Luca Palamara e Giuseppe Cascini (Ansa)
La marcia di Bruxelles per utilizzare gli asset russi congelati prosegue imperterrita, nonostante le ripercussioni siano dietro l’angolo. E il primo step in tale direzione è stato raggiunto con il via libera ufficiale sul blocco a tempo indeterminato degli asset russi.
Ad approvare l’uso dell’articolo 122 del Tfue che consente di congelare i beni russi senza scadenza, quindi senza la necessità del rinnovo semestrale e del voto all’unanimità, sono stati 25 Paesi, tra cui il Belgio, la Bulgaria, l’Italia e Malta. Dall’altra parte, a votare contro sono state Ungheria e Slovacchia.
Il sì italiano non è una sorpresa, visto che il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, poco prima aveva comunicato il parere favorevole sul congelamento degli asset sine die. La perplessità italiana riguarda però il passo successivo, ovvero il loro utilizzo: «Noi abbiamo sempre detto che avevamo qualche riserva non tanto sulla scelta politica, quanto sulla base giuridica per l’utilizzo di frozen asset. Ci può essere anche un altro strumento per finanziare l’Ucraina con garanzie che poi devono essere fuori naturalmente del debito pubblico. Quindi è un dibattito in corso».
E queste riserve sono condivise dal Belgio, dalla Bulgaria e da Malta, che insieme all’Italia hanno specificato in una dichiarazione: «Tale voto non pregiudica in alcun caso la decisione sull’eventuale utilizzo dei beni russi immobilizzati che deve essere presa a livello dei leader». I quattro Paesi, riferisce Politico, hanno scritto che «invitano la Commissione e il Consiglio a continuare a esplorare e discutere opzioni alternative in linea con il diritto dell’Ue e internazionale, con parametri prevedibili, che presentino rischi significativamente inferiori, per far fronte alle esigenze finanziarie dell’Ucraina, sulla base di un meccanismo di prestito dell’Ue o di soluzioni ponte». Questa posizione non è detto che metta concretamente i bastoni tra le ruote alla Commissione, ma mina la speranza di Bruxelles di arrivare all’accordo la prossima settimana. Il premier belga, Bart De Wever, però, dopo un bilaterale con l’omologo britannico, Keir Starmer, non ha del tutto escluso l’ipotesi di utilizzare i beni russi per finanziare Kiev. Pur sostenendo che sarà «un’impresa ardua», la ritiene possibile qualora i leader europei cooperino.
Intanto a tirare un sospiro di sollievo è stato il presidente della Commissione Ue, Ursula von de der Leyen, che ha scritto su X: «Stiamo inviando un forte segnale alla Russia: finché questa brutale guerra di aggressione continuerà, i costi per la Russia continueranno ad aumentare. Si tratta di un messaggio potente per l’Ucraina: vogliamo assicurarci che il nostro coraggioso vicino diventi ancora più forte sul campo di battaglia e al tavolo dei negoziati». Il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ha aggiunto: «Il prossimo passo è garantire i bisogni finanziari dell’Ucraina per il 2026-27».
Il dossier dei beni russi congelati è stato tra i temi affrontanti ieri durante il Consiglio di economia e finanza dell’Ue (Ecofin). Incalzato dalle domande dei giornalisti durante la conferenza stampa, il commissario Ue all’Economia, Valdis Dombrovskis, non ha mostrato la minima incertezza: «Le proposte» della Commissione Ue sul prestito a Kiev sono «giuridicamente solide, in linea con il diritto dell’Ue e internazionale e sostenute dal fatto che l’Ucraina soddisfi i prerequisiti essenziali». E ha voluto specificare che il lavoro continua «per affrontare le preoccupazioni residue di alcuni Stati membri», soprattutto «il Belgio». Ma il tempo stringe per l’Ue, con la priorità sugli asset russi che sembra scavalcare quella sulle trattative di pace. E quindi Dombrovskis ha ribadito: «È cruciale che troviamo una soluzione, che finalizziamo questo lavoro la settimana prossima. L’Ucraina ha un fabbisogno urgente di finanziamenti». Presente al suo fianco durante le dichiarazioni alla stampa, il ministro dell’Economia danese, Stephanie Lose, ha dichiarato che l’utilizzo degli asset russi «è la soluzione migliore» anche se «non è perfetta».
