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2019-08-04
Le indagini sui bimbi rubati partono male
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selezionano accuratamente le figure a cui attribuire compiti di controllo. Facciamo qualche esempio. In Emilia Romagna si è appena insediata la commissione d'inchiesta su Bibbiano. La presidenza è stata affidata a Giuseppe Boschini del Partito democratico. I vicepresidenti sono Raffaella Sensoli (M5s) e Igor Taruffi (Sinistra italiana).
Il Pd, a livello politico, è totalmente coinvolto nella vicenda di Bibbiano. Non è un'illazione, è un fatto. Lo dimostra la decisione appena presa dal tribunale del riesame. Il gip ha confermato gli arresti domiciliari per Andrea Carletti, ex sindaco pd di Bibbiano che la prefettura ha sospeso dall'incarico (e che si è autosospeso dal partito nonostante i suoi compagni l'abbiano sempre difeso).
Ora, pensate davvero che una commissione a guida Pd possa andare a fondo in una storia che tocca profondamente proprio il Pd? Andiamo. Per altro, i 5 stelle e Sinistra italiana, in Emilia, non è che siano esattamente ostili ai democratici, anzi. Che nella Regione rossa le cose sarebbero andate così, tuttavia, era prevedibile. Lascia un poco più perplessi quanto sta avvenendo a livello nazionale. Nei giorni scorsi sono partiti i lavori della «squadra speciale» voluta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per indagare sui fatti della Val d'Enza. Un'ottima idea, la sua.
Di questa commissione fanno parte alcuni stretti collaboratori del ministro e alcuni esperti che da tempo operano nelle istituzioni (sempre a livello ministeriale). Si aggiungono poi Silvia Albano dell'Associazione nazionale magistrati, Maria Francesca Pricoco, presidente dell'Associazione italiana magistrati minorenni e di famiglia, Gianmario Gazzi, presidente dell'Ordine degli assistenti sociali, Fulvio Giardina, presidente dell'Ordine degli psicologi, Maria Masi, vice presidente del Consiglio nazionale forense e il commissario straordinario del Forteto e Garante per l'infanzia e adolescenza della Regione Lazio, Jacopo Marzetti.
Quest'ultimo è noto per l'ottimo lavoro svolto al Forteto, e non ci sono dubbi che, se fosse stato nominato commissario straordinario per Bibbiano, avrebbe ribaltato la macchina emiliana come un calzino. Sugli altri membri, invece, viene da esprimere qualche dubbio. Soprattutto, ad avanzare perplessità sono le associazioni che con i minorenni lavorano ogni giorno. Alfia Milazzo, stimata presidente della fondazione La città invisibile, ha pubblicato un comunicato durissimo. «Leggiamo, sgomenti e increduli la lunga lista di nomi di questa squadra speciale “inflessibile" che dovrebbe escludere, assicura il ministro, altre Bibbiano in Italia», ha scritto. «Presidente ordine psicologi, presidente tribunali minorili, presidente ordine servizi sociali. [...] Ma i genitori di figli rubati e gli avvocati delle famiglie distrutte, dove sono? Non ci sono! Troviamo invece sempre loro, quelle personalità istituzionali note e arcinote, che a volte abbiamo visto presenti alle inaugurazioni di case famiglia».
Secondo la Milazzo, «una domanda almeno Bonafede se la dovrebbe porre: tutti questi presidenti non erano in carica mentre si svolgevano i fatti di Forteto, Veleno, Bibbiano eccetera, eccetera? Tanto per fare un esempio, il presidente dell'ordine dei psicologi non ha mai letto le carte del processo Veleno in cui era coinvolto lo stesso Claudio Foti che gestiva l'associazione “Hansel e Gretel" prima che scoppiasse l'indagine di Bibbiano? [...] E il presidente dell'Ordine degli assistenti sociali che tipo di rigore e accertamenti avrà prodotto all'interno del corpo professionale?».
Direte: così è un processo alle intenzioni. E invece no. Subito dopo aver partecipato al primo incontro della squadra ministeriale, il Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali ha diffuso su Facebook un comunicato stampa in cui dice che prenderà provvedimenti quando il lavoro della magistratura su Bibbiano sarà finito. Ma intanto ne approfitta per chiedere più «risorse per il welfare, formazione per i professionisti, stabilità dei rapporti di lavoro per dare continuità nei rapporti in situazioni delicatissime». Insomma, batte cassa. Non solo. Gli assistenti sociali pretendono dal governo un «abbassamento di toni e un cambio di strategia nell'affrontare il tema dei minori, della famiglia, dei servizi sociali».
