2019-09-25
Le casse private valgono 82 miliardi. Un patrimonio che fa gola ai 5 stelle
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La fotografia degli enti di previdenza nel 2018 descrive nel complesso un trend di crescita. Il mattone pesa ancora per il 23%, poca economia reale. I grillini studiano un progetto per cambiare norme e competenze.Fondi pensione a quota 860 miliardi. Dal punto di vista dei rendimenti, il 2018 è stato un anno particolarmente difficile a causa del ribasso dei mercati: a eccezione delle fondazioni di origine bancaria. Lo speciale comprende due articoli. A dare uno sguardo al sesto report di Itinerari previdenziali sugli investitori istituzionali, si capisce perché da tempo il Movimento 5 stelle voglia mettere le mani sul patrimonio immobiliare delle casse di previdenza. Con i gialloblù il politico più attivo è stato Stefano Buffagni che più volte ha incontrato i vertici degli enti. Adesso la pratica è nel cassetto, ma il progetto complessivo resta aperto. L'idea dei 5 stelle è quella di avviare una riforma complessiva del comparto in modo che parte del patrimonio ritorni nella sfera pubblica e l'altra parte venga reinvestita nell'economia reale. Magari nei settori che per i 5 stelle sono politicamente più sensibili. Si parla di un grossa cifra.Su un totale di patrimonio della casse privatizzate di 82,92 miliardi di euro (dato aggiornato a fine 2018), il valore del mattone in capo a questi enti si aggira intorno ai 3,5 miliardi, mentre altri 15,85 miliardi di patrimonio immobiliari arriva attraverso fondi di investimento immobiliare. In parole povere, tra investimenti diretti o attraverso fondi di investimento le casse privatizzate l'anno scorso hanno investito circa 19,35 miliardi nel mattone, il 23,3% del totale. Per capire come si è arrivati al valore del patrimonio immobiliare della casse di previdenza, bisogna passare al microscopio il patrimonio di queste ultime. Gli 82,92 miliardi di patrimonio si dividono infatti in due categorie: quelli derivanti da investimenti diretti che valgono 66,8 miliardi di euro e quelli indiretti che valgono 16,1 miliardi di euro. Dei 66,8 miliardi di investimento diretto, solo il 5,37% (in aumento rispetto al 5,15% del 2017) è stato speso nel mattone. In poche parole le Casse privatizzate italiane nel 2018 avevano immobili di proprietà per 3,5 miliardi. Ci sono poi da considerare gli investimenti in Fia, fondi di investimenti alternativi. Si tratta di veicoli che le casse affidano a case di gestione e che riguardano vari ambiti finanziari. Si tratta del 23,47% del patrimonio complessivo delle casse: 19,4 miliardi di euro. L'81,48% di questi Fia è costituito da Fia immobiliari, di quelli cioè che investono nel mattone. Il loro valore, al 2018, era di 15,85 miliardi di euro.Come mostra il report del centro studi fondato da Alberto Brambilla, le prime cinque società che gestiscono gli investimenti immobiliari delle casse privatizzate sono: Dea capital real estate con 2,7 miliardi di investimenti, Fabrica immobiliare sgr con 2,32 miliardi, Investire sgr con 2 miliardi, Antirion sgr con 1,8 e Prelios con 988 milioni. Ma le casse privatizzate di professionisti non sono le uniche che investono nel mattone. Le fondazioni di origine bancaria nel 2018 hanno investito il 3,48% delle loro masse, in crescita rispetto al 2,98% del 2017. Con il segno più anche l'andamento degli investimenti immobiliari dei fondi preesistenti autonomi, quelli nati prima della riforma delle pensioni.In questo caso l'investimento nel mattone è cresciuto dal 2,87% del 2017 al 3,78%. Secondo lo studio, i fondi pensione negoziali sono gli unici che non investono nell'immobiliare.In poche parole, gli investitori istituzionali, come mostrano i numeri, investono solo una piccola parte delle loro risorse nel mattone e il valore tra il 2017 e il 2018 è aumentato solo di qualche decimo di punto percentuale. Tra gli investitori istituzionali parte dello studio figurano anche le imprese assicurative del ramo vita. In questo settore la percentuale di investimenti nel mattone è ancora minore delle casse previdenziali. Tra le imprese assicurative che investono i soldi dei loro assicurati nel mattone troviamo Unipolsai (100 milioni nel 2018), Axa mps assicurazioni (100 milioni), Arca vita (circa 500 milioni), Cnp unicredit vita (400 milioni) e Amissima vita (1,6 miliardi). A questi valori vanno però aggiunti i diversi disinvestimenti che hanno portato avanti queste compagnie. Quello che salta all'occhio però sono i numeri riportati dall'indagine. Tra il 2009 e il 2018 gli investimenti nell'immobiliare da parte delle compagnie di assicurazione sono crollati del 52,2%, scendendo inesorabilmente dagli 1,2 miliardi di euro del 2009 ai 561 milioni del 2018. Un calo di 613 milioni che sono confluiti in investimenti di natura finanziaria, ritenuti più redditizi. Del resto, come spiega il rapporto, il fondo di garanzia istituito per facilitare il finanziamento delle imprese che versano il Tfr ai fondi pensione è stato abolito dal governo Prodi del 2007 e da allora né la politica né le parti sociali se ne sono più occupati. Basti pensare che dal 2007 alla fine del 2018 nei fondi pensione (dunque non da parte di tutti gli investitori istituzionali) e nel fondo gestito dall'Inps sono confluiti quasi 110 miliardi di Tfr «sottratti» alle imprese italiane. Di questi solo 3,5 miliardi sarebbero stati investiti nell'economia reale.