Dall’altra parte, il presidente russo, Vladimir Putin, ha affrontato il dossier con l’omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, definendo le manovre europee come una «truffa colossale». Ma Mosca alle parole ha dato seguito coi fatti: la Banca centrale russa ha presentato ricorso contro Euroclear per «azioni illegali» che «hanno provocato danni alla Banca di Russia». E ha dichiarato che contesterà i tentativi di bloccare i suoi asset «in tutte le sedi competenti». A prendere la questione sottogamba è stato Dombrovskis, che ha commentato: «L’Ue ritiene che questi depositari centrali di titoli possano compensare qualsiasi sequestro in Russia con beni congelati o immobilizzati detenuti qui. Possiamo aspettarci che la Russia continui ad avviare procedimenti legali speculativi per impedire all’Ue di rispettare il diritto internazionale e per far valere l’obbligo legale della Russia di risarcire l’Ucraina per i danni causati loro».
Le reazioni isteriche della sinistra lasciano il campo alle mosse istituzionali: ieri la notizia della probabile vendita da parte degli Elkann all’armatore ed editore greco Theodore Kyriakou di tutte le attività del gruppo Gedi, ovvero i quotidiani La Repubblica (ieri in sciopero) e La Stampa, il sito HuffPost.it e le radio, Deejay e Capital, è stata oggetto di incontri tra governo, editori e rappresentanze dei lavoratori. Lo sciopero di Repubblica è stato accompagnato da un comunicato apocalittico del Cdr, in cui si chiamava alla «difesa delle garanzie democratiche fondamentali per l’intero Paese», dato che «in ballo non c’è un semplice marchio, ma la sopravvivenza stessa di un pensiero critico».
Quanto al presunto ruolo di mediatore di Matteo Renzi nell’affare, ieri, a Otto e mezzo, l’ex premier ha commentato; «È evidente che non sono il mediatore dell’affare Gedi o altro. Conosco molti dei personaggi in questione. Credo di aver capito come tutti che Elkann intende uscire dal mondo dell’editoria. Se accadrà, spero che a prendere in mano il gruppo sia qualcuno di capace».
Giornata piena, quella di ieri, per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’Editoria, Alberto Barachini, che ha incontrato sia i vertici di Gedi che i Cdr di Repubblica e Stampa. «Barachini», si legge in una nota, «ha ascoltato tutte le preoccupazioni espresse dal Cdr di Repubblica e Stampa, condividendo con loro le garanzie chieste questa mattina (ieri, ndr) ai vertici del gruppo. Sto seguendo con la massima attenzione l’intera vicenda», prosegue il comunicato di Barachini.