Fino ad oggi, dicono, si è pensato più «a individuare nemici - politici, ma anche professionisti - da additare, piuttosto che cercare soluzioni o prevenire drammi e dolori». Ma certo, chiedere verità su Bibbiano significa fare «propaganda sulla pelle dei bambini. I giornali che se ne occupano portano avanti una una «campagna mediatica senza controllo».
Di fronte ai fatti indegni della Val d'Enza, l'ordine degli assistenti sociali si premura di criticare i media e i politici. Vi sembra l'atteggiamento di chi vuole trovare la verità a ogni costo?
Se a controllare devono essere istituzioni che fino all'altro ieri hanno dormito, beh, forse è meglio lasciare perdere i controlli, perché il rischio è davvero che creino solo più confusione.
Dietro Bibbiano l’eterno tentativo di smontare la famiglia naturale
I fatti di Bibbiano non sono un increscioso incidente, ma la rappresentazione accurata di uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo: l'impegno attivo di parti importanti della classe politica e amministrativa dello Stato nello smontare la famiglia naturale; uno degli obiettivi dei totalitarismi del Novecento non abbandonato neppure oggi. La Verità sta quotidianamente documentando il coinvolgimento delle istituzioni in questa azione devastante. Togliere i bambini ai genitori accusati di inadeguatezza educativa fu uno dei modi dello stalinismo e del nazismo per creare «figli» del socialismo o del III Reich, sottraendoli alle perversioni della «famiglia borghese», considerata sorpassata e decadente. In Urss questa pratica pluridecennale, abbinata al divorzio indiscriminato, diede un durissimo colpo all'istituzione famigliare, che non se ne è ancora del tutto rimessa. Una buona parte della politica di Vladimir Putin, come la sua salda alleanza con la Chiesa ortodossa, dimostra la necessità vitale per la nazione di ricostruire un tessuto famigliare forte, sostenuto dall'alleanza convinta dello Stato. In ciò non c'è nulla di ideologico: semplicemente senza famiglia non c'è comunità e non c'è Stato. Putin è un uomo di Stato, e lo sa.
In Italia, invece, nei decenni di governi di alleanza tra socialdemocrazia e mondo cattolico di sinistra si è sviluppato lo sforzo contrario. L'intento fu quello di smontare la famiglia naturale, sia gestendo separazioni e divorzi in modo da mettere fuori gioco il padre, affidato alla gestione della Caritas dopo accordi coniugali sanguisuga, sia portando via direttamente i figli, come dimostrato con la rete di «intervento sociale» della val d'Enza, esperimento pilota per la costruzione di una nuova genitorialità. Velleitario oltre che delinquenziale, ma rivelatore di un disegno non così stupido. Nella loro fumosa preparazione, questi distruttori di famiglie sapevano comunque che qualsiasi società alla fine si regge sempre sulla famiglia, primo luogo dove si formano i legami con gli altri. Quindi ne progettavano una nuova. Che avrebbe dovuto «fare fuori la natura» diventando «più cattiva di lei», come già nel programma di Alphonse Donatien, marchese di Sade, uno dei principali ispiratori dell'affettività e del gusto della modernità post illuminista.
Basta dunque genitori naturali ed educazioni sviluppate secondo i bisogni fisici, istintuali e affettivi del bambino cui provvede chi l'ha generato. Questo mondo andava sostituito con uno sguardo lucido, freddo, dove non conta l'empatia e la solidarietà umana ma il pensiero ideologico, sostitutivo dell'umanità. È l' orizzonte (ad esempio) che ispira il commento comparso su in sito internet di una docente di storia dell'arte dopo l'uccisione a Roma del carabiniere Mario Cerciello Rega, 35 anni: «Uno di meno, e chiaramente con uno sguardo poco intelligente, non ne sentiremo la mancanza». Questa visione sadica, gelida, con ambizioni intellettuali e confusione tra valore umano e intelligenza (frequente nei piazzisti dell'avverbio «chiaramente»), opposta allo «sguardo selvatico» rispettoso della vita e dei valori naturali, è la stessa che ispira il trasferimento dei figli dalle famiglie dove sono nati ad altre più in sintonia con le burocrazie del potere.
