2022-05-06
Le radici non si comprano coi milioni. Che lezione alle squadre di plastica
La delusione dei giocatori del Manchester City dopo la sconfitta col Real Madrid (Ansa)
City e Psg eliminate dal Real Madrid, che va in finale col Liverpool: i club di grande blasone smontano i giocattoli d’oro degli sceicchi anche grazie alla mentalità dei loro campioni, decisiva nelle fasi cruciali. Galleggiano ai margini del golfo dove la corrente le deposita come vuoti a perdere. Sono le squadre di plastica, quelle costruite a tavolino o anche al circo, con il budget stellare come unico totem. Il Manchester City ha raggiunto il Paris Saint Germain nel sacco giallo, dove vengono riciclati i relitti con caratteristiche simili: collezioni di giocatori forti e strapagati, nessun leader in campo, allenatori con smorfie da guru, storie recenti con un appeal da costruire, bacheche internazionali vuote. Ancora una volta gli sceicchi stanno a guardare. In finale di Champions ci vanno Real Madrid e Liverpool (19 coppe dalle grandi orecchie in due) perché Karim Benzema, perché Momo Salah, perché Carlo Ancelotti, perché Jürgen Klopp, perché la dea bendata, perché la capacità di soffrire, perché «SurRealiste» come titola L’Équipe. Tutto già scritto e letto. Ma quest’anno ci vanno innanzitutto perché le grandi querce hanno radici profonde.La sentenza del Bernabeu è storica: chi non ha carisma sulla maglia e senso di appartenenza sotto la pelle ripassi dopo gli esami di riparazione. Il globalismo nel calcio è sempre qualcosa di volatile, quando non di sbilenco. Per due volte la legge della tradizione, dell’identità e di quell’energia che deriva dal passato hanno fatto premio sul plexiglas dei nuovi ricchi. E per due volte sono stati i blancos - il club che più di ogni altro preserva e tramanda questi valori, riassunti dalla foto di Alfredo Di Stefano allo sbocco del tunnel - a bocciare la rivoluzione: prima mandando a casa i francesi freak, poi la multinazionale modaiola di Manchester. Sempre in rimonta, sempre con la «garra charrua» che al 90’ non ti affossa nella stanchezza cosmica ma ti dà ancora la forza di ruggire in faccia al mondo.Nella pausa prima dei tempi supplementari della doppia sfida più vista e vissuta al mondo, una scena ci ha fatto capire chi avrebbe vinto e chi avrebbe perso. Un antico guerriero come Marcelo ormai in disarmo per sfide omeriche, non potendo aiutare i compagni in campo portava loro le borracce per dissetarli, dava consigli, stringeva a sé i più giovani incitandoli all’ultima impresa. Lui, Benzema, Modric, Casemiro, i quattro dell’oca selvaggia con lo stemma del Real tatuato sulla pelle. Leader per sempre. Dall’altra parte solo volti sfatti, gente sperduta in terra ostile, nessuno in grado di prendersi la squadra sulle spalle perché l’unico, Kevin De Bruyne, era stato sostituito come un comprimario. Quasi a ribadire che nel City, collettivo aziendale scelto per curriculum, l’unico leader è Pep Guardiola, quello che non gioca.Come le perde Guardiola da qualche annetto, nessuno mai. Dopo la sbornia con il Barcellona dei fenomeni e del tiki-taka, il guru da panchina viene rimbalzato come un nouveau riche (cinque tentativi, quattro eliminazioni e una finale persa) nonostante investimenti da 2 miliardi di euro da parte dell’emiro Mansour Al Nahyan e qualche esercizio di finanza creativa tollerato dall’Uefa nel periodo in cui il fair play finanziario era una cosa (quasi) seria. Più attratto dal marketing e dagli influencer che dalla sostanza, l’estate scorsa riuscì nell’impresa di pagare 100 milioni di sterline Jack Grealish all’Aston Villa perché somigliava nelle movenze e nella fascetta tricot a David Beckham. Un panchinaro di lusso. Al Real le seconde linee guadagnano la metà rispetto ai big e hanno infinite motivazioni in più per morire inseguendo l’ultimo pallone. Proprio Guardiola mette la lapide sull’ennesima batosta. «Non stavamo soffrendo, ma loro hanno trovato i gol e mi congratulo con loro. Anche all’89’ non mi vedevo in finale perché conosco il Bernabeu. Ora passeremo dei giorni brutti». Poi la butta sul destino, sull’incapacità dei suoi di chiudere la partita quando l’avevano in pugno. Ma Clarence Seedorf, a bordocampo come commentatore, ha l’ultima parola: «Non voglio mancare di rispetto al City ma la storia non si crea in due anni e nemmeno in dieci. Al Real se esci agli ottavi non devi farti vedere per strada per un decennio, al City non c’è questa pressione che crea grande responsabilità nei momenti chiave».Si chiama spirito di squadra, carisma di una maglia, forse è quell’amalgama che Angelo Massimino negli anni Settanta cercava sul mercato per il suo Catania («Ci manca l’amalgama? Ditemi dove gioca e lo compro»). È qualcosa di impalpabile che arriva dal passato, dal destino della storia, e che Ancelotti conosce bene. Un impasto di orgoglio, nobiltà, legame con la filosofia del club che in campo internazionale fa la differenza e che lui ha vissuto su di sé prima al Milan, poi a Madrid. In questo contesto è tutto più facile, naturale per dirla alla Jorge Valdano (oracolo da fiera dell’ovvio adorato dalla stampa italiana): «Carlo vince perché conserva il suo spirito rurale e non si sente padrone del football. Mentre gli altri soffrono, lui si diverte. È un uomo felice». Con al fianco il geniale preparatore atletico Antonio Pintus ancora di più. Meno contento oggi è Alexander Ceferin, padrone dell’Uefa, che sperava di togliersi dai piedi con una squalifica sanguinosa il nemico Florentino Perez (primo promotore della Superlega) e invece il 28 maggio a Parigi rischia di consegnargli la Champions. Real e Liverpool, squadre antiche refrattarie alle mode, riescono a consolare perfino l’Inter, battuta quest’anno solo da chi è arrivato in fondo al trofeo. Mentre i milionari di plastica galleggiano, un’antica certezza riaffiora dalla notte di Madrid: certi club non cammineranno mai soli.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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