Soddisfatta quindi la richiesta delle opposizioni di un impegno del governo, va registrato il commento positivo del Comitato di redazione di Repubblica che, «ricevuto dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’Editoria, Alberto Barachini, accoglie con fiducia l’impegno del governo a seguire passo passo l’evolversi della trattativa per la cessione del gruppo Gedi e in particolare la condivisione, da parte del governo, della richiesta a Gedi di mettere sul tavolo delle trattative le dovute garanzie a tutela dei livelli occupazionali e dell’indipendenza. Il governo ha anche assicurato che eserciterà i suoi poteri di vigilanza sulla presenza di eventuali quote extraeuropee nella compagine societaria del gruppo Kyriakou individuato come acquirente da Gedi. Impegno e rassicurazioni, quelle fornite dal sottosegretario Barachini», aggiunge il Comitato di redazione, «che rafforzano e sostengono la battaglia delle giornaliste e dei giornalisti di Repubblica a salvaguardia del loro lavoro e di una testata che da 50 anni costituisce una delle voci più importanti nel panorama di un’informazione libera e indipendente nel nostro Paese». Barachini, come dicevamo, ha ricevuto anche i vertici di Gedi: «La proprietà», si legge in una nota del presidente Paolo Ceretti e dell’ad Gabriele Comuzzo, »ha deciso di approfondire le trattative con il gruppo Antenna, un gruppo media con significativa presenza internazionale, che opera in 22 Paesi, con portafoglio prodotti multisettoriale (Tv, Digital, Radio, Cinema, Eventi, Formazione, Musica, Editoria) e con 35 anni di esperienza nel settore. Sono aspetti concreti che dimostrano le dimensioni e l’ambizione di una realtà, che mira a dare ulteriore impulso allo sviluppo di Gedi, nella convinzione che la sostenibilità economica sia fondamentale per garantire piena indipendenza editoriale. L’incontro con il sottosegretario Barachini si è svolto in un clima di ampia e piena condivisione e collaborazione istituzionale. Tra i temi oggetto di particolare attenzione, sono stati sottolineati la necessità di preservare il pluralismo informativo, l’indipendenza editoriale delle redazioni e le garanzie occupazionali. Questi temi», conclude la nota, «sono sempre stati prioritari per Gedi e per il suo azionista e il dialogo con Antenna Group è la migliore soluzione per raggiungere questi obiettivi».
Il grande direttore d'orchestra rilancia l'appello alla politica affinché trovi una via diplomatica per convincere la Francia a far tornare nella sua città natale il compositore fiorentino, che ora riposa al cimitero di Père-Lachaise. Il sogno? Dirigere il Requiem del genio toscano nella Basilica di Santa Croce, dove è già pronto il suo cenotafio.
Carlo De Benedetti da Dogliani è come l’aceto. Più invecchia e più è acido. Però l’Ingegnere ormai ha 91 anni, ha una gran memoria (selettiva) e può dire quello che vuole. La vendita di Stampa e Repubblica a dei greci «amici della Meloni» (si sarà confuso con i Colonnelli) lo ha letteralmente scatenato e quindi ha inveito contro John Elkann, sostenendo che «scappa dall’Italia perché ha problemi con la giustizia» e che la fortuna di Rcs Mediagroup e del Corriere della Sera è che il nipote prediletto di Giovanni Agnelli «ha fallito la scalata» (non c’è mai stata, comandavano senza).
De Benedetti, o dell’amarezza profonda. Da ex fornitore Fiat, non è riuscito a scalare Fiat e nel 1976 è stato defenestrato da Corso Marconi. La sua Olivetti ha fatto la fine che ha fatto. Si è vestito da editore (impuro) per 22 anni con il gruppo Espresso Repubblica, distruggendo il primo e consegnando il secondo agli Agnelli Elkann. Ha fatto la guerra tutta la vita a Silvio Berlusconi, ma ha perso anche quella perché l’ha impostata sulla superiorità morale e l’altro era più furbo e simpatico. Una volta capito che il rivale sarebbe stato a lungo a Palazzo Chigi come premier, gli propose una bella holding di partecipazioni in comune, fermata solo dalle proteste di Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari. Perché De Benedetti è sempre stato così: disprezza e compra. E se non riesce a comprare, improvvisamente ama e poi prova nuovamente a comprare.
Quello che è stato capace di dire al Foglio nel giorno in cui gli Agnelli Elkann vendono i giornali contiene qualche verità, ma con un grado altissimo di sfacciataggine e maramalderia.
