L’auto elettrica è la testa di ponte della transizione green, ma può tranquillamente trasformarsi nel suo cavallo di Troia. Spolverata dalla patina di marketing e dal grande racconto che ne fa la politica soprattutto europea, il mezzo a quattro ruote che si muove soltanto con batterie elettriche si sta rivelando per quello che è, cioè un modello artificiale calato dall’alto e puntellato solo da incentivi e grandi progetti sovranazionali. I numeri depurati dalle idee e dalle opinioni non lasciano scampo. A oggi in Italia il parco circolante di auto immatricolate o reimmatricolate (comprese le più vecchie) supera di qualche migliaia i 40 milioni di unità. Di queste solo 215.000 sono le cosiddette full electric. Le plug o ibride sono di più, ma nulla di eclatante. Parliamo di mezzo punto percentuale. Se prendiamo il 2023 vediamo che in tutta la Penisola sono state immatricolate 1,5 milioni di auto. Circa 50.000 quelle elettriche Meno del 4% del totale. Se andiamo più a fondo vediamo che a novembre e dicembre appena trascorsi le immatricolazioni «green» sono state circa 8.000 al mese. Con un enorme boom delle auto immatricolazioni. Si tratta di concessionarie o case automobilistiche che targano le vetture e poi gestiscono il mercato secondario. A novembre su 7.900 vetture nuove, ben 6.800 sono finite nei garage delle concessionarie per essere vendute con calma. Solo il migliaio rimanente è stato acquistato per volontà di un privato. Tant’è che a gennaio, il mese appena trascorso, le auto elettriche immatricolate sono state solo 2.900 in tutta Italia. Perché? Per il semplice motivo che fino al giorno 24 il governo non aveva varato il piano incentivi. E qui veniamo al secondo aspetto dell’artificialità del modello elettrico. A seguito del tavolo sull’automotive, l’esecutivo ha approvato fino a fine anno bonus pari a 950 milioni. Di questi circa 240 vanno alle elettriche, mentre 150 milioni alle ibride Quindi, circa il 26% di tutti gli incentivi all’acquisto è destinato a una fetta che vale solo il 4% del totale. I supporter sfegatati del Green new deal ovviamente sostengono che gli incentivi servono proprio per allargare la fetta in questione. Peccato che i dati del 2023 e 2022 insegnano che la domanda di utilizzo dei bonus è stata ampiamente inferiore all’offerta messa in campo dal governo. L’elettrico per chi vive fuori dalle cerchie delle Ztl non funziona. Non piace, costa di più del mezzo tradizionale e limita di gran lunga la mobilità. Se fa caldo non si può usare e se fa freddo idem. Non serve per i mezzi di soccorso e pure per il trasporto pubblico locale ad ampio raggio è un guaio. Lombardia, Veneto e Trentino hanno molte più vetture verdi del centro Italia, ma se andiamo a vedere quante ne vengono vendute al Sud c’è da spaventarsi.
Nel 2022 in Calabria ne sono state immatricolate solo otto. Non è un refuso. Proprio otto. Ai calabresi piace prendere un’auto per viaggiare e non tenerla in garage ferma. Mancano le colonnine. E anche in questo caso ai ferventi sostenitori della transizione bisogna ricordare l’immane investimento che richiederebbe una rete capillare. Dovremmo metterci da subito a riempire le Regioni di centrali nucleari. Nessuna rete elettrica sostenuta da rinnovabili o altre fonti non rinnovabili sarebbe in grado di gestire tali picchi di consumi.
Fin qui abbiamo omesso le ricadute sul lavoro e altri problemi industriali. Carlos Tavares, ad di Stellantis, può permettersi di premere sull’Italia perché sa che l’incognita dell’elettrico mette tutti in difficoltà e porterà ad altri consolidamenti.
Oliver Falck, direttore dell’Ifo center tedesco, in base ai dati dell’agenzia federale del lavoro circa una anno fa spiegava che il comparto automobilistico tedesco ha perso in 10 anni quasi il 10% dei posti di lavoro. «Stiamo assistendo a una deindustrializzazione del settore causata dal passaggio alla mobilità elettrica», ha dichiarato Falck. «I servizi software e i modelli di business digitali hanno compensato solo parte della perdita». Da queste dichiarazioni è trascorso poco tempo, ma l’aria è decisamente cambiata. Il colosso Toyota ha detto che non abbandonerà mai i motori a scoppio. Così come imposto il modello elettrico non sta in piedi. L’ad giapponese dice: «Tutti vogliamo ridurre la C02, ma Toyota crede che a nessuna regione, Paese, o persona con basso reddito dovrebbe essere negata la libertà di movimento». Parole sacre, che Bruxelles dovrebbe incidere nella pietra. Anche un maestro dell’auto come Luca De Meo, ad di Renault, ha dovuto far abortire la quotazione della costola elettrica del gruppo. Non ci sono le condizioni. O meglio, il rischio sarebbe quello della classica bolla della new economy.
Infine c’è un terzo elemento da tenere in considerazione. E riguarda la sovranità nazionale che tale industria green sta smontando. Ogni due auto elettriche circolanti, una monta una batteria cinese. L’Europa non è in grado di recuperare i ritardi. E par farlo dovrebbe mettere in campo una montagna di miliardi che non ha. Dunque il Vecchio Continente sta decidendo di sovvenzionare un modello che premia la sovranità straniera. Gli incentivi dovrebbero servire al contrario. Si sostiene l’agricoltura, al di là del peso che ricopre sul Pil, perché senza contadini non mangiamo. Perché bastano due missili Huthi per bloccare le navi. Questa è sovranità. Se il resto del mondo incentiva l’elettrico, noi torniamo al diesel evoluto e puntiamo su quello. Altrimenti dovremo pensare che l’intento Ue sia quello di trasformarci in nazioni di poveri consumatori che non hanno nulla da costruire né produrre.





