2022-05-27
Le veline cinesi direttamente nel nostro circuito di news
Gli influencer del regime alla conquista dei media nostrani. La ricerca dello Iai: zero trasparenza su accordi editoriali Italia-Cina. Uno studio ceco: pubblicità da Pechino alle testate in cambio di valutazioni positive sulla tecnologia nei settori della Difesa e del 5G.Il Copasir indaga sulle influenze russe e cinesi in Italia. Ha ricevuto eco solo la prima parte della notizia, quella che riguarda Mosca. Forse perché i media italiani sono invasi da veline di Pechino. Ansa e Rai per contratto. Due settimane fa il Copasir, comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ha avviato un dossier senza precedenti: la caccia alle influenze russe nella tivù di Stato, nei talk show. Così come la caccia agli agenti infiltrati per avvicinare quelli che in gergo si chiamano stakeholder, politici, giornalisti o personaggi influenti ai fini dell’opinione pubblica italiana. La notizia ha fatto il giro di tutti i media. Nella stessa occasione il Copasir avrebbe aggiunto alla black list anche gli influencer cinesi. Ecco questa parte della notizia ha trovato ben scarso spazio sui media italiani. Eppure la capacità di penetrazione di Pechino è ben più pericolosa. Più ricca e più silenziosa. Non tanto perché quello che era fino a poco tempo fa il patron del primo partito italiano, i 5 stelle, era ospite assiduo dell’ambasciata cinese a Roma, ma perché il Quirinale in persona a marzo del 2019 ha firmato un accordo con la controparte asiatica per favorire la Via della seta. A monte e a valle di questo memorandum c’è una lunghissima lista di partnership tra media italiani e cinesi. Questi ultimi - bene ricordarlo - sono tutti controllati da Partito comunista di Pechino. Lo Iai, istituto affari internazionali, ha pubblicato un lungo e dettagliato report che ben spiega l’ampiezza e soprattutto la capillarità di tali patti. In occasione dell’accordo del marzo 2019 la Rai e l’Ansa, le due principali fonti di notizie tricolore, hanno siglato scambi di contenuti rispettivamente con Cmg, China media group, e con Xinhua. L’obiettivo - si legge nel report a firma di Francesca Ghiretti e Lorenzo Mariani - dei cinesi è chiaramente quello di estendere sulla Penisola una influenza diretta in grado di toccare la nostra opinione pubblica. Il tutto all’interno di un enorme investimento che vede Cgtn e Cctv presenziare nelle tv di metà Asia e dell’intera Africa fornendo il punto di vista del Pcc. Non è dato sapere quali siano gli estremi delle collaborazioni sparse per il mondo, ma la medesima scarsa trasparenza riguarda anche gli accordi collaterali di Rai e Ansa. Il report spiega che esisterebbero 29 addendum all’accordo, dei quali nulla si sa salvo alcuni effetti statistici. Lo Iai passa al setaccio il numero di take, lanci di notizie, che l’Ansa diffonde pescando direttamente dalla produzione di Xinhua. Nel 2019 erano 758 su poco più di 8.000. Nel 2020 le news scritte dai cinesi e diffuse dall’Ansa salgono a 2459 su un totale di circa 13.000. È chiaro che con la pandemia cresce la necessità di informazione da parte degli italiani. Ma è altrettanto vero che circa il 20% è prodotto da un Paese che certo non ha la democrazia nel suo Dna. E che ha dimostrato interesse primario nell’influenzare la narrativa attorno alla pandemia e all’origine del Covid-19. Va segnalato che l’Ansa copre la Cina anche con propri giornalisti e fonti di informazione. Il rischio però è di annegarle nel mare magnum dell’accordo. Un discorso simile di può fare per la Rai anche se quantitativamente inferiore. I due analisti concludono che nel complesso le due testate giornalistiche non fanno nulla di diverso rispetto a quanto portato avanti anche da Agi o Adnkronos e soprattutto il gruppo Class. Il conglomerato già dal 2010 ha sviluppato una serie di accordi nel settore della moda o più in generale del comparto manifatturiero. Lungi da noi stigmatizzare la libera scelta di fare accordi su singoli contenuti. Anche il nostro gruppo ha pubblicato contenuti provenienti da media cinesi. Il tema però sta nella capillarità e nel contesto. Su questo ultimo aspetto il report dello Iai si ferma. Per trovare una analisi qualitativa dell’influenza cinese nei media bisogna andare in Slovacchia e Repubblica Ceca. Qui due associazioni legate ai governi locali hanno tracciato una correlazione tra la pubblicità di aziende cinesi, la presenza di accordi con media di Pechino e la predisposizione delle testate locali a valutare positivamente la tecnologia cinese in settori strategici quali 5G o Difesa. Nel 50% dei casi i media presi in considerazione hanno omesso di citare qualunque tipo di rischio collegato alla presenza in Patria di Huawei o Zte. In altri casi la contrapposizione tra Cina e Stati Uniti è stata descritta esclusivamente come un tentativo dei secondi di rallentare l’avanzata tecnologica del colosso asiatico. Nukib, l’agenzia di cybersecurity del governo ceca, è spesso finita sotto attacco da parte dei media non tradizionali. Tra le principali critiche, il rischio di perdere gli investimenti di Huawei e Zte e di conseguenza penalizzare il Paese bisognoso di posti di lavoro. Da tempo si parla di un registro per tracciare le influenze estere nei confronti dei parlamentari. Oggi più che mai andrebbe fatto un registro delle influenze e degli investimenti pubblicitari sulle testate italiane. Mentre l’opinione pubblica si concentra sulla Russia, la Via della seta rialza la testa. È lecito attendersi nuove pressioni da Pechino.