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2019-08-04
Le indagini sui bimbi rubati partono male
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selezionano accuratamente le figure a cui attribuire compiti di controllo. Facciamo qualche esempio. In Emilia Romagna si è appena insediata la commissione d'inchiesta su Bibbiano. La presidenza è stata affidata a Giuseppe Boschini del Partito democratico. I vicepresidenti sono Raffaella Sensoli (M5s) e Igor Taruffi (Sinistra italiana).
Il Pd, a livello politico, è totalmente coinvolto nella vicenda di Bibbiano. Non è un'illazione, è un fatto. Lo dimostra la decisione appena presa dal tribunale del riesame. Il gip ha confermato gli arresti domiciliari per Andrea Carletti, ex sindaco pd di Bibbiano che la prefettura ha sospeso dall'incarico (e che si è autosospeso dal partito nonostante i suoi compagni l'abbiano sempre difeso).
Ora, pensate davvero che una commissione a guida Pd possa andare a fondo in una storia che tocca profondamente proprio il Pd? Andiamo. Per altro, i 5 stelle e Sinistra italiana, in Emilia, non è che siano esattamente ostili ai democratici, anzi. Che nella Regione rossa le cose sarebbero andate così, tuttavia, era prevedibile. Lascia un poco più perplessi quanto sta avvenendo a livello nazionale. Nei giorni scorsi sono partiti i lavori della «squadra speciale» voluta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per indagare sui fatti della Val d'Enza. Un'ottima idea, la sua.
Di questa commissione fanno parte alcuni stretti collaboratori del ministro e alcuni esperti che da tempo operano nelle istituzioni (sempre a livello ministeriale). Si aggiungono poi Silvia Albano dell'Associazione nazionale magistrati, Maria Francesca Pricoco, presidente dell'Associazione italiana magistrati minorenni e di famiglia, Gianmario Gazzi, presidente dell'Ordine degli assistenti sociali, Fulvio Giardina, presidente dell'Ordine degli psicologi, Maria Masi, vice presidente del Consiglio nazionale forense e il commissario straordinario del Forteto e Garante per l'infanzia e adolescenza della Regione Lazio, Jacopo Marzetti.
Quest'ultimo è noto per l'ottimo lavoro svolto al Forteto, e non ci sono dubbi che, se fosse stato nominato commissario straordinario per Bibbiano, avrebbe ribaltato la macchina emiliana come un calzino. Sugli altri membri, invece, viene da esprimere qualche dubbio. Soprattutto, ad avanzare perplessità sono le associazioni che con i minorenni lavorano ogni giorno. Alfia Milazzo, stimata presidente della fondazione La città invisibile, ha pubblicato un comunicato durissimo. «Leggiamo, sgomenti e increduli la lunga lista di nomi di questa squadra speciale “inflessibile" che dovrebbe escludere, assicura il ministro, altre Bibbiano in Italia», ha scritto. «Presidente ordine psicologi, presidente tribunali minorili, presidente ordine servizi sociali. [...] Ma i genitori di figli rubati e gli avvocati delle famiglie distrutte, dove sono? Non ci sono! Troviamo invece sempre loro, quelle personalità istituzionali note e arcinote, che a volte abbiamo visto presenti alle inaugurazioni di case famiglia».
Secondo la Milazzo, «una domanda almeno Bonafede se la dovrebbe porre: tutti questi presidenti non erano in carica mentre si svolgevano i fatti di Forteto, Veleno, Bibbiano eccetera, eccetera? Tanto per fare un esempio, il presidente dell'ordine dei psicologi non ha mai letto le carte del processo Veleno in cui era coinvolto lo stesso Claudio Foti che gestiva l'associazione “Hansel e Gretel" prima che scoppiasse l'indagine di Bibbiano? [...] E il presidente dell'Ordine degli assistenti sociali che tipo di rigore e accertamenti avrà prodotto all'interno del corpo professionale?».
Direte: così è un processo alle intenzioni. E invece no. Subito dopo aver partecipato al primo incontro della squadra ministeriale, il Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali ha diffuso su Facebook un comunicato stampa in cui dice che prenderà provvedimenti quando il lavoro della magistratura su Bibbiano sarà finito. Ma intanto ne approfitta per chiedere più «risorse per il welfare, formazione per i professionisti, stabilità dei rapporti di lavoro per dare continuità nei rapporti in situazioni delicatissime». Insomma, batte cassa. Non solo. Gli assistenti sociali pretendono dal governo un «abbassamento di toni e un cambio di strategia nell'affrontare il tema dei minori, della famiglia, dei servizi sociali».
