
Giornali e politici progressisti commossi dalla migrante tunisina morta abbracciata a suo figlio nei pressi di Lampedusa. Giusto piangere chi perde la vita in mare, ma bisogna riconoscere che a causare la strage è stata la politica dei porti aperti.Erano stretti nell'ultimo abbraccio sul fondo del mare, pelle contro pelle, cuore contro cuore. Fra mamma e neonato, naufraghi a poche miglia marine dalla salvezza davanti a Lampedusa, non passava nulla. Non l'acqua, non la demagogia. Solo tristezza e preghiera hanno diritto di cittadinanza davanti a un'immagine così grande e potente che, gridando, trasforma tutto il resto in silenzio. Solo la pietà cristiana può dare un senso a ciò che non ne ha e regalare a chi resta la forza di essere lucido, di guardare il problema invece di annacquarlo con l'ipocrisia.Dodici migranti sono morti in un naufragio il 7 ottobre, senza nome e senza prefiche di complemento. Fra loro c'erano madre e figlio appena nato. Li ha ritrovati a 60 metri di profondità un robot della Marina e la ricostruzione della Guardia costiera è illuminante: su quel barchino erano stipate una cinquantina di persone che mai (salvo un miracolo) avrebbero potuto portare a termine la traversata. Erano in acque italiane, pattugliate dalle motovedette, in pieno corridoio umanitario. Eppure è successo. Nessuno le aveva avvistate, nessuno le aveva monitorate; facevano parte di quel silenzioso esercito di clandestini che prova ad attraversare il Canale di Sicilia con ogni mezzo e con ogni onda, spinto dagli scafisti e dalla disperazione. E ancora più determinato da quando i porti sono stati riaperti e - in nome di un peloso ecumenismo di Stato - l'accoglienza diffusa è tornata ad essere un progetto politico ad uso e consumo solo delle nostre già ben pasciute coscienze.I dati del Viminale sono alla portata di tutti e il ministro Luciana Lamorgese è consapevole dell'emergenza: in settembre gli arrivi sono stati 2.386, contro i 1.268 di agosto e i 1.088 di luglio. A conferma che i porti aperti non solo hanno indotto le Ong a ripartire a pieno ritmo, ma costituiscono un incentivo per i trafficanti di uomini a gettare nella mischia chiunque, senza scrupolo alcuno. Quella mamma e quel neonato ci dicono tante cose che stridono con i commenti su Twitter di chi non sa fermare né le partenze della morte e neppure l'indice digitale. Matteo Renzi: «Quella madre morta abbracciata al suo bambino lascia senza parole. Basta demagogia, restiamo umani». Ma gli slogan politici non annullano la demagogia, piuttosto la enfatizzano (1523 like). Riesce a fare peggio David Sassoli, nel suo ruolo di rappresentante di quell'Europa che guarda dall'altra parte anche quando al governo ci sono i sodali eurogenuflessi: «Smarrire la pietà, distruggere la speranza, conduce al buio della morte. Mettere in campo insieme da europei, tutti gli sforzi possibili. Ogni giorno perduto è crimine contro l'umanità». Ma a scrivere è il presidente del Parlamento europeo, non don Dino Pirri. A lui chiediamo risposte, non pennellate impressioniste da 2800 like. Rappresenta l'istituzione massima, ha un ruolo ufficiale a Bruxelles, è in piena sintonia politica con il nuovo corso che somiglia in modo preoccupante al vecchio. È spalleggiato da Paolo Gentiloni, è affiancato dal premier favorito da Ursula Von der Leyen, il Giuseppe Conte con la pochette a quattro punte nel taschino. Che intende fare il presidente Sassoli, l'Eugenio Montale del web o si mette a lavorare?Anche perché l'argomento è bollente e le risposte che arrivano dalla Ue sono minime, residuali, segno tangibile del solito disinteresse cosmico per la disperazione dei migranti e per il ruolo italiano, indebolito da ambiguità e inefficienze. L'accordo di Malta, sbandierato come un evento epocale che avrebbe definitivamente cambiato la storia e chiuso l'emergenza, in realtà è una scatola vuota. Tutto ruota sulla «distribuzione volontaria», una di quelle formule che piacciono al premier Conte e che forse funzionano nelle cause legali di periferia. Ma sulla parola «volontaria» nel resto d'Europa nessuno ha equivocato o derogato, nessuno ha la volontà di affiancare e tanto meno di sostituirsi all'Italia.Lo conferma il fatto che 180 migranti recuperati lunedì dalla Guardia di Finanza in zona Sar di Malta sono sbarcati a Lampedusa dopo la dichiarazione di «non disponibilità» del governo maltese, del tutto indifferente agli accordi siglati (ma a questo punto la diffidenza è d'obbligo) non al Polo Nord, ma a casa sua. Anche la rotazione dei porti ha qualcosa di surreale. Finora chi non è sbarcato a Lampedusa lo ha fatto a Taranto, chi non ha gettato l'ancora a Taranto l'ha gettata a Catania. Volevamo questo? Intendevamo questo?Davanti all'ultima tragedia, a quella madre e a quel neonato trovati abbracciati a 60 metri di profondità, non ha senso fermarsi a una vignetta subacquea ad effetto o alle lacrime di prammatica o al tweet acchiappasogni di facciata. Anche perché in questi anni ormai tutto abbiamo visto, tutto abbiamo scritto, letto e sentito. Anche parroci dire, come don Carmelo La Magra davanti alle ultime bare allineate a Lampedusa: «Ogni volta che trasformiamo il mare in muro qualcuno muore. Siamo tutti responsabili». Qui è vero il contrario e c'è chi muore perché ritiene che il mare sia un'autostrada e non un grande gorgo. La solidarietà non basta, sappiamo solo dire che devono partire, poi non abbiamo la più pallida idea di come salvarli, di come tendere loro la mano. «La coscienza individuale è un salvagente, quella collettiva un canotto», cantava Giorgio Gaber. Davanti a quella mamma e a quel neonato c'è un solo messaggio chiaro: l'umanità senza regole può essere disumana.
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
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Evento La Verità Lunedì 15 settembre 2025.pdf
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)
Piergiorgio Odifreddi frigna. Su Repubblica, giornale con cui collabora, il matematico e saggista spiega che lui non possiede pistole o fucili ed è contrario all’uso delle armi. Dopo aver detto durante una trasmissione tv che «sparare a Martin Luther King e sparare a un esponente Maga» come Charlie Kirk «non è la stessa cosa», parole che hanno giustamente fatto indignare il premier Giorgia Meloni («Vorrei chiedere a questo illustre professore se intende dire che ci sono persone a cui è legittimo sparare»), Odifreddi prova a metterci una pezza.