2021-10-05
L’astensione record non è un sì all’establishment ma un problema per tutti
(Ivan Romano/Getty Images)
L'affluenza «mini» viene letta come un plauso al governissimo. Invece più che la domanda di politica alternativa manca l'offerta.Peggio di un dato d'affluenza ai minimi storici c'è solo il modo sbagliato di interpretarlo. Ci sarà tempo per studiare i flussi, i divari tra voti ai candidati e alle liste, eccetera. Ma non può non spiccare il fatto che più della metà degli aventi diritto ha deciso di non andare alle urne nelle prime tre città italiane: Roma, Milano e Napoli. Non basta a spiegarlo la scelta - evidentemente discutibile - delle candidature di sconfitti quasi più abbandonati che puniti; e le conseguenze non si limitano alla minor legittimazione dei vincitori, che pure merita sottolineatura.Il fenomeno è molto più largo e allarmante. Ad aggravarlo, come detto, una possibile lettura che caccia dritti in un paradosso inestricabile. La lettura, prevedibile nella stragrande maggioranza dei commenti di ieri sera e di oggi, suona così: una coalizione di centrodestra a trazione urlante, sguaiata, sovranista, populista, no vax e via banalizzando ha fallito; deve farsi moderata (e stare a cuccia con Pd e M5s) se vuole tornare competitiva e non spaventare gli elettori. Si potrebbe notare una prima incongruenza: tale interpretazione è compatibile con l'allarme legato alla stessa destra accusata di cavalcare posizioni estremiste a caccia di consensi? Ma è il meno. Una smentita più pratica arriva in effetti da controprove già visibili a caldo di ieri. Non solo infatti un Luca Bernardo, per fare l'esempio della sconfitta più gonfia, non appare esattamente come il profilo tipico di candidato «antisistema». Ma non pare neppure che candidati esplicitamente «moderati» come quelli messi in campo a Torino abbiano incontrato il trionfo popolare. Anche chi, come Giancarlo Giorgetti, in area centrodestra, aveva speso parole a favore di Carlo Calenda, ha elementi di riflessione. Il voto alle liste, una volta chiusi gli spogli, chiarirà che la scoppola riguarda tutto il centrodestra, che pure presentava tre volti: uno marcatamente filogovernativo (Forza Italia), uno dialetticamente governativo (Lega) e uno all'opposizione: Fratelli d'Italia. Calabria a parte, nel confronto con le ultime amministrative non sono gli ultimi due a uscire più ridimensionati. Ma per Salvini e Meloni non è certo una consolazione, visto che il problema pare molto più profondo: non manca una domanda politica di alternativa allo status quo, ma un'offerta all'altezza. Dovendo dare un valore complessivo e al di là delle situazioni locali al voto di ieri in attesa dei ballottaggi, un'astensione così alta fa pensare a una rinuncia da sfiducia sull'opportunità stessa del voto a fronte di una gestione politica ormai neutralizzata, inevitabile, immodificabile nei suoi tratti profondo. Inincisivo il centrodestra di governo, irrilevante quello d'opposizione: puniti entrambi, ma non per questo premiati gli altri. Leggere, al contrario, l'astensione al 50% come un plauso all'esistente contiene un doppio rischio. Il primo è per il centrodestra e la sua futura formulazione: problema loro, si potrebbe dire, ma anche di equilibrio istituzionale, soprattutto a pochi mesi dalla scelta del successore di Sergio Mattarella. Il secondo è più impressionante: per sua natura, il governo Draghi tende a togliere ai partiti e al Parlamento (quindi alla politica) il «pallino», dal Pnrr alla gestione della pandemia. Non siamo distantissimi da un quadro dipinto da Carl Schmitt in cui «la maggioranza non è più partito: essa è lo Stato stesso». Fuori dalla teoria: un cittadino preoccupato dal fisco, scettico su utilità e senso delle vessazioni del green pass più duro d'Occidente, perplesso sui vincoli del rientrante Patto di stabilità o intimorito dalle ripercussioni su lavoro, bollette e inflazione delle politiche «verdi», non ha evidentemente ritenuto valide le opzioni in campo. Usare il voto come prova dell'inesistenza di queste preoccupazioni è pericoloso. Dare alle medesime un linguaggio, una cultura, una legittimità e un'espressione presentabili è compito arduo, ma decisivo per la democrazia.