Per questa mentalità, diffusa in gruppi sociali che si ritengono «intellettualmente superiori», togliere il bambino dal luogo della nascita e collocarlo poi altrove, meglio se in situazioni affettive e sessuali lontane dalla volgare e sorpassata «natura» (sospettata tra l'altro di essere di origine divina), diventava così il primo passo per poi smontare la famiglia. Via da lì dunque, per portare i bimbi più lontano possibile da dove si genera la vita: l'incontro affettivo e sessuale tra l'uomo e la donna. È nell'esecuzione di questo programma che il piano novecentesco di distruzione della famiglia incontrò Sigmund Freud con i suoi problemi famigliari. L'attrazione per la madre, vissuta morbosamente e trasformata in «complesso» universale (smentito però subito dall'antropologia di Bronislaw Malinowski), e il suo ostinato rancore per un padre incapace negli affari e libertino e forse peggio. Poco dopo la morte del padre, Freud gli rimprovererà (in una lettera al dottor Fliess del 8 febbraio 1897) di aver abusato di uno dei suoi molti figli e di alcune delle sue figli minori.
Alle sfide della famiglia naturale Freud, insofferente all'affettività come buona parte del pensiero post illuminista, contrappone «l'ideale di una comunità umana che assoggetti la vita pulsionale alla dittatura della ragione». Un razionalismo autoritario, anzi proprio dittatoriale, che sostituisca insomma la precisione dell'interesse ai chiaroscuri della mobile affettività. Il suo ideale (che ammette «difficile») sarebbe quello di sostituire l'ordine naturale, la famiglia e la patria («non credo alle nazioni», dichiara), con un ordine ideologico, razionale, che sostituisca le complicazioni dei sentimenti con valutazioni utilitarie e razionali. A cominciare dal guadagno, campo nel quale Freud era ferratissimo. Secondo i calcoli del filosofo Michel Onfray, nel suo Crepuscolo di un idolo, il fondatore della psicoanalisi con le sue otto sedute quotidiane pagate l'equivalente di 415 euro all'ora raccoglieva infatti 3.600 euro al giorno, abbastanza da consolarlo per gli insuccessi economici del padre. Solo per «valutazioni utilitarie e razionali», scriveva, l'uomo potrebbe forse resistere ai disturbanti e «vicendevoli legami emotivi»: gli affetti che tanto infastidiscono i razionalisti fanatici.
A opporsi alla famiglia naturale come luogo della nascita e della prima formazione di legami non sono solo però le ambizioni delle politiche autoritarie di ieri e di oggi e il pessimismo piuttosto cinico del freudismo. A questi si è aggiunta negli ultimi anni l'ondata tecnologica, finanziaria e politica delle biotecnologie che riducono ancora di più lo spazio delle spinte affettive nella sessualità e la riproduzione, allargando quello delle decisioni prese a tavolino, con valutazioni burocratiche, di convenienza e di potere. Ne parla la psicoanalista Paola Marion in Il disagio del desiderio (Donzelli editore). Nel mondo delle biotecnologie particolarmente amate dalla politica progressista i bambini sono sempre meno il frutto di uno slancio affettivo o sessuale, di dono, e sempre di più di considerazioni narcisistiche e mentali. Questi altri «bambini rubati», non vengono più solo portati via da casa e collocati in altre famiglie come nel «sistema Bibbiano», ma presi dalle madri biologiche o materiali procreativi assemblati insieme (sperma, ovuli, uteri) e collocati nella nuova coppia (anche qui spesso omosessuale) che li acquista. Anche in questa situazione lo sguardo narcisistico, freddamente calcolante, aiutato dalle istituzioni, ha la meglio sulla natura, per ora messa ai margini.
Ma non disperiamoci. Come in ogni narrazione storica, quindi di «lunga durata», non finisce qui.
