2023-07-10
Marine Le Pen: «Cara Giorgia Meloni mettiamoci insieme e cambiamo l’Europa»
Marine Le Pen (Imagoeconomica)
La leader della destra francese: «Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide. Voglio riformare la Ue, col Ppe è impossibile».«Abbiamo davanti un’opportunità unica per trasformare l’Europa: ma prima i partiti che difendono l’identità nazionale devono avere il coraggio di unirsi». Marine Le Pen, donna simbolo della destra francese, parla a La Verità. Il presidente del Rassemblement National è al centro del dibattito italiano, in vista delle Europee e dei futuri assetti di potere a Bruxelles: sul suo profilo, i partiti di governo hanno ancora punti di vista diversi. «Giorgia Meloni? Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide. Oggi è sufficiente difendere le tradizioni nazionali per essere bollati di estrema destra. Ma io sono sinceramente democratica». E lancia un messaggio chiaro: «Basta con l’Ue ridotta a comitato d’accoglienza per i migranti. Basta con le follie “green” di Bruxelles». Madame Le Pen, la Francia è in fiamme. Da dove arriva la rivolta di questi giorni?«Arriva da 40 anni di immigrazione massiccia e selvaggia, che ha generato una mancata integrazione, sfociata quasi in un separatismo. È una forma di odio verso la Francia, che sommerge tutte le forze migliori del Paese: le forze dell’ordine, i vigili del fuoco, le autorità locali, i sindaci. Se consideriamo anche l’impunità di cui godono da troppo tempo i criminali, possiamo ben dire che i francesi sono seduti su un vulcano pronto a esplodere». Qual è stato il più grande errore del presidente Macron?«Quello di non aver capito cosa sta succedendo. Dice che ha bisogno di riflettere profondamente sulle cause di queste rivolte? Se non le ha ancora comprese, dopo tutto quello che è accaduto in passato, allora è completamente sconnesso dalla realtà». Anche lei, come l’ex premier Valls, crede che l’autorità dello Stato sta crollando, e la religione islamica ha assunto un ruolo troppo pervasivo? «Si tratta indubbiamente di una crisi dell’autorità dello Stato, che non è più in grado di imporsi, né con la giustizia, né con la polizia. Sull’Islam, non saprei dire: certamente un certo orgoglio religioso ha consentito all’influenza islamica di esondare, soprattutto tra i giovani, con costumi e codici di comportamento in contraddizione con i valori della Repubblica. Aggiungerei anche una sorta di vittimismo permanente: tutto ciò ha fatto montare un sentimento di ostilità verso la Francia. Negli ultimi mesi il governo Macron ha criticato l’Italia per la sua gestione dell’immigrazione, anche se poi continua a respingere i migranti a Ventimiglia. Un controsenso?«Consentire l’immigrazione di massa in Europa, sostenere le Ong che la alimentano, rifiutare di ricondurre i migranti nei porti di partenza, e poi lottare come straccivendoli in Europa per sapere chi si occuperà dei clandestini: tutto ciò per me rappresenta una gigantesca ipocrisia». Esiste una possibilità che il suo movimento possa costruire un’alleanza con il Ppe? «Impossibile. Non vedo come potremmo trovare un accordo politico con il Ppe, che ha sistematicamente votato a favore di tutti i deliri ideologici portati avanti dall’Ue. Parlo degli accordi di libero scambio che hanno rovinato la nostra agricoltura, e lasciato la nostra industria alla mercé della concorrenza sleale di altri continenti. Hanno approvato la cancellazione definitiva dei nostri confini nazionali, e oggi invocano una politica di immigrazione gestita direttamente da Bruxelles». Ma il futuro governo europeo dovrà contare su numeri certi. Se verrà meno l’asse storico popolari-socialisti, che genere di maggioranza immagina? «Tutti i partiti che hanno a cuore l’identità nazionale, cioè quelli che oggi a torto chiamiamo “populisti”, dovrebbero unirsi in un ampio schieramento. Se riuscissero in questa impresa, potrebbero attrarre a sé quella parte del Ppe che è rimasta ancorata al valore della sovranità nazionale, perché anche una parte dei popolari europei si sente a disagio nel sostenere questo tipo di Europa. Altre soluzioni non ne vedo: potrebbe nascere un grande schieramento che avrebbe tutte le carte in regola per guidare l’Unione». Matteo Salvini ha stretto un patto con lei, Forza Italia non ne vuole sapere, Giorgia Meloni sembra non voler prendere posizione prima del voto europeo. Si sente di dare qualche consiglio al premier italiano? «Conosco il presidente Meloni da molto tempo. Potremmo avere punti di vista diversi, ma meno di quanto pensa il presidente del Consiglio. In materia di politica estera, ad esempio, le nostre differenze sono molto meno importanti della caricatura che se ne fa. Ciò che ci divide è secondario rispetto a ciò che ci unisce. In realtà, non vedo ostacoli reali all’emergere