
Tanti annunci, ma mancano regole per permettere alle banche di anticipare prestiti alle imprese e cassa integrazione. I cittadini sono chiusi in casa senza soldi. E non riceveranno nulla fino a maggio.Mi chiama un amico imprenditore da Napoli. Ha quasi cento dipendenti, e dopo la messa in quarantena dell'Italia per il coronavirus è stato costretto a lasciarli a casa. Il suo consulente del lavoro, che prepara le paghe e istruisce le procedure per la cassa integrazione, lo ha chiamato ieri per dirgli che a distanza di un mese dagli annunci roboanti di Giuseppe Conte, per i suoi collaboratori non c'è un euro e non ci sarà neppure nei prossimi giorni. «Ci sono padri di famiglia chiusi in una casa di cinquanta-sessanta metri quadrati con i loro figli», mi dice al telefono, «e a Pasqua non sapranno che cosa mettere in tavola, perché al di là delle promesse non hanno avuto niente».Il mio amico è disperato, perché non solo vede crollare ciò che ha costruito con sacrifici e anni di lavoro, ma vede i suoi dipendenti ridotti alla fame. «Maurizio, questi al governo non hanno capito: qui scoppia una rivoluzione. Tra un po' la gente scende in piazza, ma non perché vuole evadere dall'isolamento, perché non sa che altro fare. Non ha i mezzi per campare». Lo sfogo dell'imprenditore conferma quello che vado scrivendo da giorni e che da giorni la grande stampa prova a ignorare, preferendo inseguire le conferenze stampa del presidente del Consiglio. Dietro le rassicurazioni del capo del governo c'è il nulla. Il sussidio una tantum che l'Inps doveva distribuire subito per aiutare le partite Iva, i professionisti e i commercianti rimasti a becco asciutto non si è ancora visto nonostante gli annunci. Seicento euro non solo la soluzione del problema delle centinaia di migliaia di famiglia a cui è venuto a mancare il reddito per cessata attività, ma sono pur sempre un aiuto, che per ora è limitato solo alle parole. Non va meglio con la promessa di una «immediata e poderosa» iniezione di liquidità fatta lunedì da Giuseppe Conte. A quarantott'ore dalla conferenza stampa di Palazzo Chigi, il decreto ancora non si è visto. Nel puro stile della maggioranza pentapiddina, le cose si dicono prima di averle fatte, e dunque al momento non esiste un testo su cui orientarci. E se non lo abbiamo noi, non lo hanno neppure le banche, le quali dovrebbero erogare il denaro alle imprese in difficoltà. A oggi non si sa se è stato aggirato l'ostacolo del via libera che la commissione Ue deve dare per evitare che i finanziamenti siano considerati aiuti di Stato. Margrethe Vestager in passato ha dato del filo da torcere ai nostri istituti di credito e, nonostante l'emergenza, non è detto che non lo faccia anche questa volta. Ma, a parte questo scoglio da aggirare, poi ne esistono altri, e il principale sono i tempi che le banche dovranno prendersi per istruire le pratiche. L'«immediata e poderosa» iniezione di liquidità annunciata dal premier rischia insomma di essere rinviata a data da destinarsi: di sicuro dopo le vacanze pasquali, ma è probabile anche dopo il 25 aprile e il primo maggio, giusto il tempo di veder schiattare qualche azienda. «Che vuole?», mi dice il direttore della filiale di una delle primarie banche italiane. «Gli imprenditori ci telefonano per avere diritto al fido promesso in tv, ma a oggi noi non abbiamo neppure disposizioni per anticipare la cassa integrazione che è stata disposta dal precedente decreto. Nessuno ci ha detto come fare e cosa fare e dunque la Cig per ora rimane lettera morta». Come mi dice un banchiere: «Per il governo è più importante comunicare che fare». Fino a quando?
content.jwplatform.com
I candidati M5s in Campania e Calabria riesumano il reddito di cittadinanza
Uno studio di Ener2Crowd fotografa le difficoltà dei giovani italiani nell’acquisto della prima casa: in molte città servono oltre 80 anni di reddito, anche con mutuo. Pesano salari bassi, precarietà e il divario tra chi riceve aiuti familiari e chi no.
Nel riquadro il console e direttore generale dell'ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia, Riccardo Tsan-Nan Lin. Sullo sfondo l'edificio dell'Onu a New York (iStock)
Alla vigilia dell’Assemblea Onu, torna il tema dell’esclusione di Taiwan dalle Nazioni Unite e dalle agenzie specializzate. L’isola, attiva in economia, sanità e tecnologia, rivendica un ruolo nella comunità internazionale nonostante le pressioni cinesi. Pubblichiamo l'intervento di Riccardo Tsan-Nan Lin, console e direttore generale dell'ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia.