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La commissione d'inchiesta regionale sugli affidi facili è gestita dal Pd, che ha messo il cappello politico sul sistema emiliano. Nella squadra di Alfonso Bonafede ci sono i rappresentanti di psicologi e assistenti sociali. Che parlano solo di persecuzione ai loro danni.Dietro Bibbiano l'eterno tentativo di smontare la famiglia naturale. Quanto accaduto non è un increscioso incidente, ma un preciso disegno già perseguito dai totalitarismi. Togliere i bimbi ai genitori è stato a lungo uno dei sistemi utilizzati in Urss per dare una prole al socialismo.Lo speciale comprende due articoli. selezionano accuratamente le figure a cui attribuire compiti di controllo. Facciamo qualche esempio. In Emilia Romagna si è appena insediata la commissione d'inchiesta su Bibbiano. La presidenza è stata affidata a Giuseppe Boschini del Partito democratico. I vicepresidenti sono Raffaella Sensoli (M5s) e Igor Taruffi (Sinistra italiana). Il Pd, a livello politico, è totalmente coinvolto nella vicenda di Bibbiano. Non è un'illazione, è un fatto. Lo dimostra la decisione appena presa dal tribunale del riesame. Il gip ha confermato gli arresti domiciliari per Andrea Carletti, ex sindaco pd di Bibbiano che la prefettura ha sospeso dall'incarico (e che si è autosospeso dal partito nonostante i suoi compagni l'abbiano sempre difeso). Ora, pensate davvero che una commissione a guida Pd possa andare a fondo in una storia che tocca profondamente proprio il Pd? Andiamo. Per altro, i 5 stelle e Sinistra italiana, in Emilia, non è che siano esattamente ostili ai democratici, anzi. Che nella Regione rossa le cose sarebbero andate così, tuttavia, era prevedibile. Lascia un poco più perplessi quanto sta avvenendo a livello nazionale. Nei giorni scorsi sono partiti i lavori della «squadra speciale» voluta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per indagare sui fatti della Val d'Enza. Un'ottima idea, la sua. Di questa commissione fanno parte alcuni stretti collaboratori del ministro e alcuni esperti che da tempo operano nelle istituzioni (sempre a livello ministeriale). Si aggiungono poi Silvia Albano dell'Associazione nazionale magistrati, Maria Francesca Pricoco, presidente dell'Associazione italiana magistrati minorenni e di famiglia, Gianmario Gazzi, presidente dell'Ordine degli assistenti sociali, Fulvio Giardina, presidente dell'Ordine degli psicologi, Maria Masi, vice presidente del Consiglio nazionale forense e il commissario straordinario del Forteto e Garante per l'infanzia e adolescenza della Regione Lazio, Jacopo Marzetti. Quest'ultimo è noto per l'ottimo lavoro svolto al Forteto, e non ci sono dubbi che, se fosse stato nominato commissario straordinario per Bibbiano, avrebbe ribaltato la macchina emiliana come un calzino. Sugli altri membri, invece, viene da esprimere qualche dubbio. Soprattutto, ad avanzare perplessità sono le associazioni che con i minorenni lavorano ogni giorno. Alfia Milazzo, stimata presidente della fondazione La città invisibile, ha pubblicato un comunicato durissimo. «Leggiamo, sgomenti e increduli la lunga lista di nomi di questa squadra speciale “inflessibile" che dovrebbe escludere, assicura il ministro, altre Bibbiano in Italia», ha scritto. «Presidente ordine psicologi, presidente tribunali minorili, presidente ordine servizi sociali. [...] Ma i genitori di figli rubati e gli avvocati delle famiglie distrutte, dove sono? Non ci sono! Troviamo invece sempre loro, quelle personalità istituzionali note e arcinote, che a volte abbiamo visto presenti alle inaugurazioni di case famiglia». Secondo la Milazzo, «una domanda almeno Bonafede se la dovrebbe porre: tutti questi presidenti non erano in carica mentre si svolgevano i fatti di Forteto, Veleno, Bibbiano eccetera, eccetera? Tanto per fare un esempio, il presidente dell'ordine dei psicologi non ha mai letto le carte del processo Veleno in cui era coinvolto lo stesso Claudio Foti che gestiva l'associazione “Hansel e Gretel" prima che scoppiasse l'indagine di Bibbiano? [...] E il presidente dell'Ordine degli assistenti sociali che tipo di rigore e accertamenti avrà prodotto all'interno del corpo professionale?». Direte: così è un processo alle intenzioni. E invece no. Subito dopo aver partecipato al primo incontro della squadra ministeriale, il Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali