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2020-04-16
I 200 miliardi di Conte? sono 5
Giuseppe Conte (Ansa)
«Abbiamo liberato poderose risorse. Per le imprese, anche piccolissime, arrivano 200 miliardi di garanzie sui prestiti e 200 miliardi per l'export», esultava in conferenza stampa Giuseppe Conte anticipando un decreto che non sarebbe entrato in Gazzetta ufficiale se non con 72 ore di ritardo rispetto all'annuncio in mondo visione. I primi due giorni di attesa sono da collegare all'esito dell'Eurogruppo. L'esecutivo sperava che da lì sarebbero arrivati fondi per riempire il decreto imprese di soldi veri. Quando il governo ha dovuto ammettere a sé stesso che da Bruxelles non sarebbe arrivato nulla, il testo è stato approvato e pubblicato in Gazzetta nel pieno della notte. L'indomani si è scoperto che che le uniche coperture sottostanti valevano 2,72 miliardi di euro. Un miliardo destinato a Sace, impegnata a favorire l'export, e il rimanente miliardo e 720 milioni per il Mediocredito centrale che a sua volta gestisce il Fondo di garanzia a cui spetta il compito di erogare i prestiti per le imprese impegnate sul mercato italiano e per le partite Iva.
Per capire l'effettiva portata delle promesse di Conte si è dovuto però attendere che si riunisse il consiglio di gestione del Fondo e che a sua volta Sace definisse la leva di credito.
Adesso basta un pallottoliere per mettere in fila i numeri e le erogazioni. E si ha la certezza che il mondo delle conferenze stampa del premier non coincide per nulla con la realtà del Paese.
Dei 200 miliardi promessi da Conte per il mercato interno soltanto 5,18 sono reali. Gli altri 194,82 restano un desiderio destinato a non realizzarsi. Il consiglio del Fondo di garanzia ha, infatti, deciso che i prestiti fino a 25.000 euro (garantiti al 100% dallo Stato) sono molto rischiosi e quindi per ogni euro erogato ne andranno accantonati tre. Tradotto, la leva che il Fondo deciderà di utilizzare si ferma a tre volte. E quindi basta fare 1,72 miliardi per tre e si arriva a 5,16 miliardi. Il Fondo ha deciso di non prendere altri rischi per un semplice motivo: dare soldi senza garanzia significa molto spesso non rivederli indietro e se il Fondo poi andasse a gambe all'aria toccherebbe agli amministratori risponderne penalmente. Non certo al ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, o al premier. Inventarsi promesse fasulle in conferenza stampa non è ancora un reato. Così con i soldi che potranno essere erogati il Fondo darà risposta a 200.000 pratiche o, se consideriamo una cifra mediana di 15.000 euro per pratica, a un massimo di 350.000 aziende. Solo le partite Iva sono 5 milioni e le Pmi 4,3 milioni. Soddisfarne solo 350.000 rischia di essere un tremendo boomerang per Conte che prima o poi, almeno politicamente, dovrà rispondere dei danni che sta facendo alla nostra economia.
Senza contare che se il budget disponibile venisse subito esaurito dalle richieste inferiori a 25.000 euro (molto probabile) il fondo del Mediocredito non potrebbe più erogare le garanzie con copertura al 90%. Si tratta dei pacchetti per le imprese più grandi che a loro volta vedono coinvolte le banche che dovranno garantire il 10% rimanente. Su queste pratiche il Fondo utilizzerà la leva tradizionale di 12,5 volte che, di fatto, corrisponde al classico accantonamento dell'8% rispetto al totale erogato. In pratica, siamo di fronte a una bufala politica. Calmierata solo un po' dalla parte del decreto relativa all'export.