di un gruppo ampio, unito e forte nel Parlamento europeo. Naturalmente, tutto va fatto nel rispetto delle particolarità di ciascun partito, che ha le proprie tradizioni e il proprio contesto sociale. Cerchiamo alleati, non cloni. Al contrario, è proprio questa Unione europea che sta cercando di imporre un modello unico a tutte le nazioni. Ed è contro questo modello di Europa che dobbiamo lottare insieme».Molti, anche in Italia, la vedono come un leader estremista, anti-europeo. Vuole abbattere l’Unione e tornare agli Stati nazionali? «Assolutamente no. La mia intenzione è solo quella di reindirizzare la politica europea. Vorrei che l’Ue si concentrasse sui grandi progetti che uniscono le nazioni, ma senza invadere la sfera democratica dei popoli. Attualmente, di fatto, Bruxelles continua ad attribuirsi poteri che i cittadini non le hanno mai affidato. Dunque non sono affatto antieuropeista: credo nell’Europa, e anzi, la mia visione è molto simile a quella degli albori del sogno comunitario». Nega di guidare un partito di estrema destra? «Lo nego eccome, e con fermezza: il mio è un movimento democratico, l’unico in Francia che difende l’istituto del referendum, mi batto per il pluralismo politico, e sono assolutamente contraria a ogni forma di violenza. Vede, ho la sensazione che tutti quelli che sono affezionati al concetto di identità nazionale, oggi finiscano catalogati come “estremisti di destra”. Ovviamente, non è così. Da un lato penso che lo Stato nazionale sia lo strumento più efficace per garantire sicurezza e prosperità, ma dall’altro sono convinta che le nazioni possano raggiungere molti obiettivi vitali lavorando insieme, in progetti comuni».Può farci un esempio? «Per esempio, nell’ambito della difesa dei confini, sarei tranquillamente favorevole a Frontex, se prestasse aiuto ai Paesi in difficoltà dinanzi a ondate migratorie senza controllo. Ma non posso accettare che gli Stati cedano il controllo totale delle frontiere all’Unione, con il Frontex che anziché essere una polizia di frontiera, è diventato di fatto un comitato di accoglienza». Quindi lei pensa che l’Unione europea sia ancora riformabile?«Certo, altrimenti non ci saremmo presentati alle elezioni. Penso semplicemente che l’Unione abbia preso una strada sbagliata. In Francia diciamo: l’albero si giudica dai suoi frutti. E quali sono i frutti di quest’Europa, cinquant’anni dopo? Ci era stata promessa la prosperità, ci era stata promessa sicurezza. Per il modo in cui opera, oggi l’Ue ha fallito. E se qualcosa non funziona, non resta che cambiare il meccanismo». Se metterà piede nei palazzi europei, porrà fine alla tendenza «green» degli ultimi anni?«Io la chiamo “ecologia punitiva”. Stanno imponendo provvedimenti assurdi ai cittadini europei, che peraltro, in ordine al rispetto dell’ambiente, non hanno nulla di cui vergognarsi. Certi provvedimenti “green” non soltanto sono inefficaci, ma indeboliscono le nostre imprese e la nostra economia. Insomma, sono scelte controproducenti, e la Germania con le sue decisioni energetiche lo dimostra: la Francia, che ha optato per il nucleare, ha ottenuto risultati ambientali molto migliori rispetto a Berlino, che vive di gas e carbone». Non era lei a voler abbandonare la Nato? «Non ho mai detto di voler lasciare la Nato. Ho sempre sostenuto che la Francia dovrebbe abbandonare il comando integrato dell’Organizzazione: in sostanza, ritorneremmo sulla linea del generale De Gaulle. Una linea che non impedisce agli Stati Uniti di restare nostri alleati privilegiati, con i quali dobbiamo sviluppare profonde relazioni bilaterali. Quindi è il comando integrato il problema, anche in virtù del fatto la Francia è una potenza nucleare, e questo le concede storicamente una libertà d’azione che a mio parere abbiamo sbagliato ad abbandonare».Qual è la via più breve per ottenere la pace in Ucraina?«Solo le due parti in causa possono rispondere. Stiamo assistendo a un terribile massacro, e per il bene del popolo ucraino, dobbiamo fare di tutto per far cessare le ostilità. Ho proposto al presidente Macron di organizzare in Francia una grande conferenza di pace. Vorrei vedere intorno a un tavolo i due Paesi in guerra, gli Stati confinanti, e ovviamente la grande potenza americana, che come sappiamo ha un’influenza decisiva sulle trattative per la pace». Pochi giorni fa, in Italia, è stato aperto il testamento di Silvio Berlusconi. Che ricordo ha di questo personaggio, così importante per la vita pubblica italiana? «Senza dubbio Silvio Berlusconi ha lasciato un segno indelebile sulla politica italiana. Era un uomo di grande carattere, con uno spirito, a tratti ribelle, che ha sempre suscitato la simpatia del popolo francese».
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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