2018-12-17
Le spese pazze dell’Europa. Un miliardo e mezzo per (non) integrare i rom
Tra fondi sociali e altri canali di finanziamento, per il periodo 2014-2020 stanziata una marea di denaro. Ma nemmeno la Corte dei conti Ue sa dire come è stato usato.L'esperta: «Le modalità di erogazione di queste somme sono a dir poco ambigue. Bruxelles per di più non tiene traccia dei programmi attuati, organizzati male e quindi destinati a rimanere lettera morta».Lo speciale contiene due articoliUn miliardo e mezzo. Tanto spende l'Unione europea per integrare i rom, con risultati peraltro discutibili. Quando si parla di finanziamenti statali, torna sempre alla mente la famosa frase pronunciata nell'ormai lontano 1983 da Margaret Thatcher durante il congresso dei Tories: «Non esiste il denaro pubblico, esiste solo il denaro dei contribuenti». Un principio, quello enunciato dalla «Lady di ferro», che si applica con facilità quando si parla di malfunzionamenti e sprechi nella gestione e nell'erogazione dei fondi legati alla sfera nazionale. Quando si tratta, però, di traslare il ragionamento della Thatcher all'Unione europea, le cose cambiano. Forse anche per ragioni di natura geografica, si tende a percepire l'istituzione continentale più distante di quanto effettivamente non sia. Eppure, il funzionamento dell'Ue si basa su un budget (che per il settennato 2014-2020 vale la bellezza di 1.000 miliardi di euro) foraggiato principalmente dai contributi dei singoli Paesi europei: soldi che provengono anche dalle nostre tasche. Questo è il motivo che ha spinto a più riprese il nostro quotidiano a interrogarsi sulla modalità con le quali vengono spesi i fondi europei. È un diritto di tutti, infatti, capire che fine facciano le somme che, attraverso il bilancio comunitario, l'Italia versa a Bruxelles.L'Unione europea non si occupa solo di economia, agricoltura e sicurezza. Una parte importante del budget è dedicata alla coesione sociale, alla tutela delle minoranze e alla lotta contro la discriminazione. Tutti temi nobilissimi, per carità, ma come abbiamo rilevato nelle precedenti inchieste sussiste un grave problema di accountability, un termine anglosassone a prima vista ostico che indica, con una parola sola, l'obbligo delle amministrazioni di rendicontare in maniera trasparente la gestione del denaro utilizzato.Dopo aver messo in luce le criticità nell'assegnazione dei fondi destinati al mondo Lgbt e quelli per le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo (in programma per maggio 2019), l'occhio della Verità si è posato sugli stanziamenti per l'integrazione delle popolazioni rom. Un tema delicato, ma anche un mare magnum nel quale risulta difficile orientarsi, come dimostrano i fatti e i numeri nei quali ci siamo imbattuti durante la nostra inchiesta.Secondo le informazioni fornite dalla stessa Unione europea, i rom rappresentano la minoranza più numerosa a livello continentale. Le stime parlano di 10-12 milioni di rom in Europa, 6 milioni dei quali vivono in uno dei Paesi membri dell'Ue. Ovviamente si tratta di cifre approssimative, dal momento che si tratta in larga parte di individui nomadi, ma anche perché ogniqualvolta si paventa la possibilità di censirli si levano feroci proteste e accuse di razzismo. Il termine utilizzato nei documenti dell'Unione racchiude diversi gruppi che condividono l'utilizzo della lingua «romanì», tra cui i rom propriamente detti, i Sinti, i Boyash, gli Ashkali e i Manouche. Il Paese che conta il maggior numero di rom è la Romania (1.850.000 circa), seguito da Bulgaria, Ungheria e Spagna (circa 750.000 ciascuna). Considerando la percentuale sulla popolazione totale, risulta prima la Bulgaria (9,9%), e a seguire Slovacchia (9%) e Romania (8,6%). Altro dato interessante: l'85% dei rom si concentra in soli otto Paesi.