ha diffuso su Facebook un comunicato stampa in cui dice che prenderà provvedimenti quando il lavoro della magistratura su Bibbiano sarà finito. Ma intanto ne approfitta per chiedere più «risorse per il welfare, formazione per i professionisti, stabilità dei rapporti di lavoro per dare continuità nei rapporti in situazioni delicatissime». Insomma, batte cassa. Non solo. Gli assistenti sociali pretendono dal governo un «abbassamento di toni e un cambio di strategia nell'affrontare il tema dei minori, della famiglia, dei servizi sociali». Fino ad oggi, dicono, si è pensato più «a individuare nemici - politici, ma anche professionisti - da additare, piuttosto che cercare soluzioni o prevenire drammi e dolori». Ma certo, chiedere verità su Bibbiano significa fare «propaganda sulla pelle dei bambini. I giornali che se ne occupano portano avanti una una «campagna mediatica senza controllo». Di fronte ai fatti indegni della Val d'Enza, l'ordine degli assistenti sociali si premura di criticare i media e i politici. Vi sembra l'atteggiamento di chi vuole trovare la verità a ogni costo? Se a controllare devono essere istituzioni che fino all'altro ieri hanno dormito, beh, forse è meglio lasciare perdere i controlli, perché il rischio è davvero che creino solo più confusione. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-indagini-che-rischiano-di-insabbiare-tutto-2639632111.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dietro-bibbiano-leterno-tentativo-di-smontare-la-famiglia-naturale" data-post-id="2639632111" data-published-at="1765819634" data-use-pagination="False"> Dietro Bibbiano l’eterno tentativo di smontare la famiglia naturale I fatti di Bibbiano non sono un increscioso incidente, ma la rappresentazione accurata di uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo: l'impegno attivo di parti importanti della classe politica e amministrativa dello Stato nello smontare la famiglia naturale; uno degli obiettivi dei totalitarismi del Novecento non abbandonato neppure oggi. La Verità sta quotidianamente documentando il coinvolgimento delle istituzioni in questa azione devastante. Togliere i bambini ai genitori accusati di inadeguatezza educativa fu uno dei modi dello stalinismo e del nazismo per creare «figli» del socialismo o del III Reich, sottraendoli alle perversioni della «famiglia borghese», considerata sorpassata e decadente. In Urss questa pratica pluridecennale, abbinata al divorzio indiscriminato, diede un durissimo colpo all'istituzione famigliare, che non se ne è ancora del tutto rimessa. Una buona parte della politica di Vladimir Putin, come la sua salda alleanza con la Chiesa ortodossa, dimostra la necessità vitale per la nazione di ricostruire un tessuto famigliare forte, sostenuto dall'alleanza convinta dello Stato. In ciò non c'è nulla di ideologico: semplicemente senza famiglia non c'è comunità e non c'è Stato. Putin è un uomo di Stato, e lo sa. In Italia, invece, nei decenni di governi di alleanza tra socialdemocrazia e mondo cattolico di sinistra si è sviluppato lo sforzo contrario. L'intento fu quello di smontare la famiglia naturale, sia gestendo separazioni e divorzi in modo da mettere fuori gioco il padre, affidato alla gestione della Caritas dopo accordi coniugali sanguisuga, sia portando via direttamente i figli, come dimostrato con la rete di «intervento sociale» della val d'Enza, esperimento pilota per la costruzione di una nuova genitorialità. Velleitario oltre che delinquenziale, ma rivelatore di un disegno non così stupido. Nella loro fumosa preparazione, questi distruttori di famiglie sapevano comunque che qualsiasi società alla fine si regge sempre sulla famiglia, primo luogo dove si formano i legami con gli altri. Quindi ne progettavano una nuova. Che avrebbe dovuto «fare fuori la natura» diventando «più cattiva di lei», come già nel programma di Alphonse Donatien, marchese di Sade, uno dei principali ispiratori dell'affettività e del gusto della modernità post illuminista. Basta dunque genitori naturali ed educazioni sviluppate secondo i bisogni fisici, istintuali e affettivi del bambino cui provvede chi l'ha generato. Questo mondo andava sostituito con uno sguardo lucido, freddo, dove non conta l'empatia e la solidarietà umana ma il pensiero ideologico, sostitutivo dell'umanità. È l' orizzonte (ad esempio) che ispira il commento comparso su in sito