Sul versante di Sace, i fondi sottostanti si fermano a un miliardo ma la leva che sarà messa in campo sale a 20 volte il plafond. In pratica, le aziende impegnate a esportare i propri prodotti potranno chieder garanzie fino a 20 miliardi. Quattro volte tanto il pacchetto del Fondo gestito da Mcc, ma pur sempre dieci volte meno le promesse di Conte. Che in conferenza stampa valevano 400 miliardi e nella realtà solo 25,18. «Nel magico mondo del premier», commenta Enrico Zanetti responsabile di Eutekne.info ed ex viceministro all'Economia, «i commi che contano sono quelli che fissano le cifre massime, ma nella realtà bancaria e imprenditoriale ciò che conta sono i commi che fissano i plafond reali di spesa. Altrimenti promettere 400 miliardi su una base di 2,7 è come promettere di abolire la povertà. Tanto più che tutte le responsabilità non sono in capo ai politici ma scaricate su enti pubblici che devono rispondere dei bilanci e della governance».
Il riferimento è al fatto che le garanzie non vengono erogate direttamente dal Tesoro. Così come si fa con i bonus dell'Inps e la cassa integrazione Covid-19. Evidentemente si spera che gli intoppi burocratici o logistici possano deviare l'attenzione dai fallimenti politici. Basti pensare che il Fondo di garanzia nel 2019 ha evaso circa 120.000 pratiche, confermando il trend degli anni precedenti. Ora in 4-5 settimane si troverà a rispondere a un numero compreso tra le 200 e le 350.000 richieste. Andrà in tilt? Probabilmente. E anche questo servirà a Conte a far dimenticare l'altro gioco delle tre carte presente nel decreto imprese. I 2,72 miliardi sottostanti sono in realtà a saldo zero. Il miliardo destinato a Sace è stato pescato da un fondo messo in pista nel 2014 - in pieno governo Renzi - per sostenere quelle aziende in attesa di ricevere i pagamenti della pubblica amministrazione. Degli 1,7 miliardi per il Fondo di garanzia, 1,5 erano stati stanziati nell'articolo 49 del Cura Italia di marzo. L'articolo è stato abrogato e i fondi sono riapparsi carsicamente nell'articolo 13 del decreto imprese. Ma sono sempre gli stessi. Così come i rimanenti 220 milioni girati all'ente del Mediocredito centrale provengono da un altro articolo del Cura Italia. Per Conte nulla si crea e nulla si distrugge. Solo le aziende falliscono.
Le banche ne hanno già liberati 50
Mentre sui rubinetti del Dl liquidità comincia a spuntare la ruggine della burocrazia, le banche hanno già fatto più del governo. L'alleggerimento delle misure prudenziali sul capitale degli istituti italiani, unito alla mancata distribuzione di 5,5 miliardi di dividendi questa primavera ha infatti liberato 50 miliardi di capitale «utilizzabile o per i prestiti o per far fronte a future perdite». Lo ha detto ieri Paolo Angelini, capo della Vigilanza della Banca d'Italia, in audizione davanti alla commissione bicamerale d'inchiesta sul settore del credito. Fornendo anche nuovi dati: le domande di moratoria da parte di imprese e famiglie alla data del 3 aprile riguardavano oltre 660.000 prestiti e avevano raggiunto i 75 miliardi di debito residuo di cui due terzi da parte delle imprese e un terzo dalle famiglie.
E nella relazione presentata in commissione le stime di Via Nazionale indicano che tra marzo e luglio il fabbisogno aggiuntivo di liquidità delle imprese possa raggiungere i 50 miliardi. «Le banche dopo uno sbandamento iniziale hanno preso accorgimenti organizzativi per reagire all'emergenza e hanno preso risorse dal back office per gestire questioni e domande poi hanno rivisto i sistemi di delega per sveltire le procedure per le moratorie; la sensazione è che dopo una fase iniziale faticosa ora si siano ridotti i tempi di gestione delle richieste e l'insoddisfazione della clientela», ha spiegato Angelini.
