2018-11-08
Le impronte di Matteo sull’inchiesta
La Corte costituzionale ha bocciato il decreto con cui il governo Renzi obbligò gli agenti di polizia giudiziaria a riferire ai superiori i contenuti delle indagini di cui erano incaricati dalla magistratura. La faccenda potrà sembrarvi una questione tecnica a cui non dedicare troppo tempo. In realtà quel decreto, introdotto nell'estate del 2016, è alla base del famoso caso Consip, quello per cui sono indagati il padre dell'ex presidente del Consiglio - i pm hanno chiesto l'archiviazione, ma il giudice (...)(..) non ha ancora deciso - e l'ex ministro dello Sport, Luca Lotti, il quale, insieme con l'ex capo dei carabinieri, rischia il processo. Non ci fosse stato un decreto che obbligava i carabinieri incaricati dell'indagine a riferire ai capi, molto probabilmente non ci sarebbe stata alcuna fuga di notizie. E gli indagati, babbo Renzi compreso, non avrebbero saputo in anticipo (cosa che i magistrati sospettano sia stata opera dei vertici dei carabinieri) di essere nel mirino della Procura per vicende legate alla centrale di appalto della pubblica amministrazione. Insomma, se non ci fosse stato il decreto che ieri la Corte costituzionale ha bocciato, ritenendolo illegittimo perché consentirebbe di controllare il lavoro della magistratura, probabilmente la faccenda Consip sarebbe stata diversa, perché le indagini non sarebbero state scoperte in anticipo dai sospettati e le intercettazioni non si sarebbero rivelate inutili. Certo, stupisce che la decisione della Consulta sia arrivata proprio nel momento in cui gli atti delle indagini svolte dai pm di Napoli e di Roma vengono resi pubblici. La Corte, infatti, stabilisce nei fatti che quella legge voluta da Renzi era incostituzionale. E, guarda caso, un provvedimento illegittimo voluto dal governo ha mandato a monte un'inchiesta che vedeva in qualche modo coinvolte persone care al governo. E allora la domanda è d'obbligo: che cosa avrebbe potuto scoprire la magistratura se una legge non avesse obbligato gli investigatori a spifferare i risultati delle indagini a persone estranee all'inchiesta anche se gerarchicamente superiori? Di certo, ci saremmo goduti con spasso molte altre indiscrezioni. Ieri vi abbiamo fornito la trascrizione delle conversazioni fra l'ex presidente del Consiglio e il babbo sospettato di traffico d'interessi, cioè in pratica di aver brigato per favorire un tizio suo compagno di viaggio nei pellegrinaggi. In quelle telefonate Renzi si rivolge al padre con toni sboccati, rivelandosi inaspettatamente duro con il genitore. L'ex segretario del Pd sa da giorni che il papà è indagato ed è già noto che il suo braccio destro Lotti è finito nei guai con l'accusa di aver rivelato ai sospettati l'esistenza di un'indagine e di intercettazioni disposte dai pm. Si sa che anche il comandante generale dei carabinieri è nel mirino dei magistrati, a riprova che gli inquirenti non guardano in faccia a nessuno. Eppure Renzi non si fa problema a dare del bugiardo al babbo, dicendogli addirittura che se sta raccontando la verità lui è magro, biondo e ha un c... lungo 30 centimetri. Possibile che un uomo rimasto ai vertici del Paese per due anni, dunque abituato alle malizie del potere, neppure per un istante abbia sospettato che quelle conversazioni potessero essere intercettate? Perché dunque tanta durezza? E perché proprio al telefono Renzi insiste a chiedere dettagli al genitore esortandolo a dire di non «prenderlo per il c...», invitandolo fino allo spasimo a raccontargli la verità? Negli atti depositati dai pm, però, non ci sono solo le sorprendenti conversazioni tra padre e figlio, ma anche intercettazioni con altri personaggi. In una si parla anche della Verità, ossia del giornale che per primo ha rivelato l'inchiesta Consip. In essa Carlo Russo, l'amico di Renzi senior, riferisce frasi che sarebbero state pronunciate dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, ossia dal cervello che doveva suggerire al premier la politica economica. Secondo Russo, l'esperto chiamato a rilanciare con le sue misure le sorti del Paese era convinto che dietro La Verità ci fossero interessi oscuri contro lo stesso Renzi e, addirittura, fondi per decine di milioni. Insomma, mentre i pm indagavano per scoprire se il più grande appalto pubblico d'Europa fosse stato inquinato dagli interessi di una combriccola di affaristi, a Palazzo Chigi si evocavano improbabili complotti.Un mezzo complotto, a dire il vero, emerge, ma è quello che sembra evocare lo stesso babbo Renzi, quando cerca di scoprire se l'amministratore della Consip non abbia qualche cosa da nascondere. Il tenero genitore sospetta che l'uomo degli appalti sia gay e rimane deluso nello scoprire che non lo è. Chissà perché…
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (Imagoeconomica). Nel riquadro il programma dell'evento organizzato da La Verità
Charlie Kirk con la moglie Erika Frantzve (Getty Images)