
Dopo essere stata respinta dalla Francia, la nave delle Ong è ferma in prossimità delle coste maltesi, con 58 stranieri a bordo da giorni. Però su Parigi non piovono accuse di razzismo e disumanità.«Sulla nave crescono ansia e disperazione. Un uomo ha minacciato di buttarsi in mare». «Vogliamo porre fine a questo gioco sulle spalle di persone già vulnerabili e portare al più presto i 629 migranti in un porto sicuro italiano». Sono le dichiarazioni dell'equipaggio della nave Aquarius, quando, nel mese di giugno, il ministro dell'Interno Matteo Salvini le voleva negare l'attracco nei porti italiani. «Matteo Salvini e Danilo Toninelli si comportano da banditi», commentò il vate Roberto Saviano. Per non parlare del tragico viaggio alla volta di Valencia, dopo che la Spagna si offrì di dare asilo agli immigrati: le onde alte 5 metri, i profughi stremati, l'emergenza sanitaria.Ora, l'imbarcazione Aquarius 2 di Sos Méditerranée e Medici senza frontiere, che naviga senza più bandiera dopo che Panama (pare su pressione dell'Italia) le ha ritirato l'iscrizione al registro navale, è bloccata al largo di Malta, in acque internazionali. Nell'isola dovrebbe sbarcare i 58 migranti salvati qualche giorno fa, per poi farli redistribuire tra Germania, Portogallo, Francia e Spagna. Ma stavolta non c'è un ministro fascista e razzista contro cui puntare il dito. E, curiosamente, le condizioni di salute dei naufraghi a bordo non destano preoccupazione: «Ci sono persone con ustioni di secondo grado e una donna incinta di cinque mesi», ma è tutto normale, tutto sotto controllo. Forse perché stavolta alle titubanze delle autorità maltesi si aggiungono i timori dello stesso equipaggio della Aquarius. Che oggi è a tutti gli effetti una nave pirata e, quindi, corre il rischio di finire sotto sequestro nel momento in cui, dalle acque internazionali, passasse in quelle della Valletta. Insomma, per l'imbarcazione è lecito rimane al largo e trattenere a bordo i disperati, se lo scopo è evitare una disavventura giudiziaria.Certo, la presidente di Msf, Claudia Lodesani, ha lamentato una strumentalizzazione «per fini di propaganda. Si tra creando una crisi umanitaria alle porte dell'Europa e nessuno vuole risolverla. Chiediamo agli Stati di rimettere al centro la vita delle persone. Dateci una bandiera». Mancano, tuttavia, gli appelli accorati degli intellò, le magliette rosse delle Brigate Rolex, i rimproveri dei governi umanitari a targhe alterne e con i porti degli altri. C'è qualche sfogo degli attivisti, riportato da qualche testate più sensibile al tema. Il Manifesto, ad esempio, riferisce le dichiarazioni di uno dei volontari, Alessandro Porro: «Non si era mai visto che a una nave viene tolta la bandiera per ben due volte in un mese. È in corso un'operazione per fermarci, per togliere di mezzo il soccorso messo in atto da civili». E se da un lato, più che sull'emergenza dei profughi, stavolta si vuole porre l'accento sulla necessità di evitare che la nave degli attivisti venga di nuovo bloccata (e dal Mediterraneo spariscano definitivamente le tracce delle Ong), dall'altro forse gli aedi dell'invasione non vogliono andarci giù troppo pesanti con Malta. La quale, in effetti, può sempre tornare utile nella madre di tutte le battaglie, quella contro il governo gialloblù: nell'ultima decade di agosto, era stata La Valletta a definire «disumana» l'Italia.Ma soprattutto, stupisce che non siano piovuti strali contro il presidente francese Emmanuel Macron, che è stato il vero artefice della crisi giunta ora all'acme. Qualche giorno fa, l'inquilino dell'Eliseo aveva negato ad Aquarius 2 l'attracco a Marsiglia, nonostante alla guida della nave ci siano due Ong francesi. Come riferisce Reuters, fra l'altro, i tre quarti dei suoi concittadini, con i quali ultimamente Macron non è esattamente in luna di miele, approvano il modo in cui il presidente ha gestito la questione. La Lodesani, di Msf, si è limitata a osservare che «la vita umana non è più al centro delle politiche dei governi, che si tratti di Macron, Viktor Orbán o Salvini». Oggi, dunque, della sfida a viso aperto al Viminale, in cui i volontari non si erano fatti scrupolo di usare come mezzo di pressione i migranti, è rimasto un asciutto comunicato che se la prende genericamente con i potenti dell'Europa. A questo si aggiunge solamente una campagna su Twitter, lanciata da Sos Méditerranée e Medici senza frontiere: sono gli hashtag #SaveAquarius e #SaveRescueAtSea, con i quali si invita «la società civile a mobilitarsi». Stavolta, però, la moral suasion non è incentrata sull'accoglienza, anche perché l'accordo su come smistare le persone raccolte al largo della Libia esiste già. Da salvare, appunto, non sono i migranti, ma gli stessi salvatori.Così, dopo mesi di peana buonisti di chi ci implorava di «restare umani», dopo pletore di personaggi pop, dal rapper Gemitaiz a chef Rubio, tutti indignati contro Salvini, i benefattori delle Ong e gli opinion leader della sinistra non hanno nulla da dire su Malta, nulla da dire su Macron. L'uomo che doveva salvare l'Unione europea, a picco nei sondaggi, predica bene e razzola male: ci fa chiamare «vomitevoli» dal portavoce del suo partito, ci ricorda che i nostri sono i porti sicuri più vicini alla Libia, ma poi serra i suoi attracchi e di fatto lascia che associazioni private nate all'ombra della Tour Eiffel facciano i loro comodi nel Mar Mediterraneo, scaricando sulle nostre spalle il peso di un'emergenza umanitaria che peraltro è stata innescata da Parigi e dalle sue geniali campagne belliche in Nordafrica.Oggi abbiamo scoperto che un'imbarcazione con a bordo i migranti può restare ferma in acque internazionali per diversi giorni, se bisogna impedirne il sequestro. Oggi il maltempo e le condizioni di salute delle persone a bordo non preoccupano nessuno, anche se ci sono donne incinte e ustionati. Oggi la priorità non è far sbarcare gli «scheletrini», ma restituire una bandiera alla nave dei pirati.
(Ansa)
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(IStock)
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Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
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