«Gran parte dei rom», si legge sul sito della Commissione europea, «risultano vittime di pregiudizi ed esclusione sociale». Per questo motivo, sin dal 2010 Bruxelles ha annunciato un forte impegno affinché il problema dell'integrazione di questo popolo all'interno degli Stati membri fosse affrontato e avviato verso una soluzione. Nel 2011, la Commissione ha lanciato ufficialmente il Quadro europeo per le strategie nazionali di integrazione dei rom fino al 2020, definendo il miglioramento delle loro condizioni un «imperativo economico e sociale per l'intera Unione e tutti i suoi membri». Il Quadro si basa su quattro pilastri: istruzione, occupazione, salute e politiche abitative. «Da soli i fondi europei non risultano sufficienti per risolvere tale problematica», si legge nel documento, «ma la Commissione ricorda che sono stati stanziati 26,5 miliardi di euro per supportare gli sforzi degli Stati membri nel campo dell'inclusione sociale, che comprende l'integrazione dei rom». A partire dal 2012, invece, la Commissione ha emesso delle raccomandazioni specifiche per alcuni Paesi con una maggiore percentuale di rom: Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania e Slovacchia.Nel dicembre del 2013 il Consiglio europeo ha poi emanato una serie di linee guida volte a declinare nel dettaglio le politiche da attuare per ciascuno dei quattro pilastri individuati dal Quadro. L'aspetto più interessante di questa risoluzione riguarda però la parte relativa ai finanziamenti. Secondo le raccomandazioni fornite dal Consiglio, si rende necessario d'ora in avanti «stanziare somme adeguate per l'implementazione e il monitoraggio delle strategie locali e dei piani d'azione derivanti da ogni forma di finanziamento (locale, nazionale e a livello dell'Unione) allo scopo di raggiungere gli obiettivi per l'integrazione dei rom». Lo strumento individuato dalle istituzioni continentali è il Fondo sociale europeo (Fse o Esf), di cui l'Europa si serve per promuovere l'occupazione e l'integrazione sociale. La raccomandazione è quella di destinare all'integrazione delle comunità emarginate, tra le quali ovviamente i rom, almeno il 20% dei fondi per l'inclusione sociale e la lotta alla povertà.Come si può facilmente intuire, non stiamo parlando di pochi spiccioli. Dei 42,3 miliardi di euro totali per il settennato 2014-2020 stanziati per questa finalità, dodici Paesi (Austria, Belgio, Bulgaria, Slovacchia, Francia, Spagna, Grecia, Ungheria, Italia, Polonia, Romania e Slovacchia) hanno scelto di utilizzare 1,5 miliardi per progetti indirizzati esplicitamente ai rom. Fin qui, tutto sembra in linea con quanto auspicato dalla Commissione e dal Consiglio. Tuttavia, i nodi vengono al pettine quando si tratta di esaminare più da vicino come sono stati spesi questi fondi. La prima pietra su una gestione a dir poco lacunosa viene scagliata nel 2016 la Corte dei conti europea, che in quell'anno stila un dettagliato rapporto sullo stato di avanzamento delle politiche di integrazione. Tra le raccomandazioni inviate alla Commissione, i revisori segnalano la necessità per il futuro di «specificare l'ammontare di fondi necessario per la realizzazione delle misure di inclusione previste dalla strategia». Occorre poi «determinare la percentuale di finanziamenti attinti a livello locale ed europeo», «includere indicatori specifici per ogni target» e «assicurarsi che la società civile venga consultata e coinvolta nel momento in cui le misure a favore dei rom sono pianificate e attuate». Un passo in avanti lo fa un recentissimo report pubblicato dalla Commissione agli inizi di dicembre, volto proprio a comprendere lo stato di avanzamento delle strategie di integrazione nazionale. Nella sezione relativa al monitoraggio dei fondi, Bruxelles è costretta ad ammettere che «nonostante la consultazione di diverse tipologie di fonti, non è stato possibile identificare in maniera chiara i livelli effettivi di spesa per l'integrazione dei rom», e ciò anche a causa della scarsità di dati messi a disposizione dai singoli Stati. Sembrerà un paradosso, ma nemmeno l'Unione europea è in grado di determinare con esattezza come viene speso il suo stesso denaro!Oltre ai già menzionati 1,5 miliardi di fondi Esf, il rapporto cita altri canali di finanziamento per l'attuazione delle politiche