2023-03-13
Le truppe di Speranza tagliano le gambe alla commissione Covid
Francesco Boccia e Roberto Speranza (Ansa)
Audizioni per imbastire l’organo di controllo sui fallimenti pandemici. Sentiti l’ex direttore della prevenzione, il presidente dei medici e professori invitati dai dem. Tutti a sostenere che la Camera non abbia competenze.Se la sola idea che parta una commissione d’inchiesta sul Covid suscita tanto timore, molto probabilmente significa che questa idea è ottima. E infatti da alcuni giorni si stanno già muovendo le truppe cammellate intenzionate a ostacolarla. Abbiamo già raccontato come il dalemian-speranziano Nico Stumpo del Partito democratico abbia annunciato battaglia nella commissione affari sociali (quella, cioè, in cui si deve produrre la norma che istituirà la commissione d’inchiesta vera e propria). Contemporaneamente, è partito un attacco mediatico mirante a confondere le acque. Agenzie di stampa e quotidiani hanno diffuso con grande risalto la notizia dell’archiviazione di alcuni esposti sulla gestione del Covid risalente addirittura al maggio del 2021: una faccenda che nulla aveva a che fare con l’inchiesta di Bergamo e tanto meno con l’indagine parlamentare, ma di cui ci si è serviti per creare caos e suggerire che ogni tentativo di arrivare alla verità si sarebbe rivelato inutile.foglia di ficoQuesta, del resto, è la tesi che sostengono tutti gli avversari (in malafede) della commissione. Lo fanno con editoriali sui quotidiani come quelli pubblicati da Eugenia Tognotti, lo fanno con comunicati stampa e soprattutto lo fanno durante le audizioni in Parlamento. A opporsi non sono soltanto politici, cosa che sarebbe perfino comprensibile. Ma anche professionisti della salute, tecnici e presunti esperti di vario ordine e grado. Tra questi c’è Donato Greco, ex direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute, nonché componente del secondo Cts. «Non mi pronuncio su inchieste giudiziarie», ha scritto sul Quotidiano Sanità. «Voglio solo ricordare che in 50 anni di inseguimento di epidemie in Italia e nel mondo ho visto numerosi procedimenti giudiziari per il reato di epidemia colposa, ma non ne ricordo alcuno che sia arrivato a una condanna. L’onda di fango mediatico, spero, passerà presto, dopo aver fatto grande disastro: bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare perché la catastrofica pandemia sia l’ultima. Certamente altre epidemie e pandemie arriveranno: ma dovranno trovarci preparati solidamente a contrastarle». Greco ha ribadito queste tesi anche nella prima tornata di audizioni presso la commissione affari sociali, dove ha puntato il dito contro ministri e funzionari che non hanno aggiornato il piano pandemico. Apparentemente, le sue parole sono un potente atto di accusa contro chi non ha fatto il suo dovere lasciandoci impreparati ad affrontare il virus. In realtà, però, sono anche una foglia di fico bella grossa che Roberto Speranza e i suoi collaboratori potrebbero utilizzare per coprire le vergogne. A tutto questo Greco unisce discutibilissime valutazioni personali: «Al di là delle attività giudiziarie il catastrofico terremoto mediatico oggi in corso sta producendo danni che sarà ben complicato riparare», sostiene. «La fuoriuscita di atti riservati dell’indagine giudiziaria (copione già visto?) fino alla pubblicazione di conversazioni e mail private e personali costruisce l’ennesima gogna mediatica che, ben al di là delle legittime procedure, costruisce un clima di grande sfiducia delle istituzioni centrali e periferiche, danneggia persone che ben potrebbero contribuire costruttivamente a migliorare lo stato di Preparedness per il Paese». Fango, gogna mediatica? Viene da chiedersi con che coraggio il tecnico sostenga cose del genere, per altro a difesa di presunti esperti che hanno commesso errori clamorosi e si sono piegati ai desiderata della politica senza fiatare. Greco, in ogni caso, si smaschera da solo. A un certo punto spiega che è «illusorio pensare di fermare la trasmissione di un virus respiratorio: tutti i membri noti di questa grande famiglia virale sono infettanti giorni prima della comparsa di sintomi e infettano molti individui che non sviluppano alcun sintomo, ma sono ben capaci di infettare gli altri». Ottimo: e allora, di grazia, a che cosa potevano mai servire green pass e chiusure folli? Ecco, questi sono proprio i temi in cui la commissione di inchiesta dovrà infilare il naso. Sull’argomento si è espresso anche Filippo Anelli della Fnomceo, la Federazione degli ordini dei medici. «La pandemia di Covid», ha detto, «ha messo in luce e amplificato carenze e zone grigie preesistenti nel nostro Servizio sanitario nazionale, frutto di decenni di tagli lineari e di politiche alimentate da una cultura aziendalistica che guardava alla salute e ai professionisti come costi su cui risparmiare e non come risorse sulle quali investire. Ha acceso impietosamente un riflettore su criticità e carenze che erano ormai strutturali. Carenze di personale, con medici ospedalieri che hanno dovuto fare turni