Fino ad oggi, dicono, si è pensato più «a individuare nemici - politici, ma anche professionisti - da additare, piuttosto che cercare soluzioni o prevenire drammi e dolori». Ma certo, chiedere verità su Bibbiano significa fare «propaganda sulla pelle dei bambini. I giornali che se ne occupano portano avanti una una «campagna mediatica senza controllo».
Di fronte ai fatti indegni della Val d'Enza, l'ordine degli assistenti sociali si premura di criticare i media e i politici. Vi sembra l'atteggiamento di chi vuole trovare la verità a ogni costo?
Se a controllare devono essere istituzioni che fino all'altro ieri hanno dormito, beh, forse è meglio lasciare perdere i controlli, perché il rischio è davvero che creino solo più confusione.
Dietro Bibbiano l’eterno tentativo di smontare la famiglia naturale
I fatti di Bibbiano non sono un increscioso incidente, ma la rappresentazione accurata di uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo: l'impegno attivo di parti importanti della classe politica e amministrativa dello Stato nello smontare la famiglia naturale; uno degli obiettivi dei totalitarismi del Novecento non abbandonato neppure oggi. La Verità sta quotidianamente documentando il coinvolgimento delle istituzioni in questa azione devastante. Togliere i bambini ai genitori accusati di inadeguatezza educativa fu uno dei modi dello stalinismo e del nazismo per creare «figli» del socialismo o del III Reich, sottraendoli alle perversioni della «famiglia borghese», considerata sorpassata e decadente. In Urss questa pratica pluridecennale, abbinata al divorzio indiscriminato, diede un durissimo colpo all'istituzione famigliare, che non se ne è ancora del tutto rimessa. Una buona parte della politica di Vladimir Putin, come la sua salda alleanza con la Chiesa ortodossa, dimostra la necessità vitale per la nazione di ricostruire un tessuto famigliare forte, sostenuto dall'alleanza convinta dello Stato. In ciò non c'è nulla di ideologico: semplicemente senza famiglia non c'è comunità e non c'è Stato. Putin è un uomo di Stato, e lo sa.
In Italia, invece, nei decenni di governi di alleanza tra socialdemocrazia e mondo cattolico di sinistra si è sviluppato lo sforzo contrario. L'intento fu quello di smontare la famiglia naturale, sia gestendo separazioni e divorzi in modo da mettere fuori gioco il padre, affidato alla gestione della Caritas dopo accordi coniugali sanguisuga, sia portando via direttamente i figli, come dimostrato con la rete di «intervento sociale» della val d'Enza, esperimento pilota per la costruzione di una nuova genitorialità. Velleitario oltre che delinquenziale, ma rivelatore di un disegno non così stupido. Nella loro fumosa preparazione, questi distruttori di famiglie sapevano comunque che qualsiasi società alla fine si regge sempre sulla famiglia, primo luogo dove si formano i legami con gli altri. Quindi ne progettavano una nuova. Che avrebbe dovuto «fare fuori la natura» diventando «più cattiva di lei», come già nel programma di Alphonse Donatien, marchese di Sade, uno dei principali ispiratori dell'affettività e del gusto della modernità post illuminista.
Basta dunque genitori naturali ed educazioni sviluppate secondo i bisogni fisici, istintuali e affettivi del bambino cui provvede chi l'ha generato. Questo mondo andava sostituito con uno sguardo lucido, freddo, dove non conta l'empatia e la solidarietà umana ma il pensiero ideologico, sostitutivo dell'umanità. È l' orizzonte (ad esempio) che ispira il commento comparso su in sito internet di una docente di storia dell'arte dopo l'uccisione a Roma del carabiniere Mario Cerciello Rega, 35 anni: «Uno di meno, e chiaramente con uno sguardo poco intelligente, non ne sentiremo la mancanza». Questa visione sadica, gelida, con ambizioni intellettuali e confusione tra valore umano e intelligenza (frequente nei piazzisti dell'avverbio «chiaramente»), opposta allo «sguardo selvatico» rispettoso della vita e dei valori naturali, è la stessa che ispira il trasferimento dei figli dalle famiglie dove sono nati ad altre più in sintonia con le burocrazie del potere.