Intanto è al lavoro la task force per la liquidità del sistema bancario alla quale partecipano Mef, Abi, Mediocredito centrale e la stessa Bankitalia, ai quali si sono poi aggiunti il Mise e la Sace. Ma l'impressione, ha detto il capo della Vigilanza, «è che per alcune misure dei decreti la parte discrezionale lasciata alle banche è molto molto modesta e in alcuni casi anche inesistente. Ciononostante questo è un tema importante e ovviamente la task force farà del suo meglio per monitorare questo aspetto e fare in modo che la liquidità affluisca fino all'ultimo miglio e non si fermi per la strada». Per assicurare un rapido dispiegamento degli strumenti di contrasto dell'emergenza approvati dal governo, i tecnici di Bankitalia suggeriscono di considerare modalità di tracciamento dei finanziamenti erogati, come l'obbligo di convogliare i prstiti con garanzia pubblica su conti dedicati.
Ma, come nel caso delle imprese, pure nel mondo del credito non tutti gli istituti hanno le spalle abbastanza larghe per resistere all'impatto dell'emergenza. Anche perché lo shock macroeconomico generato dalla pandemia da Covid-19 potrebbe generare un forte aumento del tasso di deterioramento dei prestiti. «Per le banche che già presentavano elementi di fragilità», hanno detto i rappresentanti di Bankitalia, «è possibile che le azioni poste in essere dal governo e dalle autorità di vigilanza non siano sufficienti a permettere loro di sostenere le conseguenze. Sarà necessario, in questi casi, valutare tempestivamente la possibilità di indirizzare il sostegno pubblico per favorire processi aggregativi anche degli intermediari di minore dimensione e maggiormente a rischio».
Nel frattempo, però, tutti gli istituti hanno bisogno «di avere certezze giuridiche su strumenti e modalità operative», sottolinea una nota del comitato esecutivo dell'Abi riunito ieri in videoconferenza. Elencando le difficoltà nelle quali le banche si trovano a operare: «Le dichiarazioni di immediata disponibilità delle forme di anticipazione di liquidità non hanno tenuto infatti in conto degli adempimenti, non dipendenti dalle banche, non sempre ancora completati e che impediscono alle banche di attuare, fino a ora, le misure di liquidità, che necessiterebbero di semplificazioni», aggiunge l'associazione dei banchieri. Che, ad esempio, attendono dal Mediocredito centrale l'attivazione delle procedure di trasmissione delle domande per l'accesso alle relative garanzie sui prestiti fino a 25.000 euro per piccole imprese e partite Iva.
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Per ogni euro erogato ne andranno accantonati 3: i fondi garantiti basteranno per 350.000 imprese ma ci sono 9,3 milioni di Pmi e partite Iva attive. Pure le pratiche in capo a Sace per l'export non supereranno i 20 miliardi.Via Nazionale spiega che i denari arrivano da taglio dei dividendi e alleggerimento delle misure sul capitale. Presentate 660.000 domande di moratoria sui prestiti.Lo speciale contiene due articoli«Abbiamo liberato poderose risorse. Per le imprese, anche piccolissime, arrivano 200 miliardi di garanzie sui prestiti e 200 miliardi per l'export», esultava in conferenza stampa Giuseppe Conte anticipando un decreto che non sarebbe entrato in Gazzetta ufficiale se non con 72 ore di ritardo rispetto all'annuncio in mondo visione. I primi due giorni di attesa sono da collegare all'esito dell'Eurogruppo. L'esecutivo sperava che da lì sarebbero arrivati fondi per riempire il decreto imprese di soldi veri. Quando il governo ha dovuto ammettere a sé stesso che da Bruxelles non sarebbe arrivato nulla, il testo è stato approvato e pubblicato in Gazzetta nel pieno della notte. L'indomani si è scoperto che che le uniche coperture sottostanti valevano 2,72 miliardi di euro. Un miliardo destinato a Sace, impegnata a favorire l'export, e il rimanente miliardo e 720 milioni per il Mediocredito centrale che a sua volta gestisce il Fondo di garanzia a cui spetta il compito di erogare i prestiti per le imprese impegnate sul mercato italiano e per le partite Iva.Per capire l'effettiva portata delle promesse di Conte si è dovuto