
CLICCA QUI PER LEGGERE IL DOCUMENTO.
All'interno il contratto completo.
(...) da leguleio, ma quelle poche righe sono la chiave di un pasticciaccio brutto in cui il nostro Paese si è infilato e per il quale rischia di pagare un prezzo piuttosto alto, in termini di Pil, di occupazione e di penali. Ma andiamo con ordine, per spiegare nel dettaglio ciò che è accaduto. Prima c'è l'inchiesta penale della Procura di Taranto che arresta i proprietari e dichiara fuorilegge la fabbrica, con l'accusa di violazioni delle norme ambientali. I Riva, cioè la famiglia di acciaieri, sono praticamente espropriati dell'azienda e questa, sotto minaccia della magistratura di chiudere tutto, è commissariata. Dal punto di vista tecnico, per poter operare gli altiforni devono essere messi a norma, ma per esserlo non solo bisogna investire un mucchio di soldi, ma serve anche tempo. Per i duri e puri, tra i quali paiono esserci pure alcuni pm, bisognerebbe spegnere tutto, ristrutturare e poi riaprire. Ma un'acciaieria non è un lampadario che accendi con un clic. Una volta che hai premuto l'interruttore, per farla tornare a splendere ci vuole qualche anno. Tradotto, chiudere significa morire, non ripartire. Questo è noto a tutti, soprattutto ai commissari incaricati di gestire la transizione e di vendere a investitori che risanino l'azienda senza chiuderla, mantenendo dunque produzione e occupazione. Dunque nel 2015, all'epoca del governo Renzi, vengono fatti una serie di decreti che garantiscono a chi subentrerà di poter operare al risanamento, senza incorrere in stop o in rischi, cioè senza che la magistratura si metta di traverso, bloccando gli altiforni o arrestando i manager incaricati di gestire l'Ilva. Tutto chiaro, fin qui?
Bene, i decreti sono convertiti in legge e dopo di che viene predisposto un contratto d'affitto. E così siamo arrivati al paragrafo 27.5, un pugno di righe in cui sta scritto che, «nel caso di una sentenza definitiva o esecutiva, non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch'esso non sospeso negli effetti, ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l'annullamento integrale del decreto del presidente del Consiglio dei ministri (…) ovvero nel caso in cui ne sia disposto l'annullamento in parte tale da rendere impossibile l'esercizio dello stabilimento di Taranto, (…) entro il termine di 15 giorni (…) ha il diritto di recedere dal contratto attraverso una comunicazione scritta…».
Lasciate perdere il burocratese con cui è scritto il contratto e concentratevi sulla sostanza. Al punto 27.5 non c'è scritto che i manager possono invocare l'immunità penale nel caso avvelenino un operaio e nemmeno sta scritto che possano produrre acciaio in spregio alle leggi sulla sicurezza e sulla tutela dell'ambiente. E però è messo nero su bianco che le sentenze oppure modifiche legislative che non siano europee non possono rendere impossibile l'esercizio dello stabilimento di Taranto, perché altrimenti l'affittuario, cioè Arcelor Mittal, può fare le valigie e lasciare tutti con un palmo di naso addebitando la colpa al governo. Ed è quel che è successo. Il Parlamento ha modificato il quadro normativo, togliendo lo scudo penale, e il gruppo franco-indiano ha azionato la clausola che gli consentiva di mandare tutti al diavolo.
Dice Giuseppe Conte: la decisione è pretestuosa, perché hanno scoperto che, essendo cambiate le condizioni di mercato, non sono più in grado di onorare il contratto. Può essere: ma la maggioranza giallorossa ha offerto ad Arcelor Mittal il pretesto per uscire dal contratto. Ora l'avvocato del popolo è pronto a fare marcia indietro e cioè a rioffrire l'immunità. Ma quei gran furboni del gruppo franco-indiano adesso pretendono di più. Come l'avvocato del popolo dovrebbe sapere, le clausole fanno la fortuna degli studi legali. Purtroppo nella decisione della maggioranza giallorossa di abolire lo scudo penale di legale c'è poco, di studio ancora meno. Dunque, prepariamoci a pagare.