Per questa mentalità, diffusa in gruppi sociali che si ritengono «intellettualmente superiori», togliere il bambino dal luogo della nascita e collocarlo poi altrove, meglio se in situazioni affettive e sessuali lontane dalla volgare e sorpassata «natura» (sospettata tra l'altro di essere di origine divina), diventava così il primo passo per poi smontare la famiglia. Via da lì dunque, per portare i bimbi più lontano possibile da dove si genera la vita: l'incontro affettivo e sessuale tra l'uomo e la donna. È nell'esecuzione di questo programma che il piano novecentesco di distruzione della famiglia incontrò Sigmund Freud con i suoi problemi famigliari. L'attrazione per la madre, vissuta morbosamente e trasformata in «complesso» universale (smentito però subito dall'antropologia di Bronislaw Malinowski), e il suo ostinato rancore per un padre incapace negli affari e libertino e forse peggio. Poco dopo la morte del padre, Freud gli rimprovererà (in una lettera al dottor Fliess del 8 febbraio 1897) di aver abusato di uno dei suoi molti figli e di alcune delle sue figli minori.
Alle sfide della famiglia naturale Freud, insofferente all'affettività come buona parte del pensiero post illuminista, contrappone «l'ideale di una comunità umana che assoggetti la vita pulsionale alla dittatura della ragione». Un razionalismo autoritario, anzi proprio dittatoriale, che sostituisca insomma la precisione dell'interesse ai chiaroscuri della mobile affettività. Il suo ideale (che ammette «difficile») sarebbe quello di sostituire l'ordine naturale, la famiglia e la patria («non credo alle nazioni», dichiara), con un ordine ideologico, razionale, che sostituisca le complicazioni dei sentimenti con valutazioni utilitarie e razionali. A cominciare dal guadagno, campo nel quale Freud era ferratissimo. Secondo i calcoli del filosofo Michel Onfray, nel suo Crepuscolo di un idolo, il fondatore della psicoanalisi con le sue otto sedute quotidiane pagate l'equivalente di 415 euro all'ora raccoglieva infatti 3.600 euro al giorno, abbastanza da consolarlo per gli insuccessi economici del padre. Solo per «valutazioni utilitarie e razionali», scriveva, l'uomo potrebbe forse resistere ai disturbanti e «vicendevoli legami emotivi»: gli affetti che tanto infastidiscono i razionalisti fanatici.
A opporsi alla famiglia naturale come luogo della nascita e della prima formazione di legami non sono solo però le ambizioni delle politiche autoritarie di ieri e di oggi e il pessimismo piuttosto cinico del freudismo. A questi si è aggiunta negli ultimi anni l'ondata tecnologica, finanziaria e politica delle biotecnologie che riducono ancora di più lo spazio delle spinte affettive nella sessualità e la riproduzione, allargando quello delle decisioni prese a tavolino, con valutazioni burocratiche, di convenienza e di potere. Ne parla la psicoanalista Paola Marion in Il disagio del desiderio (Donzelli editore). Nel mondo delle biotecnologie particolarmente amate dalla politica progressista i bambini sono sempre meno il frutto di uno slancio affettivo o sessuale, di dono, e sempre di più di considerazioni narcisistiche e mentali. Questi altri «bambini rubati», non vengono più solo portati via da casa e collocati in altre famiglie come nel «sistema Bibbiano», ma presi dalle madri biologiche o materiali procreativi assemblati insieme (sperma, ovuli, uteri) e collocati nella nuova coppia (anche qui spesso omosessuale) che li acquista. Anche in questa situazione lo sguardo narcisistico, freddamente calcolante, aiutato dalle istituzioni, ha la meglio sulla natura, per ora messa ai margini.
Ma non disperiamoci. Come in ogni narrazione storica, quindi di «lunga durata», non finisce qui.
