2024-10-25
Le buste paga al Nord non bastano. Parte la volata alle «gabbie salariali»
Luca Zaia (Imagoeconomica)
Luca Zaia rilancia la battaglia leghista e la lega all’Autonomia: obiettivo «sostenere il potere d’acquisto». I contratti collettivi impongono retribuzioni fisse e rendono difficile trovare lavoratori nelle Regioni più ricche.Le gabbie salariali, cavallo di battaglia della Lega, tornano prepotentemente alla ribalta. A rilanciare il dibattito sull’opportunità di avere salari differenti fra Nord e Sud è stato il presidente veneto Luca Zaia intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità. L’obiettivo della riforma è quello di «sostenere il potere d’acquisto dei dipendenti pubblici e privati» attraverso la previsione di trattamenti economici differenziati in base ai diversi territori.Ovviamente Zaia collega la segmentazione delle retribuzioni al tema dell’Autonomia. «Abbiamo seri problemi» dice «penso ad esempio ai magistrati, per chi vorrebbe lavorare a Venezia ma finisce con il non poterselo permettere. Vale per Venezia ma anche per Cortina. Se non tariamo gli stipendi in base al costo della vita depauperiamo i territori di risorse preziose».Il dibattito sulle gabbie salariali è antico. Introdotte nel 1946, erano destinate inizialmente al Nord e poi estese a tutto il Paese nel 1954. Consentivano alle aziende di compilare buste paga di differente peso: più consistenti per gli operai che lavoravano nel vecchio Triangolo industriale (Milano, Torino, Genova) dove il costo della vita era maggiore e più leggere altrove. Tuttavia, queste misure furono percepite come discriminatorie. E cosi in nome di uno slogan più ideologico che reale («Salario eguale per tutti») furono le prime vittime del falò acceso dal sindacato con l’Autunno caldo del ‘69. L’effettiva abolizione avvenne solo nel 1972 ma ormai il percorso era segnato. Da allora, come un torrente carsico ogni tanto il tema torna alla ribalta. Si fa sempre più marcata la differenza di potere d’acquisto fra una città come Milano ormai pienamente integrata nelle catene di valore delle grandi capitali europee e Palermo che sempre di più si sta svuotando di giovani che cercano opportunità di carriera e di stipendio fuori dalla Sicilia. Carlo Cottarelli dal suo osservatorio all’Università Cattolica ha provato anche a fare i conti. Ha cercato l’equivalenza delle retribuzioni fra il Sud dove sono più bassi e il Centro-Nord. Questo significa che ogni euro speso al Sud ha un maggiore potere d’acquisto, e quindi un valore reale superiore. Correggendo i dati in base alla Parità di potere d’acquisto (Ppa), il vantaggio del Mezzogiorno sale a 2.297 euro pro capite. Insomma il ritardo del Mezzogiorno è solo apparente. Conti alla mano la battaglia del sindacato per il salario uguale per tutti da fissare attraverso il contratto unico nazionale (rito supremo delle relazioni industriali) ha avuto risultati disastrosi. E così i ragazzi fuggono da Palermo perché hanno difficoltà a trovare lavoro. Corrono a Milano che è sempre alla ricerca di nuove risorse da inserire nel circuito produttivo. Ma per sopravvivere sono costretti a fare grandi sacrifici. Con gli stipendi fissati dal contratto nazionale è difficile campare. A Milano i lavoratori più poveri, i giovani, quelli con un titolo di studio meno elevato, gli operai e i lavoratori nelle imprese minori sono più poveri che nel resto d’Italia. Ed ecco perché, come raccontava il Corriere della Sera di ieri, è stata lanciata l’idea di un «Salario Milano» sulla falsariga di quanto accade a Londra. A proporre l’iniziativa è Tortuga, un piccolo centro studi cui fanno parte studenti, ricercatori, professori universitari. Spiegano che per le fasce alte di reddito Milano è regno di opportunità. Man mano che si scende, la città è una prateria dove si lavora tutto il giorno esclusivamente per sopravvivere o poco più. E la contrattazione collettiva, totem del sindacato non serve a niente. «Milano» si legge nel report «è l’esempio principale di questa dinamica: retribuzioni in linea con quanto stabilito dagli accordi di contrattazione, che faticano sempre più a coprire il costo della vita».Così fissano un salario minimo di 8,3 euro come argine alla povertà. «Questa soglia» spiegano «è inferiore al salario medio milanese, ma i lavoratori single under 30 guadagnano meno». Conclusione: «Il salario minimo non è uno strumento per innalzare il livello retributivo dei lavoratori tout court, bensì una politica utile alla fascia degli occupati davvero più fragili». Insomma una iniziativa da non confondere con il «salario minimo» tanto caro al Pd e ai 5 stelle. Una proposta respinta dalle imprese (il 68% delle piccole è contraria secondo un sondaggio del Laboratorio lavoro dell’Agenzia Adnkronos). Ma anche dal buon senso: 9 euro a Palermo hanno un valore. A Milano sono pesi leggeri. Un problema che riguarda soprattutto il pubblico impiego e in particolare la scuola. Infatti non è un caso che, ogni anno, formare le classi in Lombardia è un problema perché non si trovano insegnanti. Chi può resta al Sud dove il suo piccolo stipendio consente dignità. Opportunità spesso negata al Nord.
Jose Mourinho (Getty Images)