2022-04-17
L’emergenza continua partorisce soluzioni che ci fan stare peggio
A nuovi problemi (era il Covid, ora la guerra) il solito rimedio: l’austerity, che da sanitaria si fa energetica. Stritolandoci.«Tu sei buono e ti tirano le pietre. Sei cattivo e ti tirano le pietre. Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai, sempre pietre in faccia prenderai!» cantava Antoine nel 1967. Qualcosa del genere accade oggi, mentre una serie ormai infinita di inanellate «emergenze» chiedono ogni volta soluzioni in deroga ai principi etici e giuridici che varrebbero in tempi «ordinari». I più attenti hanno già osservato che si è così normalizzato lo «stato di eccezione» teorizzato dai filosofi del diritto, cioè la sospensione a tempo indeterminato delle garanzie e dei vincoli che intrecciano la trama dello Stato di diritto e la conseguente espansione dei poteri governativi ben oltre le previsioni dell’architettura costituzionale (la quale, per inciso, non prevede alcuno stato di eccezione). I più attenti ancora hanno notato che, per quanto diversi siano per intensità e natura i trigger dell’eccezione, i rimedi invocati sono sempre gli stessi e sempre peggiorativi del benessere materiale e sociale dei cittadini. Consideriamo la sospensione delle importazioni di fonti energetiche dalla Russia, che oggi coprono un quarto del nostro fabbisogno e soddisfano quasi la metà dei nostri consumi domestici e industriali di gas naturale, e quindi un quarto di quelli elettrici. Che in altre parole, tracciano la linea tra noi e un Paese in via di sviluppo. Ora l’idea sembra essere che rinunciando a questa energia e ripiombando nel dopoguerra costringeremmo il governo russo a desistere dalle operazioni militari. Un’idea che in una persona di intelligenza media susciterebbe qualche domanda. Ad esempio: perché allora si continua a importare un decimo del nostro petrolio dall’Arabia Saudita, le cui bombe stanno causando nel confinante Yemen quella che l’Onu ha definito «la peggior crisi umanitaria del mondo» con 380.000 vittime e «un bambino sotto i cinque anni morto ogni dieci minuti»? Perché si consuma la benzina delle compagnie petrolifere che si sono impossessate dei giacimenti sottratti agli iracheni con una guerra di aggressione in cui quasi mezzo milione di persone hanno perso la vita? E perché non si rinuncia ai prodotti meno essenziali di chi sfrutta i bambini lavoratori, opprime le minoranze o pratica lo schiavismo, in un’epoca - ricordano le principali organizzazioni internazionali del lavoro - in cui «ci sono più schiavi che in qualsiasi altro periodo della storia umana»?Se queste domande sembrano ingenue (lo sono), allora serve un’ingenuità dolosa per accettare l’illogicità degli ultimi provvedimenti che sono oltretutto inutili. Mentre infatti l’apporto energetico perduto dagli italiani non sarà recuperato se non quando sarà troppo tardi, i russi stanno già intensificando le esportazioni di gas verso la confinante Cina, prossimamente raggiunta da un secondo gasdotto transmongolico. La più grande potenza industriale del mondo assorbe da sola quasi il doppio dell’energia primaria consumata da tutti i Paesi europei messi insieme ma sinora si è affidata principalmente al carbone (60% del mix energetico fossile) e al petrolio (20%), con i problemi ambientali e di continuità che conseguono. Il mercato cinese del gas naturale è invece quasi vergine e può compensare le perdite a Ovest. Non abbiamo lanciato un boomerang: ci stiamo proprio sparando addosso.La diade soluzione-problema così rappresentata è troppo assurda per non chiedersi se per caso non ne adombri un’altra, se non ci sia del metodo in questa follia. Qualche sera fa il presidente di Nomisma Energia ha ammesso in televisione la necessità di razionare i consumi energetici per far fronte al nuovo scenario: «Qua occorre una distruzione di domanda… una descrescita poco felice», ha scandito, aggiungendo poi che «i mercati ce lo chiedono da almeno sei mesi». I mercati? Sei mesi? Quindi da prima che partissero le operazioni russe (Citigroup, per esempio, lo fece nell’ottobre scorso). Il problema è nuovo, ma la soluzione vecchia: l’austerity, che dopo le varianti fiscale e sanitaria annuncia ora la sua terza metamorfosi, quella energetica. Con la ripresa delle politiche monetarie espansive dopo l’ultima crisi ritorna in auge l’arnese preferito dagli investitori per frenare l’incubo dell’inflazione. Se per chi consuma non c’è gran differenza tra un aumento dei prezzi e una diminuzione del reddito, a chi gioca col denaro conviene di più la seconda perché preserva il valore dei crediti e mette in saldo i patrimoni pubblici e privati. Morale: se si alza lo spread ti tirano le pietre, se scoppia una pandemia ti tirano le pietre. E se la Russia va in guerra? Idem, ti tirano le pietre. Le stesse pietre. E mentre si annunciano tagli di miliardi di metri cubi di gas, come non pensare agli appelli della ragazzina con le trecce e dei suoi accoliti del venerdì