«È questo uno dei dati più allarmanti che ha ovviamente ampie e negative ripercussioni sia sull'occupazione sia sulla produttività, contribuendo alla stagnazione del nostro Paese e sul quale tutti dovrebbero riflettere», si legge all'interno dell'indagine.Il problema è che si tratta di un andamento ormai consolidato e che non accenna a cambiare: senza provvedimenti mirati a combattere il problema, di questo passo e nel giro di pochi anni gli investitori istituzionali potrebbero smettere di dare il loro contributo all'economia reale. Rimarrebbero solo le fondazioni di origine bancaria a dare il loro apporto, ma da sole non sarebbero sufficienti a fare del bene al nostro Paese. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-casse-private-valgono-82-miliardi-un-patrimonio-che-fa-gola-ai-5-stelle-2640578679.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fondi-pensione-a-quota-860-miliardi" data-post-id="2640578679" data-published-at="1758069242" data-use-pagination="False"> Fondi pensione a quota 860 miliardi Il mercato italiano della previdenza complementare sta finalmente iniziando ad avere una dimensione importante. Ad affermarlo è il sesto rapporto di Itinerari previdenziali secondo cui il Belapese è al quindicesimo posto al mondo per dimensioni calcolando il rapporto tra il patrimonio dei fondi pensione e il Pil. Nel 2018 il nostro mercato delle pensioni integrative (con un patrimonio di 860 miliardi) fa il pari con Paesi come la Finlandia e il Cile, e si sta avvicinando alla Svizzera e al Giappone (901) e all'Olanda (1,61). Certo, ci vorrà tempo per arrivare ai livelli del Regno Unito (2,47 miliardi) o degli Usa (25 miliardi). Con oltre 167 miliardi di patrimonio, i fondi pensione italiani iniziano ad avere una buona capitalizzazione e a essere un mercato interessante, tanto che, se si considerano anche gli altri investitori istituzionali, l'Italia si mantiene intorno al quindicesimo posto dell'area Ocse per patrimonializzazione. Quello che emerge dallo studio Investitori istituzionali italiani: iscritti risorse e gestori per l'anno 2018 è quindi il ritratto di un Paese che inizia a vantare un mercato istituzionale di spessore, nonostante sia diffusa l'opinione secondo cui la previdenza complementare italiana non è mai decollata e non raggiunga cifre paragonabili ai competitor. Nonostante le crisi finanziarie, il patrimonio dei fondi pensione è in costante crescita negli ultimi 12 anni, passando da 57,78 miliardi (nel 2007) a 167,06. Dal punto di vista dei rendimenti, il 2018 è stato un anno particolarmente difficile a causa del ribasso dei mercati: a eccezione delle fondazioni di origine bancaria e delle gestioni separate, tutti gli investitori hanno subito una rilevante contrazione rispetto agli anni precedenti. In particolare, i fondi pensione hanno registrato performance negative inferiori anche ai cosiddetti rendimenti obiettivo (media quinquennale del Pil, inflazione e rivalutazione del Tfr). Se però si amplia il periodo di osservazione, come è d'obbligo fare con investitori di lungo termine quali i fondi pensione, i rendimenti medi tornano a battere quelli obiettivo già a cinque e dieci anni. Secondo lo studio i fondi negoziali nel 2018 hanno ceduto il 2,5%, quelli aperti sono arrivati a perdere il 4,5% e quelli preesistenti lo 0,2%. Solo alle fondazioni di origine bancaria è andata meglio con una crescita del 2,7%. Si può dire dunque che quasi nessuno tra gli investitori istituzionali abbia fatto meglio della rivalutazione del Tfr che l'anno scorso era all'1,95%. «A impressionare non positivamente», commenta il fondatore di Itinerari previdenziali Alberto Brambilla, «è sicuramente l'esiguità degli investimenti dei fondi di natura contrattuale, in gran parte alimentati dal Tfr "circolante interno" alle aziende e che, quindi, è e dovrebbe essere la prima e principale forma di sostegno all'economia reale. Si potrebbe sicuramente fare di più tenendo però bene a mente che, se anche il nostro Paese avesse un minimo di politica industriale, con l'apporto di questi investitori, si potrebbero favorire le realtà produttive del Paese, migliorando occupazione e sviluppo, e soprattutto evitando che alcuni nostri "gioielli" possano finire in mano a capitale esteri, come oggi spesso accade per somme risibili»