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Riduci
La commissione d'inchiesta regionale sugli affidi facili è gestita dal Pd, che ha messo il cappello politico sul sistema emiliano. Nella squadra di Alfonso Bonafede ci sono i rappresentanti di psicologi e assistenti sociali. Che parlano solo di persecuzione ai loro danni.Dietro Bibbiano l'eterno tentativo di smontare la famiglia naturale. Quanto accaduto non è un increscioso incidente, ma un preciso disegno già perseguito dai totalitarismi. Togliere i bimbi ai genitori è stato a lungo uno dei sistemi utilizzati in Urss per dare una prole al socialismo.Lo speciale comprende due articoli. selezionano accuratamente le figure a cui attribuire compiti di controllo. Facciamo qualche esempio. In Emilia Romagna si è appena insediata la commissione d'inchiesta su Bibbiano. La presidenza è stata affidata a Giuseppe Boschini del Partito democratico. I vicepresidenti sono Raffaella Sensoli (M5s) e Igor Taruffi (Sinistra italiana). Il Pd, a livello politico, è totalmente coinvolto nella vicenda di Bibbiano. Non è un'illazione, è un fatto. Lo dimostra la decisione appena presa dal tribunale del riesame. Il gip ha confermato gli arresti domiciliari per Andrea Carletti, ex sindaco pd di Bibbiano che la prefettura ha sospeso dall'incarico (e che si è autosospeso dal partito nonostante i suoi compagni l'abbiano sempre difeso). Ora, pensate davvero che una commissione a guida Pd possa andare a fondo in una storia che tocca profondamente proprio il Pd? Andiamo. Per altro, i 5 stelle e Sinistra italiana, in Emilia, non è che siano esattamente ostili ai democratici, anzi. Che nella Regione rossa le cose sarebbero andate così, tuttavia, era prevedibile. Lascia un poco più perplessi quanto sta avvenendo a livello nazionale. Nei giorni scorsi sono partiti i lavori della «squadra speciale» voluta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per indagare sui fatti della Val d'Enza. Un'ottima idea, la sua. Di questa commissione fanno parte alcuni stretti collaboratori del ministro e alcuni esperti che da tempo operano nelle istituzioni (sempre a livello ministeriale). Si aggiungono poi Silvia Albano dell'Associazione nazionale magistrati, Maria Francesca Pricoco, presidente dell'Associazione italiana magistrati minorenni e di famiglia, Gianmario Gazzi, presidente dell'Ordine degli assistenti sociali, Fulvio Giardina, presidente dell'Ordine degli psicologi, Maria Masi, vice presidente del Consiglio nazionale forense e il commissario straordinario del Forteto e Garante per l'infanzia e adolescenza della Regione Lazio, Jacopo Marzetti. Quest'ultimo è noto per l'ottimo lavoro svolto al Forteto, e non ci sono dubbi che, se fosse stato nominato commissario straordinario per Bibbiano, avrebbe ribaltato la macchina emiliana come un calzino. Sugli altri membri, invece, viene da esprimere qualche dubbio. Soprattutto, ad avanzare perplessità sono le associazioni che con i minorenni lavorano ogni giorno. Alfia Milazzo, stimata presidente della fondazione La città invisibile, ha pubblicato un comunicato durissimo. «Leggiamo, sgomenti e increduli la lunga lista di nomi di questa squadra speciale “inflessibile" che dovrebbe escludere, assicura il ministro, altre Bibbiano in Italia», ha scritto. «Presidente ordine psicologi, presidente tribunali minorili, presidente ordine servizi sociali. [...] Ma i genitori di figli rubati e gli avvocati delle famiglie distrutte, dove sono? Non ci sono! Troviamo invece sempre loro, quelle personalità istituzionali note e arcinote, che a volte abbiamo visto presenti alle inaugurazioni di case famiglia». Secondo la Milazzo, «una domanda almeno Bonafede se la dovrebbe porre: tutti questi presidenti non erano in carica mentre si svolgevano i fatti di Forteto, Veleno, Bibbiano eccetera, eccetera? Tanto per fare un esempio, il presidente dell'ordine dei psicologi non ha mai letto le carte del processo Veleno in cui era coinvolto lo stesso Claudio Foti che gestiva l'associazione “Hansel e Gretel" prima che scoppiasse l'indagine di Bibbiano? [...] E il presidente dell'Ordine degli assistenti sociali che tipo di rigore e accertamenti avrà prodotto all'interno del corpo professionale?». Direte: così è un processo alle intenzioni. E invece no. Subito dopo aver partecipato al primo incontro della squadra ministeriale, il Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali ha diffuso su Facebook un comunicato stampa in cui dice