anche di 24 ore di seguito, per poter gestire i pazienti che continuavano ad affluire senza sosta». Giusto, giustissimo.allarmi tardivi Viene da chiedersi come mai Anelli scoperchi il vaso adesso, e non lo abbia fatto invece negli anni passati, quando per coprire le carenze del sistema sanitario e la mancanza di medici di base si infieriva sugli immaginari untori no vax e si toglieva lo stipendio a tanti dottori che agivano in buona fede per salvare i pazienti. Gli ordini vogliono darsi da fare per risolvere questi problemi? Splendido: allora la smettano di continuare a provare a imporre obblighi di vaccinazione e divieti di critica ai loro iscritti, e si concentrino sui veri disastri della sanità italica. Ancora più grottesca è la presa di posizione dei portavoce degli infermieri, apparsa sempre su Quotidiano sanità. La presidente della Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche (Fnopi), Barbara Mangiacavalli, è stata chiara riguardo alla commissione d’inchiesta: «Se il punto è fare maggiore chiarezza su quanto è successo», ha argomentato, «la nostra risposta non può che essere sì. Sul fatto che lo strumento più adatto sia la Commissione d’inchiesta parlamentare su Covid, ci sia consentito esprimere qualche perplessità, in virtù del concomitante lavoro di numerose Procure su specifici aspetti che sarebbero oggetto anche dell’inchiesta parlamentare. E anche perché riteniamo che una commissione d’inchiesta possa prolungare e acuire nuovamente una tensione che noi pensavamo di esserci lasciati alle spalle, una frattura che pensavamo in parte risanata e che oggi ci vede costruire ponti e relazioni sulle macerie umane accumulate in questi ultimi tre anni». Ma pensa: adesso non vogliono dividere la nazione e acuire la tensione. Vogliono lasciarsi alle spalle i brutti ricordi. Beh, forse avrebbero dovuto pensarci quando il Web pullulava di video di infermieri che si divertivano a infierire sui non vaccinati alimentando odio sociale e veicolando la narrazione costruita dai vari governi per coprirsi le spalle.Tra i vari avvocati difensori del regime sanitario che hanno sfilato nelle audizioni parlamentari la scorsa settimana c’è pure Massimo Luciani, professore di istituzioni di diritto pubblico alla Facoltà di giurisprudenza dell’università degli Studi di Roma La Sapienza: «La mole dei compiti che si intende affidare alla Commissione appare davvero straordinaria, con il conseguente interrogativo sull’effettiva efficacia della sua azione a fronte di una tale massa di incombenze che graveranno sulle sue spalle se sarà istituita», ha detto, esprimendo dubbi sull’efficacia della indagine. Simili le dichiarazioni di Giovanni Salvi, ex procuratore generale presso la Corte di cassazione: secondo lui la commissione corre «il rischio di svolgere una funzione che non è propria, mentre si potrebbe perdere quella funzione di conoscenza ai fini delle possibili emergenze nuove che non necessariamente saranno simili a questa». Appare abbastanza evidente, insomma, che la Cattedrale sanitaria stia cercando di proteggersi mobilitando fedelissimi, fedeli e simpatizzanti. E contando sulle uscite pubbliche dei fiancheggiatori tipo Roberto Burioni, che in un tweet di qualche giorno ha fa ha provato a imbastire una difesa: «Qualunque affermazione scientifica si basa sui dati disponibili. Se i dati sono incompleti o addirittura falsi è ovvio che l’affermazione stessa può risultare scorretta o falsa, ma la colpa è di chi ha omesso o falsificato i dati, non di chi ha fatto l’affermazione». Gli ha risposto alla perfezione il filosofo Andrea Zhok: «Le affermazioni scientifiche sono descrittive, non prescrittive, dunque non sono né etiche, né normative», ha scritto Zhok. «Non conta come affermazione scientifica dare dell’asino al prossimo, non conta come affermazione scientifica obbligarlo a trattamenti sanitari, non conta come affermazione scientifica fargli perdere il salario, l’accesso a scuola e università, ai mezzi di trasporto, al lavoro. Prima di trasformare un presunto dato scientifico in una costrizione che può far perdere salario, istruzione, mobilità, lavoro (e salute) ad altri si dovrebbe esserne certi al 110%. Se questo scrupolo non lo si è avuto, se si sono prese le vite altrui alla leggera, e si è saltati su a braccetto con il potere, ergendosi a giudici e bullizzando il prossimo, beh, questo non rientra tra gli errori scientifici: questo significa fare umanamente schifo». Sacrosanto: gli errori possono commetterli tutti. Ma aver imposto misure violente e ingiuste fingendo che «le imponesse la scienza» è una colpa imperdonabile. Per questo la commissione deve farsi, e alla svelta. Nell’attesa, i sedicenti esperti che hanno partecipato all’inganno del secolo potrebbero semplificare la vita a tutti e levarsi di torno. Poiché tutti dicono di voler evitare altri fallimenti sanitari clamorosi, le dimissioni degli incompetenti dovrebbero essere accolte da fragorosi applausi.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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