2022-08-14
Le poesie e i ricordi nascosti tra i tronchi delle fragili betulle
Piccoli, modesti e delicati: basta una folata leggera per piegare questi arbusti. Ma le loro cortecce celano storie da interpretare.Marisa aveva sempre vissuto in punta di piedi. Era convinta che la grazia e la gentilezza fossero i tasselli fondamentali per attraversare quella cosa strana, a volte trasparente e impalpabile, inconsistente, indefinibile, incomprensibile, e altre volte rude, abrasiva, addirittura violenta che chiamiamo vita. Forse era perché aveva perso la mamma prima ancora di accantonare i primi ricordi, a causa di una malattia, o forse perché suo padre l’ha sempre trattata come una piccola principessa, certo, una principessa senza regno, senza dote, quasi senza niente, crescendo in quel piccolo borgo di campagna sulle sponde del Bormida, in una valle segnata da colline e vigneti, sui quali i bambini come lei spuntavano come fiorellini al sole, accarezzati da un vento leggero e accompagnati alla crescita in un ambiente semplice ma senza eccessive povertà. Quantomeno a quel tempo, suo padre e suo nonno ne potevano raccontare di storie ben diverse.Marisa è diventata adulta senza mai conoscere un amore impetuoso, ma nemmeno la vergogna di un ragazzo eccessivamente spigliato e furbo, interessato soltanto al suo dono più prezioso. Si era sempre saputa tenere a distanza dai cercatori degli amori di una notte, i ragazzini d’altronde, soprattutto nelle lunghe estati, non è che abbiano molte altre cose da fare, in queste terre. Ma, era stata brava, si era protetta il giusto, e così quando è arrivato il tempo di riempire la valigia degli abiti migliori per andare in città a proseguire gli studi fu una festa, una sorpresa, anche se le dispiaceva abbandonare così suo padre. Certo, sarebbe tornata a casa tutti i fine settimana e alle feste comandate, ma non sarebbe più stata la stessa cosa. Suo padre ne era al contempo felice e triste.Abituarsi al rumore della città, alla sua confusione, al traffico, al cielo ritagliato e alla mancanza di prati non è stato così immediato, ma nemmeno traumatico come temeva. In poche settimane aveva una nuova casa, una stanza in un caseggiato dedicato tutto agli studenti fuori sede, come lei, soprattutto dal Mezzogiorno. Aveva una nuova classe, nuovi compagni, nuovi docenti, nuovi libri, e nuovi negozi da frequentare. Al tempo esistevano ancora molti negozi di musica, la musica le era sempre piaciuta moltissimo, soprattutto americana, i Fleedwood Mac, Joni Mitchell, Crosby, Stills, Nash and Young, Simon & Garfunkel. Cat Stevens, Bruce Springsteen, James Taylor, Carly Simon… aveva collezionato tutti i dischi che poteva, anche se vivendo in provincia era stato abbastanza arduo, ora aveva accesso a queste grandi raccolte che poteva sfogliare nei tanti negozi della città, i live, i bootleg, i the best of, anche dischi di cui non aveva mai sentito parlare. Ovviamente doveva centellinare gli acquisti, i denari in città sono sempre molto pochi. Ecco, anche la parsimonia era un valore che aveva imparato ad apprezzare, fin da bambina. Marisa era poi diventata grande, una docente, addirittura, chi l’avrebbe mai pensato quando era partita con la sua valigia piena di abiti e la sua raccolta di musica preferita su musicassetta, e aveva preso quel treno sbuffante caldissimo nel quale c’era comunque troppa gente rispetto ai posti disponibili e i finestrini tutti aperti che sembravano gettare dentro aria calda, e non fresca. Il tempo era volato, e così erano arrivati il matrimonio, la figlia, il figlio maschio tanto desiderato, soprattutto dal marito, e mentre la sua carriera di docente universitaria si svolgeva la figlia grande usciva di casa per andare a studiare a Londra, suo figlio maschio spariva in giro per il mondo facendo l’autostop e suo marito purtroppo si ammalava e moriva. L’ultimo giorno di lavoro aveva organizzato una festicciola alla fine della lezione, aveva portato dei fiori, un mazzo enorme di narcisi gialli, era l’inizio di marzo, che regalò ai suoi amatissimi studenti. Alcune ragazze piansero, addirittura, e la cosa non smette di commuoverla anche ora che sono passati altri anni e lei oramai è una delicata signora che viaggia verso gli ottant’anni. Ma ancora pienamente «autosufficiente» - una parola orribile, chi l’ha inventata? - e così in estate, chiude le finestre del suo appartamento al terzo piano e vien su, in valle, in una di queste venature selvatiche che si inarcano tra le terre alte della sua regione. Non ha una valle preferita, non ha un comune, un borgo preferito, semplicemente vien su, annusa un po’ l’aria, parlotta con qualche altro coetaneo del posto, si dedica alle sue camminate tra boschi e prati, ammira le cime, mangia polente, sughi, gnocchi e sostanziosi piatti di carne, e si fa passare il tempo leggendo qualche vecchio libro, sorseggiando del vino rosso e attendendo che ogni sera si dipinga davanti ai suoi occhi violacei. Ogni tanto stringe amicizia con qualche vicino simpatico, non che in montagna sia così frequente, a dire il vero. Da tre anni torna in Valchiusella, si solleva alle spalle della città di Ivrea e risale tra pascoli, vigneti, campi di cereali e patate, boschi di faggio, acero e frassino, qualche castagno, qualche conifera, e tante case disperse, segni di una intensa attività contadina. In verità in passato il lavoro era distribuito anzitutto dalle miniere, oggi chiuse, il turismo è ancora poco ma in netta crescita. E c’è un posto che Marisa ama venire a visitare, Cima Bossola, un rigonfiamento della terra che sale fino a 1509 metri, c’è una strada asfaltata che risale e la abbandona accanto all’unico ristoro attivo, anche se spesso è chiuso. Da qui partono i sentieri che esplorano una vegetazione a singhiozzo, ma caratterizzata anzitutto dalla presenza di molte betulle. Le betulle sono alberi che le assomigliano: piccoli, modesti, fragili, bastano folate leggere per piegarli e temporali per sradicarli. Suo padre le ha lasciato un flauto scolpito con le sue mani nel legno di betulla, lei ha imparato a suonarlo, certo per se stessa, per sentirsi più vicino a lui, per evocarne lo spirito, il ricordo, l’emozione trattenuta di quel bene che le voleva sopra ogni altra cosa. Quando Marisa incontra una betulla ne osserva la corteccia biancastra, lattiginosa, il disegno triangolare e nero che sembra essere stato tratteggiato a matita dalle piccole mani di un elfo, o di chissà quale altra dispettosa creatura. Non che lei ci creda, lo pensa per ridere. Ma in quei tratteggi lei scorge parole, delle poesie che la natura si diverte a lasciarci senza però dirci come interpretarle. Indovina, sembra dirle lo spirito di questo bosco, indovina che cosa ti sto dicendo, indovina chi sono, indovina che senso ha tutto questo.