internet di una docente di storia dell'arte dopo l'uccisione a Roma del carabiniere Mario Cerciello Rega, 35 anni: «Uno di meno, e chiaramente con uno sguardo poco intelligente, non ne sentiremo la mancanza». Questa visione sadica, gelida, con ambizioni intellettuali e confusione tra valore umano e intelligenza (frequente nei piazzisti dell'avverbio «chiaramente»), opposta allo «sguardo selvatico» rispettoso della vita e dei valori naturali, è la stessa che ispira il trasferimento dei figli dalle famiglie dove sono nati ad altre più in sintonia con le burocrazie del potere. Per questa mentalità, diffusa in gruppi sociali che si ritengono «intellettualmente superiori», togliere il bambino dal luogo della nascita e collocarlo poi altrove, meglio se in situazioni affettive e sessuali lontane dalla volgare e sorpassata «natura» (sospettata tra l'altro di essere di origine divina), diventava così il primo passo per poi smontare la famiglia. Via da lì dunque, per portare i bimbi più lontano possibile da dove si genera la vita: l'incontro affettivo e sessuale tra l'uomo e la donna. È nell'esecuzione di questo programma che il piano novecentesco di distruzione della famiglia incontrò Sigmund Freud con i suoi problemi famigliari. L'attrazione per la madre, vissuta morbosamente e trasformata in «complesso» universale (smentito però subito dall'antropologia di Bronislaw Malinowski), e il suo ostinato rancore per un padre incapace negli affari e libertino e forse peggio. Poco dopo la morte del padre, Freud gli rimprovererà (in una lettera al dottor Fliess del 8 febbraio 1897) di aver abusato di uno dei suoi molti figli e di alcune delle sue figli minori. Alle sfide della famiglia naturale Freud, insofferente all'affettività come buona parte del pensiero post illuminista, contrappone «l'ideale di una comunità umana che assoggetti la vita pulsionale alla dittatura della ragione». Un razionalismo autoritario, anzi proprio dittatoriale, che sostituisca insomma la precisione dell'interesse ai chiaroscuri della mobile affettività. Il suo ideale (che ammette «difficile») sarebbe quello di sostituire l'ordine naturale, la famiglia e la patria («non credo alle nazioni», dichiara), con un ordine ideologico, razionale, che sostituisca le complicazioni dei sentimenti con valutazioni utilitarie e razionali. A cominciare dal guadagno, campo nel quale Freud era ferratissimo. Secondo i calcoli del filosofo Michel Onfray, nel suo Crepuscolo di un idolo, il fondatore della psicoanalisi con le sue otto sedute quotidiane pagate l'equivalente di 415 euro all'ora raccoglieva infatti 3.600 euro al giorno, abbastanza da consolarlo per gli insuccessi economici del padre. Solo per «valutazioni utilitarie e razionali», scriveva, l'uomo potrebbe forse resistere ai disturbanti e «vicendevoli legami emotivi»: gli affetti che tanto infastidiscono i razionalisti fanatici. A opporsi alla famiglia naturale come luogo della nascita e della prima formazione di legami non sono solo però le ambizioni delle politiche autoritarie di ieri e di oggi e il pessimismo piuttosto cinico del freudismo. A questi si è aggiunta negli ultimi anni l'ondata tecnologica, finanziaria e politica delle biotecnologie che riducono ancora di più lo spazio delle spinte affettive nella sessualità e la riproduzione, allargando quello delle decisioni prese a tavolino, con valutazioni burocratiche, di convenienza e di potere. Ne parla la psicoanalista Paola Marion in Il disagio del desiderio (Donzelli editore). Nel mondo delle biotecnologie particolarmente amate dalla politica progressista i bambini sono sempre meno il frutto di uno slancio affettivo o sessuale, di dono, e sempre di più di considerazioni narcisistiche e mentali. Questi altri «bambini rubati», non vengono più solo portati via da casa e collocati in altre famiglie come nel «sistema Bibbiano», ma presi dalle madri biologiche o materiali procreativi assemblati insieme (sperma, ovuli, uteri) e collocati nella nuova coppia (anche qui spesso omosessuale) che li acquista. Anche in questa situazione lo sguardo narcisistico, freddamente calcolante, aiutato dalle istituzioni, ha la meglio sulla natura, per ora messa ai margini. Ma non disperiamoci. Come in ogni narrazione storica, quindi di «lunga durata», non finisce qui.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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