2020-02-26
Le Ong se ne sbattono dell’influenza. Dopo la Ocean, scalpita la Sea Watch
L'imbarcazione degli attivisti preme per poter scaricare 194 stranieri in un Paese che è già in ginocchio. Domani, intanto, la Giunta per le immunità del Senato vota sulle accuse a Matteo Salvini per il caso Open Arms.Il mondo chiude le porte all'Italia, l'Italia spalanca le porte al mondo: la situazione ha qualcosa di kafkiano, ma è esattamente quello che sta accadendo, con la complicità del governo giallorosso, per manifesta incapacità, e delle Ong, per conclamato cinismo. Mentre il popolo italiano prosegue la sua scalata alla classifica globale degli indesiderabili, vedendosi chiudere le porte in faccia un po' ovunque dagli Stati esteri che, del tutto legittimamente, vogliono tutelarsi dalla diffusione del coronavirus, il Mediterraneo continua a essere il parco giochi delle Ong, che non conoscono emergenze e se ne fregano delle epidemie, spingendo semmai sull'acceleratore proprio ora che siamo in difficoltà. Il bollettino dell'invasione migratoria è impietoso: domenica sono sbarcati i 274 immigrati raccolti dalla Ocean Viking, mentre altri 194 sono in attesa a bordo della Sea Watch. Per i primi, in attesa che anche questa minima operazione di profilassi venga bandita in nome dell'antirazzismo, è prevista una quarantena di due settimane nell'hotspot di Pozzallo «al fine di assicurare», ha assicurato il Viminale, «adeguate misure di prevenzione» contro i rischi di coronavirus. I 274 stranieri erano stati soccorsi in tre operazioni al largo della Libia. Anche il comandante della nave, il norvegese Kornelius Baade, resterà «isolato» dentro l'imbarcazione, insieme al suo equipaggio, per il periodo di quarantena stabilito dalle autorità sanitarie. Dei 195 uomini, 14 donne e 65 minori scesi dal barcone delle Ong, cinque sono stati trasportati in ospedale, tre dei quali con problemi respiratori (uno con una sospetta tubercolosi). Le autorità sanitarie hanno assicurato che i primi tamponi per il coronavirus hanno tuttavia dato esito negativo. Neanche il tempo di occuparci dei nuovi arrivati -in effetti non è che le autorità sanitarie italiane siano particolarmente oberate, in queste settimane... - che altri premono alle frontiere. Al largo, infatti, c'è Sea Watch che aspetta. E, capendo l'antifona, fa la voce grossa. Ieri gli attivisti scrivevano su Twitter (ricevendo peraltro quasi solo commenti di rabbia e insulti): «Sei giorni fa abbiamo chiesto un porto sicuro all'Italia. Da allora siamo rimasti in area Sar e abbiamo salvato altre 73 persone. Siamo in contatto con Stato di bandiera e ribadito richiesta Pos (place of safety, ndr) tre volte, anche a Malta. 194 naufraghi sono così bloccati a bordo della Sea Watch». Poco prima, per mettere i puntini sulle «i» e far capire a Roma di non fare più scherzi, avevano scritto: «Siamo di fronte ad altro vergognoso caso in cui negoziati su redistribuzione hanno la precedenza sul diritto internazionale, contro il verdetto della Cassazione sul caso Carola. Non ricevendo alcuna soluzione da parte degli Mrcc (Maritime rescue coordination centre, ndr) facciamo appello alla Commissione Ue». Già, l'Europa. Che fine ha fatto? Ectoplasmica sull'emergenza coronavirus, resta comunque pilatesca sugli sbarchi. Che si parli di virus o immigrazione, il messaggio che arriva da Bruxelles sembra essere sempre e solo «ognuno si arrangi come può» (se non ché se dovevamo arrangiarci da noi tanto valeva stare da soli, in effetti). E nel silenzio tombale delle autorità preposte, finisce per risuonare squillante persino l'opinione di Matteo Orfini, parlamentare del Partito democratico che, nel gioco delle parti giallorosso, ha da tempo preso a recitare la parte del poliziotto buono che fa la voce grossa contro quello cattivo, cioè Luciana Lamorgese: «La Sea Watch», scrive Orfini sui social, «attende da sei giorni un porto sicuro dopo aver salvato quasi 200 persone. La sentenza della Cassazione di qualche giorno fa ha chiarito che una operazione di soccorso si deve ritenere conclusa solo con lo sbarco in un porto sicuro e che trattenere i naufraghi su una nave significa non garantirne i diritti. Aggiungo per chiarezza: appena sbarcati i naufraghi vengono posti in quarantena in un hot spot e sottoposti a controlli medici. Quindi, come al solito, non c'è alcuna ragione per non assegnare un porto. E la prassi per cui si tengono le navi in mezzo al mare in attesa che si completi l'accordo sulla ricollocazione è illegittima oltre che politicamente insostenibile».Il Viminale è avvisato. Sia mai che anche la Lamorgese debba finire a processo. Ieri la Giunta per le immunità del Senato si è riunita sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini sul caso Open Arms. Si è trattato dell'ultima riunione prima del voto previsto per domani a partire dalle 16. All'ex ministro dell'Interno il tribunale dei ministri di Palermo contesta l'ipotesi di sequestro di persona aggravato e rifiuto di atti di ufficio per la vicenda dei migranti a bordo della nave della Ong spagnola. Riflettori accesi, anche in questo caso, sull'atteggiamento del gruppo leghista. Ieri gli esponenti del Carroccio non hanno fatto trapelare nulla. «Stiamo studiando», si è limitata a dire la senatrice della Lega Erika Stefani, capogruppo del suo partito nella Giunta. Per Italia viva è intervenuta la senatrice Nadia Ginetti, che ha chiesto chiarimenti sulla catena di comando e sulle responsabilità di Giuseppe Conte. Ma si tratta probabilmente di melina, perché la maggioranza appare compatta nel chiedere che Salvini venga processato. La linea generale del governo, in effetti, appare chiara: le porte chiuse, questi, amano solo prenderle in faccia.
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Margherita Agnelli (Ansa)