mattina? Come non fare due più due con le crociate istituzionali per la «decarbonizzazione», la «transizione ecologica», la riduzione dei «gas serra» e gli stili di vita più «sostenibili» (cioè più poveri) che martellavano già da anni? Felici coincidenze, davvero. Se c’è troppa anidride carbonica, ti tirano le pietre. Se l’Ucraina è sotto attacco, ti tirano le pietre.Visto che gli epiloghi sembrano già scritti, ci si può anche esercitare a indovinarli, più che a inseguirne i pretesti. Se non ci sarà gas per tutti e se, come ha suggerito il presidente dell’Agenzia federale tedesca delle reti in un’intervista riassunta su queste colonne da Maurizio Belpietro, le conseguenze dell’embargo russo costringeranno molte famiglie ad avvalersi di aiuti statali per riscaldarsi, non è bizzarro immaginare che lo stesso meccanismo telematico di premialità - cioè di punizioni - introdotto con il green pass possa estendersi anche al godimento di questo servizio. La combinazione dei nuovi contatori elettronici dotati per la prima volta di una valvola azionabile da remoto e della piattaforma Idpay che permetterà ai cittadini di accedere alle misure di sostegno che i governi metteranno a punto in futuro, renderebbe agevoli le annunciate modulazioni delle forniture energetiche secondo i requisiti «virtuosi» di volta in volta fissati dal legislatore. Il che darebbe anche finalmente un senso al colore green attribuito al lasciapassare sanitario su sfondo bianco. Con il Covid ti tirano le pietre. Con le bombe, pure.Lo stesso gioco può applicarsi agli altri non sequitur della vulgata. Ci si aspetterebbe, chessò, che chi dice di voler fermare un «dittatore» nemico del «mondo libero» dia un esempio di pluralità e di libertà per essere più credibile. Ma se al contrario lo fa stilando liste di proscrizione, licenziando e infangando chi canta fuori dal coro, censurando i giornali, taroccando le immagini sui mass media, promuovendo l’odio a senso unico, pretendendo pubbliche abiure in stile maoista e aizzando un maccartismo tragicomico che non risparmia neanche i morti di due secoli fa, qualcosa non torna. Ma se di nuovo accantonassimo il motivo, ritroveremmo volti già noti. La guerra alle «fake news» con licenza di censurare e perseguire le opinioni non ufficiali nasce infatti assai prima di quella d’Ucraina. L’avventura pandemica aveva già tracciato il solco e versato il letame del selfie vaccinale e del QR come auto-da-fé, della rimozione dei contenuti telematici «negazionisti» (cioè critici), dell’emarginazione dei renitenti e della radiazione dei dissidenti dagli albi professionali. Oggi accade ai russi perché sono «cattivi». E domani, chi sarà il cattivo? Chi non accoglie i profughi, chi non si vaccina, chi accende il condizionatore, chi scrive cose «sbagliate» su Facebook? Se tutto giustifica tutto, allora tutto è possibile.Poco decifrabile è anche la scelta di integrare nella nostra sanità migliaia di operatori sanitari provenienti dal teatro del conflitto senza abilitarli. Sorvoliamo su quanto ciò sia profondamente ingiusto verso i tanti stranieri, molti dei quali proprio in fuga dalla violenza, che hanno dovuto invece sudarsi i titoli italiani, e concentriamoci almeno sul fatto che fino a ieri eravamo noi a mandare i medici nei Paesi in guerra. Con quale logica si passa ora dal sostenere Emergency e Medici senza frontiere all’agevolare l’esodo dei camici bianchi da una nazione bombardata che ne ha bisogno più del pane? E a mandare in cambio bastimenti di armi? Se tenessimo tutte le premesse per buone, nessuna. Se invece considerassimo la faccenda in sé, vi riconosceremmo ancora una volta le fattezze più solite dell’immigrazione economica come una classica «allocazione ottimale dei fattori produttivi» al ribasso. Sarà perciò un’altra coincidenza felice che questo provvedimento inedito cada a distanza di un anno da quell’altro inedito provvedimento con cui si sono allontanati dal servizio i sanitari che non hanno accettato di farsi iniettare per tre volte un farmaco di nuova invenzione.Non conosco né sarei in grado di comprendere a fondo i retroscena dell’operazione russa in Ucraina, ma immagino fin troppo bene quali pietre ci pioveranno in faccia, comunque vadano le cose. Perché i ragionamenti (chiamiamoli così) dell’emergenza infinita sembrano tante fiabe diverse che finiscono però tutte con la strega nel forno: anche quando non ci sono streghe, né forni. Ritengo che questa educazione al diversivo e all’illogico integri una vera e propria pedagogia di governo che mira a dissolvere la percezione della contraddizione per trasformare ogni evento nel carburante plausibile di un programma già in corso. Il solvente di questa dissoluzione è appunto l’emergenza in cui si attiva un’ansia di «fare» tipica dell’orizzonte moderno. Giacché quell’improcrastinabile «fare» non può che svolgersi nell’ambito del fattibile, chi fissa il perimetro degli agibilia decide anche gli agenda, cioè le uniche «soluzioni» possibili: le solite.