di integrazione. Prima di tutto i fondi Ipa (Instrument pre-accession assistance), destinati ai Paesi che si candidano a entrare nell'Ue. Nelle due tranche finora erogate (Ipa I 2007-2013 e Ipa 2 2014-2016), i fondi potenzialmente utilizzabili per l'inclusione dei rom arrivano a 234,30 milioni di euro. Si aggiungono alla lista i fondi Eidhr (Strumento europeo per la democrazia e diritti umani), 6,83 milioni dal 2007 al 2016 e quelli legati al programma Diritti, uguaglianza e cittadinanza (circa 13 milioni). Tutto questo sforzo finanziario avrà pur prodotto qualcosa di tangibile. Se guardiamo la questione dal punto di vista della percezione esterna, le bocce sono rimaste pressoché immobili. Larga parte di coloro che hanno partecipato a una consultazione pubblica lanciata dal dipartimento Giustizia e consumatori nel 2017, ritengono che dal 2011 a questa parte la situazione dei rom sia peggiorata oppure rimasta inalterata nei campi dell'educazione (48%), dell'occupazione (75%), della salute (69%), delle politiche abitative (80%) e della discriminazione (83%). Nel report pubblicato questo mese, si fa il punto anche sui risultati concreti raggiunti finora. Nessun progresso risulta compiuto nei campi dell'occupazione e delle politiche della casa, che registrano semmai un peggioramento rispetto al 2011. Qualche timido passo in avanti, invece, nel settore dell'educazione, dove nel periodo preso in considerazione la percentuale di bambini che frequentano la scuola dell'obbligo è salita dall'86% al 90%, ma è ancora distante dalla media generale (98%). Più confortanti, invece, i risultati compiuti nel settore della salute, con l'azzeramento del gap della percentuale di cittadini che si autogiudicano in stato di ottima forma. Sempre drammatica la piaga della povertà, con l'80% dei rom a rischio contro il 20% della popolazione generale (lo scarto si è ridotto dal 2011 da 67 a 60 punti percentuali). La maggioranza dei Paesi ha fallito nel raggiungimento degli obiettivi in tutti i campi: istruzione (16 su 28), occupazione (18), salute (20) e politiche abitative (17). A giudicare dai risultati, dunque, il tesoretto messo sul piatto dall'Unione europea non sembra aver dato i frutti sperati.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-spese-pazze-delleuropa-un-miliardo-e-mezzo-per-non-integrare-i-rom-2623581870.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="confusione-e-progetti-sbagliati-cosi-si-buttano-soldi-per-nulla" data-post-id="2623581870" data-published-at="1757738185" data-use-pagination="False"> «Confusione e progetti sbagliati. Così si buttano soldi per nulla» Gli stanziamenti dell'Ue per i rom sono la classica montagna che partorisce il topolino. La Verità ha parlato di questo scottante argomento con la dottoressa Joanna Kostka dell'Università di Lancaster, in Inghilterra, e autrice del libro Strategie nazionali di integrazione dei rom: perché le buone intenzioni falliscono?. Dottoressa Kostka, che idea si è fatta dell'insistenza dell'Unione europea sui fondi alle popolazioni rom? «Considerati i tempi che viviamo, contraddistinti da una massiccia riduzione degli stanziamenti per il welfare e da una disastrosa crisi economica, gli investimenti miliardari (si stima che durante il periodo di programmazione dei fondi strutturali 2007-2013, l'Ue abbia destinato quasi 26,5 miliardi di euro alle iniziative di inclusione dei rom) per programmi e progetti mirati ai rom hanno giustificato un certo ottimismo per le iniziative nei confronti delle minoranze emarginate e a rischio povertà. Tuttavia, l'impatto reale delle strategie europee è arduo da comprendere. Di fatto, la domanda che assilla i responsabili delle decisioni, sia a Bruxelles sia in altre capitali europee, è: che risultati abbiamo ottenuto grazie ai soldi investiti nell'inclusione dei rom?». Perché si è arrivati a porsi questa domanda? «Nei Paesi e nelle regioni con una popolazione rom più ampia, il problema non è la mancanza di denaro disponibile, ma la scarsa accessibilità dei fondi da parte delle comunità emarginate e