che prenderà provvedimenti quando il lavoro della magistratura su Bibbiano sarà finito. Ma intanto ne approfitta per chiedere più «risorse per il welfare, formazione per i professionisti, stabilità dei rapporti di lavoro per dare continuità nei rapporti in situazioni delicatissime». Insomma, batte cassa. Non solo. Gli assistenti sociali pretendono dal governo un «abbassamento di toni e un cambio di strategia nell'affrontare il tema dei minori, della famiglia, dei servizi sociali». Fino ad oggi, dicono, si è pensato più «a individuare nemici - politici, ma anche professionisti - da additare, piuttosto che cercare soluzioni o prevenire drammi e dolori». Ma certo, chiedere verità su Bibbiano significa fare «propaganda sulla pelle dei bambini. I giornali che se ne occupano portano avanti una una «campagna mediatica senza controllo». Di fronte ai fatti indegni della Val d'Enza, l'ordine degli assistenti sociali si premura di criticare i media e i politici. Vi sembra l'atteggiamento di chi vuole trovare la verità a ogni costo? Se a controllare devono essere istituzioni che fino all'altro ieri hanno dormito, beh, forse è meglio lasciare perdere i controlli, perché il rischio è davvero che creino solo più confusione. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-indagini-che-rischiano-di-insabbiare-tutto-2639632111.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dietro-bibbiano-leterno-tentativo-di-smontare-la-famiglia-naturale" data-post-id="2639632111" data-published-at="1765659491" data-use-pagination="False"> Dietro Bibbiano l’eterno tentativo di smontare la famiglia naturale I fatti di Bibbiano non sono un increscioso incidente, ma la rappresentazione accurata di uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo: l'impegno attivo di parti importanti della classe politica e amministrativa dello Stato nello smontare la famiglia naturale; uno degli obiettivi dei totalitarismi del Novecento non abbandonato neppure oggi. La Verità sta quotidianamente documentando il coinvolgimento delle istituzioni in questa azione devastante. Togliere i bambini ai genitori accusati di inadeguatezza educativa fu uno dei modi dello stalinismo e del nazismo per creare «figli» del socialismo o del III Reich, sottraendoli alle perversioni della «famiglia borghese», considerata sorpassata e decadente. In Urss questa pratica pluridecennale, abbinata al divorzio indiscriminato, diede un durissimo colpo all'istituzione famigliare, che non se ne è ancora del tutto rimessa. Una buona parte della politica di Vladimir Putin, come la sua salda alleanza con la Chiesa ortodossa, dimostra la necessità vitale per la nazione di ricostruire un tessuto famigliare forte, sostenuto dall'alleanza convinta dello Stato. In ciò non c'è nulla di ideologico: semplicemente senza famiglia non c'è comunità e non c'è Stato. Putin è un uomo di Stato, e lo sa. In Italia, invece, nei decenni di governi di alleanza tra socialdemocrazia e mondo cattolico di sinistra si è sviluppato lo sforzo contrario. L'intento fu quello di smontare la famiglia naturale, sia gestendo separazioni e divorzi in modo da mettere fuori gioco il padre, affidato alla gestione della Caritas dopo accordi coniugali sanguisuga, sia portando via direttamente i figli, come dimostrato con la rete di «intervento sociale» della val d'Enza, esperimento pilota per la costruzione di una nuova genitorialità. Velleitario oltre che delinquenziale, ma rivelatore di un disegno non così stupido. Nella loro fumosa preparazione, questi distruttori di famiglie sapevano comunque che qualsiasi società alla fine si regge sempre sulla famiglia, primo luogo dove si formano i legami con gli altri. Quindi ne progettavano una nuova. Che avrebbe dovuto «fare fuori la natura» diventando «più cattiva di lei», come già nel programma di Alphonse Donatien, marchese di Sade, uno dei principali ispiratori dell'affettività e del gusto della modernità post illuminista. Basta dunque genitori naturali ed educazioni sviluppate secondo i bisogni fisici, istintuali e affettivi del bambino cui provvede chi l'ha generato. Questo mondo andava sostituito con uno sguardo lucido, freddo, dove non conta l'empatia e la solidarietà umana ma il pensiero ideologico, sostitutivo dell'umanità. È l' orizzonte (ad esempio) che ispira il commento comparso su in sito internet di una docente di storia dell'arte dopo l'uccisione a Roma del carabiniere Mario Cerciello Rega, 35 anni: «Uno di meno, e chiaramente