Elkann vende i giornali «anche per tenersi lontano dai magistrati. Vende i giornali per partirsene via dall’Italia». Il presidente di Exor non è la prosecuzione della dinastia Agnelli, ma il suo liquidatore: «La Fiat, la Juve, la Ferrari. Dopo questa faccenda di Repubblica sarà difficile per lui in Italia. Non ha consensi. Non è amato […] Si trasferirà a New York. È cittadino americano di nascita». Tanto per dire, Cdb ha fatto avanti e indietro tutta la vita con la Svizzera e ha avuto problemi con Tangentopoli. Mentre il rapporto dei suoi giornali con le Procure non era certo figlio del disinteresse più adamantino.
L’Ingegnere ha speso parole al miele per Gianni Agnelli, più che altro per la sua «simpatia» e «popolarità», senza ricordarne il monumentale lato offshore. Ma il miele era solo per fare confronti sgradevoli con il nipote. Sempre al Foglio, ha spiegato: «John Elkann non ci ha nemmeno provato a farsi ben volere. E oggi se cammina per le strade di Torino non lo saluta più nessuno». Esattamente come accade a De Benedetti, che gira per il centro mani in tasca, fasciato nei suoi doppiopetti gessati di Caraceni, indossati con l’allure di un capo cantiere. Per inciso, ieri ha invece lodato Urbano Cairo, editore del Corriere e di La7, definito «bravissimo». Anche perché Cdb è di casa dalla Gruber a Ottoemezzo, dove ama pontificare sulla qualunque, politica estera compresa.
Proprio ieri, è morto il genovese Marco Benedetto, un vero figlio del Secolo. Ex giornalista Ansa, ex ufficio stampa Fiat, ex amministratore delegato di Espresso-Repubblica quando il gruppo era quotato in Borsa ed era un gioiello e una potenza. Benedetto non era solo un mastino, ma un grande esperto di giornali. Era l’anello di congiunzione tra gli Agnelli, Cesare Romiti e l’Ingegnere. Senza di lui, Cdb sarebbe stato al massimo il proprietario della Sentinella del Canavese.
De Benedetti seppellirà tutti i rivali, non c’è dubbio. A volte sembra un po’ rude, ma in realtà ha solo un problema di riconoscimenti mancati. Può sembrare acido e velenoso. E quasi sempre inciampa sullo stile. Degli altri. Per esempio, tutti i dipendenti Mediaset e Mondadori amavano il Cavaliere. Tutti i dipendenti del gruppo Espresso amavano il presidente Carlo Caracciolo, editore vero e innamorato dei giornali e dei giornalisti, nonché cognato del predetto «amatissimo» Gianni Agnelli. L’Ingegnere? Pagava i conti a fine anno e nessuno gli diceva mai grazie. Neppure i figli Marco e Rodolfo, con i quali va poco d’accordo e da lui più volte accusati di «non capire niente di editoria». In pubblico e senza a alcuna pietà. La successione di Berlusconi è stata un mezzo capolavoro finanziario, ma soprattutto un esempio di equilibrio e armonia, pur nella vasta famiglia. Il testamento di Cdb, quando sarà, darà da scrivere per mesi.
Anche le imprese di De Benedetti in Belgio e in Francia sono state meno fortunate e meno lodate degli affari che il pallido Elkann ha messo a segno Oltralpe con Exor, Louboutin, Institute Mérieux e tanto altro. E quando Cdb e John si sono associati per i giornali, il primo ha portato in bilancio un contenzioso fiscale pregresso miliardario e il secondo uno stile manageriale da caserma sabauda, incompatibile con la confezione di un prodotto collettivo dell’ingegno.
L’Ingegnere oggi trova elegante sottolineare che Elkann se ne andrà dall’Italia per «stare alla larga dei giudici» e d’altronde «a Torino è già ai servizi sociali, come Berlusconi a Cesano Boscone». E poi John, finito nei guai per l’eredità di Marella Caracciolo, secondo lo psicoterapeuta e fine pedagogo di Dogliani «fa il tutor per ragazzi problematici, ma sarebbe lui ad aver bisogno di un tutor perché tutto quello che ha toccato lo ha rotto». Com’era la storia di quelli che vivono a specchio?