l'uso insufficiente dei fondi per iniziative di inclusione più ampie. Paradossalmente, i meccanismi di finanziamento Ue basati sulla meritocrazia tendono a svantaggiare le comunità rom, soprattutto perché queste non hanno risorse umane e budget necessari per richiedere e gestire schemi di finanziamento altamente burocratizzati». Quali sono le criticità più rilevanti, a suo avviso? «Nell'Unione europea esiste una macchina focalizzata esplicitamente sullo sviluppo di misure di integrazione, tuttavia la progettazione di questi programmi e strategie è essenzialmente errata. Esistono, innanzitutto, grossi problemi legati alla raccolta dei dati. I dati quantitativi esistenti sulle spese di inclusione sociale europea sono misurati in funzione di indicatori molto diversificati. Confrontare gli importi destinati all'inclusione sociale tra i vari programmi operativi è difficilissimo, date le diverse priorità a livello locale e le differenti tipologie di misure. Dalle mie ricerche è emerso che, tra tutti gli Stati membri, esistono enormi incongruenze nei dati». Qual è la causa di tutta questa confusione? «Uno degli obiettivi più difficili riguarda il confronto dei dati sui beneficiari finali dei progetti, vista la mancanza di dati disaggregati per etnia. Dati etnici validi e affidabili sono semplicemente assenti, a tutti i livelli di governo. Questi problemi sono ulteriormente aggravati dai sentimenti ambigui che molti rom hanno nei confronti della raccolta di dati etnici. Numerosi rappresentanti della comunità rom esprimono preoccupazioni legali e morali al riguardo, per motivi legati alla tutela della privacy individuale contro potenziali abusi». Nonostante queste difficoltà, i fondi continuano a essere erogati tranquillamente. «La modalità con cui vengono spesi queste somme è ambigua. Fondamentalmente, finché i soldi non “spariscono", l'Ue è felice. È prassi comune nell'Europa centrale e orientale includere solo un riquadro sulle proposte di progetto in cui si afferma che «il progetto riguarderà anche la comunità rom» - in che modo, quante persone ne trarranno beneficio, a quale effetto, semplicemente non viene pianificato». Non soldi ben spesi, dunque. «Nel complesso direi proprio di no. La Commissione europea non tiene traccia di tutti i progetti attuati e ciò fa sì che non esista una banca dati che permetta di consultare tutte le iniziative. A livello nazionale la situazione è simile, sebbene la maggior parte dei Paesi abbia una banca dati locale. Mentre è teoricamente possibile tracciare il percorso dei fondi (quanto denaro e chi lo ha ricevuto e quanto), gli effetti e l'impatto dei progetti sono troppo diversi e troppo vaghi per essere registrati e confrontati in modo efficace. L'identità dei beneficiari finali è spesso impossibile da dimostrare». Che dire della qualità delle iniziative proposte? «La maggior parte dei progetti dura da 2 a 4 anni e, una volta esauriti i soldi, viene interrotta. Una durata troppo breve per avere un impatto sulla marginalizzazione, la povertà e la discriminazione. I progetti vanno spesso a rilento anche per via dell'enorme mole burocratica. Anche il tipo di progetti implementati è problematico. Come ho detto prima, la maggior parte delle iniziative si concentra sulla formazione di base per l'impiego (abilità informatiche, scrittura di curriculum vitae). Il più delle volte queste attività non sono abbinate alle esigenze di lavoro regionali e nazionali, e non affrontano in alcun modo la discriminazione nel mercato del lavoro». Un quadro desolante, non c'è che dire. «Nella loro forma attuale, i fondi strutturali non affrontano le principali questioni che riguardano i rom: povertà intergenerazionale, segregazione scolastica, discriminazione dilagante e razzismo, disoccupazione di lunga durata. Non mancano promesse, conferenze, relazioni e strategie. Nessuna di queste, però, è correttamente implementata».
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
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Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)