2019-01-12
L’eredità «sequestrata» dal vescovo può tornare alle orfanelle di Ravenna
Dopo aver perso in primo grado, le donne accolte dal conte Carlo Galletti Abbiosi sperano di avere quanto aveva lasciato loro in eredità il benefattore. Intanto però il patrimonio è finito nella fondazione della curia.Le orfanelle di Ravenna sperano di nuovo. Grazie alla Corte d'Appello di Bologna si è aperta una piccola finestra ed è ricominciata l'attesa: da un pezzo, infatti, lottano per riavere l'eredità che il benefattore Galletti Abbiosi aveva esplicitamente lasciato loro e che invece è finita altrove. Dove è finita? Ecco il punto: l'eredità che il benefattore lasciò alle orfanelle è finita infatti nella cassaforte della potente fondazione cittadina presieduta dal vescovo. Proprio così: c'è un vescovo a Ravenna che tiene nella cassaforte della sua fondazione il tesoretto lasciato alle orfanelle. Le quali, ovviamente, nel corso degli anni si sono appellate a tutti gli esponenti della Chiesa, financo a papa Francesco, per chiedere giustizia e solidarietà. Senza riuscire a commuovere né a smuovere nessuno. Del resto, si sa, non sono mica immigrate…E già: le orfanelle sono italiane. Hanno fatto una vita grama. Hanno sofferto la fame e il freddo. Hanno superato mille difficoltà nella vita. Ma non si sono messe su un barcone e quindi niente, la curia con loro mostra il volto più severo: ha intrapreso una lunga battaglia giudiziaria, e sta combattendo a suon di avvocati e consulenze, per tenersi stretto quel tesoretto. E finora c'è riuscita, con piena soddisfazione sua. Un po' meno soddisfazione delle orfanelle, si capisce. Ma in fondo se lo meritano. La prossima volta nascano in Senegal o in Gabon, se proprio vogliono che i vescovi prendano a cuore il loro caso.La vicenda ebbe un certo risalto mediatico qualche tempo fa, prima di inabissarsi nel nulla, come molte storie italiane. Le orfanelle ebbero visibilità sui giornali, in varie trasmissioni tv, da Chi l'ha visto a Striscia la notizia: chiedevano che fosse rispettata la volontà del fondatore del loro orfanatrofio. Quest'ultimo si chiamava Carlo Galletti Abbiosi, era un conte, originario di un'antica famiglia nobile con radici fin nel Quattrocento e marito della contessa Geltrude Lovatelli dal Corno. All'abbondanza di cognomi la coppia univa anche una qualche abbondanza di risorse: ville, palazzi, gioielli, argenteria, titoli bancari e 240 ettari di terreno, pari a 336 campi da calcio, sparsi in tutta la provincia. Ma, a fronte di tanta opulenza, pare che il conte fosse un uomo umile e molto pio. Nel testamento, infatti, chiedeva due cose: un funerale «modesto e senza pompa» e la trasformazione della sua eredità in un lascito alle orfanelle.Il testamento fu affidato al vescovo, ma purtroppo nessuna delle richieste del conte fu esaudita. Quando egli morì, nel 1867, infatti vollero seppellirlo con grande magnificenza. E per quanto riguarda la sua eredità, s'è detto: quando nel 1974 l'orfanotrofio è stato definitivamente chiuso, il patrimonio anziché essere distribuito alle orfanelle, fu in parte venduto e in parte convogliato in una fondazione e poi unito ad altri due lasciti. Oggi quel che ne resta è custodito della Fondazione Galletti-Morelli-Baronio, presieduta sempre dal vescovo con il solito parterre di potenti locali, e gestisce alcune attività (centro anziani, scuola materna, doposcuola) peraltro tutte con rette piuttosto significative e bilanci in utile. Un'impresa da invidiare, insomma. Anche se resta la domanda: davvero il pio conte Galletti Abbiosi avrebbe voluto vedere il suo patrimonio in una fondazione che svolge un'attività sostanzialmente commerciale, a prezzi di mercato? O avrebbe voluto quelle risorse a servizio dei poveri?La risposta è facile, il testamento parlava chiaro. Se l'orfanotrofio dovesse chiudere, diceva infatti il conte, «tutti i beni si devolvano pienamente liberi a tutte le alunne e siano tra loro immediatamente divisi in parti uguali». Dunque la volontà del benefattore è stata chiaramente tradita. E l'esempio più evidente è proprio il palazzo che ospitava le orfanelle, in pieno centro di Ravenna: dopo la chiusura dell'orfanotrofio nel 1974, è diventato un albergo di lusso. Ristrutturato con i fondi del Giubileo 2000, dopo essere rimasto qualche anno in stato di abbandono, e inaugurato grazie a un'apposita norma comunale, oggi offre agli ospiti camere affrescate, wifi, tv a schermo piatto, sale fitness e ogni comfort. Tutto meraviglioso, si capisce: ma il conte non aveva chiesto che i suoi beni finissero ai poveri? Che ne dice signor vescovo?Che il testamento sia stato tradito, fra l'altro, è stato riconosciuto anche in tribunale. La sentenza di primo grado, dell'ottobre 2012, dice infatti che «è sicuramente ravvisabile il mancato rispetto della volontà del testatore». E poi ancora: «L'amministrazione del patrimonio fu svolta in contrasto con la volontà del fondatore». E allora perché il giudice di primo grado non ha ordinato l'immediata restituzione del tesoro alle orfanelle? Semplice: un cavillo. Avrebbero fatto causa troppo tardi, secondo la sentenza. Quindi hanno ragione nella sostanza, ma la loro ragione è caduta in prescrizione. Non possono avere quello che chiedono. Una beffa.Le orfanelle, però, non si sono mai arrese. E dopo quella sentenza-beffa, nonostante un clima ostile in città (nella fondazione c'è tutto il potere di Ravenna), ricorrendo a un avvocato forestiero (la combattiva Chiara Boschetti di Sant'Arcangelo di Romagna), sono andate avanti: in 34 hanno presentato ricorso. Ora, ecco la novità, dopo sei anni la Corte d'Appello non ha giudicato il ricorso infondato, ma ha chiesto loro di cercare anche le altre aventi diritto (erano 337 in tutto) per verificare se qualcun'altra, fra di loro, vuole costituirsi in giudizio. La pratica è stata espletata nei giorni scorsi, i documenti sono stati presentati. Ora non resta che aspettare la sentenza che potrebbe, finalmente, concludere questa lunga storia di ingiustizia. Per questo si riaccende la speranza. Anche se, nel frattempo ci si continua a chiedere, perplessi: ma perché il vescovo non fa un bel gesto e, senza aspettare il giudice, non dà esecuzione al testamento del benefattore? Perché non restituisce alle orfanelle quello che il conte aveva loro lasciato? Perché continua a tenersi stretto il tesoretto a costo di apparire financo egoista e poco accogliente? Forse perché queste persone non si chiamano Abdul e Mohammed ma soltanto Manuela, Maria o Cristina?
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