però attendere che si riunisse il consiglio di gestione del Fondo e che a sua volta Sace definisse la leva di credito.Adesso basta un pallottoliere per mettere in fila i numeri e le erogazioni. E si ha la certezza che il mondo delle conferenze stampa del premier non coincide per nulla con la realtà del Paese.Dei 200 miliardi promessi da Conte per il mercato interno soltanto 5,18 sono reali. Gli altri 194,82 restano un desiderio destinato a non realizzarsi. Il consiglio del Fondo di garanzia ha, infatti, deciso che i prestiti fino a 25.000 euro (garantiti al 100% dallo Stato) sono molto rischiosi e quindi per ogni euro erogato ne andranno accantonati tre. Tradotto, la leva che il Fondo deciderà di utilizzare si ferma a tre volte. E quindi basta fare 1,72 miliardi per tre e si arriva a 5,16 miliardi. Il Fondo ha deciso di non prendere altri rischi per un semplice motivo: dare soldi senza garanzia significa molto spesso non rivederli indietro e se il Fondo poi andasse a gambe all'aria toccherebbe agli amministratori risponderne penalmente. Non certo al ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, o al premier. Inventarsi promesse fasulle in conferenza stampa non è ancora un reato. Così con i soldi che potranno essere erogati il Fondo darà risposta a 200.000 pratiche o, se consideriamo una cifra mediana di 15.000 euro per pratica, a un massimo di 350.000 aziende. Solo le partite Iva sono 5 milioni e le Pmi 4,3 milioni. Soddisfarne solo 350.000 rischia di essere un tremendo boomerang per Conte che prima o poi, almeno politicamente, dovrà rispondere dei danni che sta facendo alla nostra economia. Senza contare che se il budget disponibile venisse subito esaurito dalle richieste inferiori a 25.000 euro (molto probabile) il fondo del Mediocredito non potrebbe più erogare le garanzie con copertura al 90%. Si tratta dei pacchetti per le imprese più grandi che a loro volta vedono coinvolte le banche che dovranno garantire il 10% rimanente. Su queste pratiche il Fondo utilizzerà la leva tradizionale di 12,5 volte che, di fatto, corrisponde al classico accantonamento dell'8% rispetto al totale erogato. In pratica, siamo di fronte a una bufala politica. Calmierata solo un po' dalla parte del decreto relativa all'export. Sul versante di Sace, i fondi sottostanti si fermano a un miliardo ma la leva che sarà messa in campo sale a 20 volte il plafond. In pratica, le aziende impegnate a esportare i propri prodotti potranno chieder garanzie fino a 20 miliardi. Quattro volte tanto il pacchetto del Fondo gestito da Mcc, ma pur sempre dieci volte meno le promesse di Conte. Che in conferenza stampa valevano 400 miliardi e nella realtà solo 25,18. «Nel magico mondo del premier», commenta Enrico Zanetti responsabile di Eutekne.info ed ex viceministro all'Economia, «i commi che contano sono quelli che fissano le cifre massime, ma nella realtà bancaria e imprenditoriale ciò che conta sono i commi che fissano i plafond reali di spesa. Altrimenti promettere 400 miliardi su una base di 2,7 è come promettere di abolire la povertà. Tanto più che tutte le responsabilità non sono in capo ai politici ma scaricate su enti pubblici che devono rispondere dei bilanci e della governance». Il riferimento è al fatto che le garanzie non vengono erogate direttamente dal Tesoro. Così come si fa con i bonus dell'Inps e la cassa integrazione Covid-19. Evidentemente si spera che gli intoppi burocratici o logistici possano deviare l'attenzione dai fallimenti politici. Basti pensare che il Fondo di garanzia nel 2019 ha evaso circa 120.000 pratiche, confermando il trend degli anni precedenti. Ora in 4-5 settimane si troverà a rispondere a un numero compreso tra le 200 e le 350.000 richieste. Andrà in tilt? Probabilmente. E anche questo servirà a Conte a far dimenticare l'altro gioco delle tre carte presente nel decreto imprese. I 2,72 miliardi sottostanti sono in realtà a saldo zero. Il miliardo destinato a Sace è stato pescato da un fondo messo in pista nel 2014 - in pieno governo Renzi - per sostenere quelle aziende in attesa di ricevere i pagamenti della pubblica amministrazione. Degli 1,7 miliardi per il Fondo di garanzia, 1,5 erano stati stanziati nell'articolo 49 del Cura Italia di marzo. L'articolo è stato abrogato e i fondi sono riapparsi carsicamente nell'articolo 13 del decreto imprese. Ma sono sempre gli stessi. Così come i rimanenti 220 milioni girati all'ente del Mediocredito centrale provengono da un altro articolo del Cura Italia. Per Conte nulla si crea e nulla si distrugge. 