meloni (Ansa)