Sapete che Taiwan, un Paese democratico e indipendente, una potenza economica mondiale, leader nella produzione di semiconduttori, nonché snodo fondamentale per l’aviazione civile e grande donatore di mascherine agli Stati in difficoltà durante l’emergenza Covid, è ancora esclusa dall’Onu e dalle sue agenzie specializzate come l’Icao e l’Oms?
L’80ª sessione annuale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA 80) si aprirà a New York il 9 settembre 2025. Eppure, nonostante Taiwan abbia sempre avuto un ruolo attivo, contribuendo in modo significativo alla comunità internazionale con eccellenti risultati in diversi campi, la sua partecipazione agli incontri ufficiali dell’Organizzazione non è consentita per ragioni puramente politiche.
Il tema dell’imminente edizione dell’Assemblea Generale, «Insieme è meglio: 80 anni e oltre per la pace, lo sviluppo e i diritti umani», suona vuoto quando 23 milioni di taiwanesi vengono esclusi dall’ONU e dalle sue agenzie. Poiché il 2025 segna l’inizio del decisivo conto alla rovescia per la scadenza degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), prevista per il 2030, l’inclusione di Taiwan è necessaria. La sua esclusione, infatti, contraddice lo spirito e mina i principi dell’Agenda 2030.
Questo isolamento forzato è parte di un problema più vasto, legato a una grave e dannosa distorsione della Risoluzione 2758 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA). Tale travisamento non solo sottopone Taiwan alla coercizione cinese, che vuole affermare il proprio controllo sull’Isola, ma è anche diventato una seria minaccia allo status quo tra le due sponde dello Stretto e alla stabilità nella regione indo-pacifica.
La Risoluzione 2758 (XXVI) dell’UNGA, adottata nel 1971, affronta esclusivamente la questione della rappresentanza della Cina alle Nazioni Unite, ma non stabilisce che Taiwan sia parte della Repubblica Popolare Cinese (RPC), né conferisce a quest’ultima il diritto di rappresentarla. La Risoluzione non fa alcuna menzione di Taiwan e non costituisce quindi una posizione ufficiale delle Nazioni Unite sullo status politico del Paese. Pertanto, non riflette un consenso internazionale sul “principio di una sola Cina” sostenuto dalla RPC. Solo il governo di Taiwan, democraticamente eletto, può rappresentare i suoi abitanti nel sistema delle Nazioni Unite e sulla scena internazionale.
L’ONU dovrebbe permettere ai rappresentanti, ai giornalisti e ai cittadini taiwanesi l’accesso alle sue sedi e la partecipazione ai suoi incontri e conferenze. Essere membri delle Nazioni Unite è un diritto per tutte le nazioni amanti della pace, non un privilegio appannaggio di poche. Per tali ragioni, a nome del Governo di Taiwan, chiediamo con urgenza di porre fine alla distorsione della Risoluzione 2758.
Taiwan possiede un efficiente sistema sanitario e una tecnologia all’avanguardia, come dimostrato dalla sua leadership nell’intelligenza artificiale e nella produzione di chip, che possono dare un contributo concreto allo sviluppo e alla pace nel mondo. Perché, allora, persistere in questa esclusione, che non beneficia nessuno tranne Pechino?
Negli ultimi anni, il sostegno internazionale a favore di Taiwan è aumentato. In Italia, la Camera dei Deputati ha approvato diverse risoluzioni, auspicando la sua inclusione nelle organizzazioni internazionali e, nel marzo 2025, ha approvato il documento finale dell’indagine conoscitiva sull’Indo-Pacifico, ribadendo l’importanza dell’Isola per la stabilità nella regione indo-pacifica. Un simile orientamento è evidente in altri parlamenti e Paesi, tra cui l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Svezia, i Paesi Bassi, il Regno Unito, il Canada, il Belgio e la Repubblica Ceca, che hanno adottato risoluzioni affini, condannando le provocazioni militari della Cina e il suo abuso nell’interpretazione errata della Risoluzione.
Adesso, più che mai, lanciamo un appello all’Italia affinché appoggi con maggiore decisione l’ammissione di Taiwan alle Nazioni Unite e alle sue agenzie specializzate, in nome della pace, dello sviluppo e della prosperità globale, valori che accomunano entrambi i Paesi. Allo stesso tempo, invitiamo la comunità internazionale ad agire attivamente da contrappeso alle azioni coercitive della RPC e a unirsi per difendere l’ordine mondiale basato sulle regole, opponendosi alle dinamiche di un Paese non democratico e alle sue richieste irragionevoli.
Riccardo Tsan-Nan Lin, console e direttore generale ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia
Continua a leggereRiduci
Daniel Ortega (Getty Images)
Il governo guidato dalla coppia sandinista Ortega-Murillo ha firmato accordi commerciali con la Repubblica di Donetsk, rafforzando il legame con Mosca e Pechino. Una scelta politica che rilancia il ruolo di Ortega nella geopolitica del Sud globale, tra repressione interna e nuove alleanze.