2024-10-19
Adesso ce lo dicono proprio in faccia: «L’emergenza virus sarà perenne»
Il «New York Times» esce allo scoperto e parla apertamente della condanna a vivere in un perpetuo allarme sanitario. Finalmente ci siamo: è giunto il momento di decretare che siamo entrati nell’era della malattia permanente. Che questa, dall’emergere del Covid in avanti, fosse la tendenza lo avevamo prima sospettato e poi compreso. Adesso però la necessità dell’allerta costante per affrontare il morbo continui viene esplicitamente teorizzata. E non da qualche medico svalvolato della televisione, ma dalle pagine dell’autorevole New York Times per la penna di David Quammen, il saggista statunitense autore del bestseller Spillover. L’uomo che, all’esplosione della pandemia, era stato identificato come «colui che aveva previsto tutto» poiché raccontava il passaggio dei virus dagli animali agli umani. Certo, poi abbiamo cominciato a capire che il Covid con tutta probabilità non proveniva da una foresta bensì da un laboratorio, ma questi sono dettagli che alla grande stampa e ai politici non piace ricordare. Quammen, forte dell’acquisito status di guru delle epidemie, si lancia in previsioni nefaste e descrive uno scenario che sembra uscito dal sogno erotico di uno dei nostri virologi televisivi. Disegna una distopia di sorveglianza motivata dalla presenza incontrastabile delle malattie. «I funzionari sanitari desiderano ricordarvi che, in molti paesi, stiamo entrando in quel periodo dell’anno ancora curiosamente noto come stagione influenzale», attacca l’autore americano. «Quella che va dall’autunno alla primavera. I bambini vanno a scuola, gli adulti trascorrono più tempo riuniti in casa, la gente respira, parla, starnutisce e si tossisce addosso e l’ultimo virus influenzale si diffonde ampiamente. Il motivo per cui quella della stagione influenzale sembra un’idea bizzarra è che ora sentiamo parlare di tanti virus durante tutto l’anno e magari ce ne preoccupiamo. Beh, in effetti dovremmo farlo. E se ci fosse un’ondata simultanea di Covid e influenza stagionale quest’autunno? Cosa succederebbe se le infezioni da virus respiratorio sinciziale, noto come R.S.V, raggiungessero il picco a livelli insoliti, come è avvenuto nella stagione 2022-23? E che succederebbe se un nuovo ceppo di Mpox, che è particolarmente virulento, continuasse a diffondersi in Africa e oltre? E se l’influenza di quest’anno si combinasse con la temuta influenza aviaria H5n1 e si trasformasse in un’epidemia da incubo? E se un nuovo virus destinato a essere chiamato Sars-Cov-3 emergesse da un pipistrello ferro di cavallo in un villaggio rurale da qualche parte, acquisisse alcune mutazioni chiave e arrivasse sfrecciando negli aeroporti del mondo?». L’elenco delle potenziali minacce è in effetti sterminiamo. A ben vedere, potremmo anche chiederci: e se uscissimo di casa e ci cadesse un mattone in testa? Dopo tutto è una possibilità, no? Intendiamoci. Qui non stiamo dicendo che non si debba fare di tutto per prevenire le pandemie e garantire ai popoli una vita sana e protetta. Ma un conto è occuparsi ragionevolmente di prevenzione, un altro conto è descrivere una civiltà assediata dai più terribili malanni e da pestilenze senza fine. Che è un po' ciò che sembra fare Quammen e che purtroppo hanno preso a fare anche alcuni medici e molti media. «Adesso è sempre stagione di virus», sentenzia l’autore americano. E la sua suona decisamente come una condanna: destinati a vivere nel tempo della perenne emergenza e, appunto, della costante malattia. Certo, specifica Quammen, «forse nessuno di questi scenari peggiori si verificherà, ma presumerlo significa contare sulla fortuna. Il concetto di stagione influenzale è una reliquia di tempi in cui un virus poteva paralizzare i nostri sforzi di risposta e dominare la nostra coscienza collettiva. L’influenza nel 1918. L’Hiv negli anni '80 e '90. Ebola nel 2014. Non possiamo più permetterci di reagire caso per caso. Oggi abbiamo bisogno di una visione più ampia. Abbiamo bisogno di risposte personali, governative e tecnologiche che affrontino l’intero spettro dei virus che sconvolgono le nostre vite. Perché continueranno a sconvolgere le nostre vite. Viviamo in mezzo ai virus. Li mangiamo. Li respiriamo. Li tocchiamo sulle maniglie delle porte e sui vassoi della mensa. Tutti gli animali selvatici e domestici con cui interagiamo, dalle zanzare ai topi, ai passeri sulla mangiatoia per gli uccelli e alle scimmie nei giardini del tempio, ne trasportano carichi in una varietà meravigliosa. La maggior parte di questi virus non ha alcuna possibilità di infettare un essere umano, ma molti lo fanno». Ecco un perfetto esempio di terrorismo mediatico, una lezione su come condizionare l’opinione pubblica. Vale ribadirlo: che un epidemiologo o un direttore della prevenzione al ministero pensino costantemente alle ipotesi peggiori è giusto, del resto quello è il loro mestiere. Ma spingere i cittadini a immaginare sempre il quadro più nero è semplicemente una manipolazione, un modo per aumentare lo stress e rendere le persone più inquiete e dunque più controllabili. Non solo: questo genere di interventi nascondono (malamente, per altro) un obiettivo preciso: stimolare gli Stati all’acquisto di medicinali. E fare sì che siano i cittadini stessi a richiederli.Conclude infatti Quammen: «Il modo migliore per proteggere te stesso e la tua famiglia è proprio quello che raccomandano le agenzie sanitarie: procurati i vaccini se ne esistono di affidabili. Il modo migliore per aiutare a proteggere la tua comunità, il tuo Paese e il resto dell’umanità è una proposta più complessa. Le risposte spaziano dalle misure di sanità pubblica, come una migliore sorveglianza dei virus, alla fine del nostro stupido negazionismo scientifico e infine al sostegno alla preparazione alla pandemia». Ebbene questa è, in estrema sintesi, una spinta alla mobilitazione totale. Alla militarizzazione sanitaria della intera popolazione, a cui viene caldamente consigliato di accettare pedissequamente le indicazioni di Oms e simili, di fatto sopprimendo le possibilità di critica. Così funziona: nell’era della malattia permanente, anche il pensiero è considerato patologia.