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Lo ha detto ieri Paolo Angelini, capo della Vigilanza della Banca d'Italia, in audizione davanti alla commissione bicamerale d'inchiesta sul settore del credito. Fornendo anche nuovi dati: le domande di moratoria da parte di imprese e famiglie alla data del 3 aprile riguardavano oltre 660.000 prestiti e avevano raggiunto i 75 miliardi di debito residuo di cui due terzi da parte delle imprese e un terzo dalle famiglie. E nella relazione presentata in commissione le stime di Via Nazionale indicano che tra marzo e luglio il fabbisogno aggiuntivo di liquidità delle imprese possa raggiungere i 50 miliardi. «Le banche dopo uno sbandamento iniziale hanno preso accorgimenti organizzativi per reagire all'emergenza e hanno preso risorse dal back office per gestire questioni e domande poi hanno rivisto i sistemi di delega per sveltire le procedure per le moratorie; la sensazione è che dopo una fase iniziale faticosa ora si siano ridotti i tempi di gestione delle richieste e l'insoddisfazione della clientela», ha spiegato Angelini. Intanto è al lavoro la task force per la liquidità del sistema bancario alla quale partecipano Mef, Abi, Mediocredito centrale e la stessa Bankitalia, ai quali si sono poi aggiunti il Mise e la Sace. Ma l'impressione, ha detto il capo della Vigilanza, «è che per alcune misure dei decreti la parte discrezionale lasciata alle banche è molto molto modesta e in alcuni casi anche inesistente. Ciononostante questo è un tema importante e ovviamente la task force farà del suo meglio per monitorare questo aspetto e fare in modo che la liquidità affluisca fino all'ultimo miglio e non si fermi per la strada». Per assicurare un rapido dispiegamento degli strumenti di contrasto dell'emergenza approvati dal governo, i tecnici di Bankitalia suggeriscono di considerare modalità di tracciamento dei finanziamenti erogati, come l'obbligo di convogliare i prstiti con garanzia pubblica su conti dedicati. Ma, come nel caso delle imprese, pure nel mondo del credito non tutti gli istituti hanno le spalle abbastanza larghe per resistere all'impatto dell'emergenza. Anche perché lo shock macroeconomico generato dalla pandemia da Covid-19 potrebbe generare un forte aumento del tasso di deterioramento dei prestiti. «Per le banche che già presentavano elementi di fragilità», hanno detto i rappresentanti di Bankitalia, «è possibile che le azioni poste in essere dal governo e dalle autorità di vigilanza non siano sufficienti a permettere loro di sostenere le conseguenze. Sarà necessario, in questi casi, valutare tempestivamente la possibilità di indirizzare il sostegno pubblico per favorire processi aggregativi anche degli intermediari di minore dimensione e maggiormente a rischio». Nel frattempo, però, tutti gli istituti hanno bisogno «di avere certezze giuridiche su strumenti e modalità operative», sottolinea una nota del comitato esecutivo dell'Abi riunito ieri in videoconferenza. Elencando le difficoltà nelle quali le banche si trovano a operare: «Le dichiarazioni di immediata disponibilità delle forme di anticipazione di liquidità non hanno tenuto infatti in conto degli adempimenti, non dipendenti dalle banche, non sempre ancora completati e che impediscono alle banche di attuare, fino a ora, le misure di liquidità, che necessiterebbero di semplificazioni», aggiunge l'associazione dei banchieri. Che, ad esempio, attendono dal Mediocredito centrale l'attivazione delle procedure di trasmissione delle domande per l'accesso alle relative garanzie sui prestiti fino a 25.000 euro per piccole imprese e partite Iva.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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