con uno sguardo poco intelligente, non ne sentiremo la mancanza». Questa visione sadica, gelida, con ambizioni intellettuali e confusione tra valore umano e intelligenza (frequente nei piazzisti dell'avverbio «chiaramente»), opposta allo «sguardo selvatico» rispettoso della vita e dei valori naturali, è la stessa che ispira il trasferimento dei figli dalle famiglie dove sono nati ad altre più in sintonia con le burocrazie del potere. Per questa mentalità, diffusa in gruppi sociali che si ritengono «intellettualmente superiori», togliere il bambino dal luogo della nascita e collocarlo poi altrove, meglio se in situazioni affettive e sessuali lontane dalla volgare e sorpassata «natura» (sospettata tra l'altro di essere di origine divina), diventava così il primo passo per poi smontare la famiglia. Via da lì dunque, per portare i bimbi più lontano possibile da dove si genera la vita: l'incontro affettivo e sessuale tra l'uomo e la donna. È nell'esecuzione di questo programma che il piano novecentesco di distruzione della famiglia incontrò Sigmund Freud con i suoi problemi famigliari. L'attrazione per la madre, vissuta morbosamente e trasformata in «complesso» universale (smentito però subito dall'antropologia di Bronislaw Malinowski), e il suo ostinato rancore per un padre incapace negli affari e libertino e forse peggio. Poco dopo la morte del padre, Freud gli rimprovererà (in una lettera al dottor Fliess del 8 febbraio 1897) di aver abusato di uno dei suoi molti figli e di alcune delle sue figli minori. Alle sfide della famiglia naturale Freud, insofferente all'affettività come buona parte del pensiero post illuminista, contrappone «l'ideale di una comunità umana che assoggetti la vita pulsionale alla dittatura della ragione». Un razionalismo autoritario, anzi proprio dittatoriale, che sostituisca insomma la precisione dell'interesse ai chiaroscuri della mobile affettività. Il suo ideale (che ammette «difficile») sarebbe quello di sostituire l'ordine naturale, la famiglia e la patria («non credo alle nazioni», dichiara), con un ordine ideologico, razionale, che sostituisca le complicazioni dei sentimenti con valutazioni utilitarie e razionali. A cominciare dal guadagno, campo nel quale Freud era ferratissimo. Secondo i calcoli del filosofo Michel Onfray, nel suo Crepuscolo di un idolo, il fondatore della psicoanalisi con le sue otto sedute quotidiane pagate l'equivalente di 415 euro all'ora raccoglieva infatti 3.600 euro al giorno, abbastanza da consolarlo per gli insuccessi economici del padre. Solo per «valutazioni utilitarie e razionali», scriveva, l'uomo potrebbe forse resistere ai disturbanti e «vicendevoli legami emotivi»: gli affetti che tanto infastidiscono i razionalisti fanatici. A opporsi alla famiglia naturale come luogo della nascita e della prima formazione di legami non sono solo però le ambizioni delle politiche autoritarie di ieri e di oggi e il pessimismo piuttosto cinico del freudismo. A questi si è aggiunta negli ultimi anni l'ondata tecnologica, finanziaria e politica delle biotecnologie che riducono ancora di più lo spazio delle spinte affettive nella sessualità e la riproduzione, allargando quello delle decisioni prese a tavolino, con valutazioni burocratiche, di convenienza e di potere. Ne parla la psicoanalista Paola Marion in Il disagio del desiderio (Donzelli editore). Nel mondo delle biotecnologie particolarmente amate dalla politica progressista i bambini sono sempre meno il frutto di uno slancio affettivo o sessuale, di dono, e sempre di più di considerazioni narcisistiche e mentali. Questi altri «bambini rubati», non vengono più solo portati via da casa e collocati in altre famiglie come nel «sistema Bibbiano», ma presi dalle madri biologiche o materiali procreativi assemblati insieme (sperma, ovuli, uteri) e collocati nella nuova coppia (anche qui spesso omosessuale) che li acquista. Anche in questa situazione lo sguardo narcisistico, freddamente calcolante, aiutato dalle istituzioni, ha la meglio sulla natura, per ora messa ai margini. Ma non disperiamoci. Come in ogni narrazione storica, quindi di «lunga durata», non finisce qui.
Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
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Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
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Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
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