2025-02-14
L’ultimo inganno del Pd agli italiani: lavorate meno ma guadagnate uguale
Elly Schlein e Maurizio Landini (Ansa)
I dem spingono la legge sulla settimana corta (da 40 a 32 ore) senza indicare le coperture: servono 8 miliardi. Ennesima promessa irrealizzabile, copiata da altri e antistorica: le priorità sono formazione e innovazione.Ascoltando le proteste della Schlein e il battage messo in moto dai responsabili dem sul lavoro, quello della settimana corta ha tutta l’aria di poter diventare, dopo il flop clamoroso sul salario minimo, il nuovo refrain anti-governativo delle opposizioni. Tormentone che rischia di finire azzoppato come i precedenti cavalli di battaglia dem. La cronaca dice questo: Pd & compagni (i primi firmatari della legge sono Nicola Fratoianni, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli ed Elly Sclein) hanno proposto l’introduzione in via sperimentale della settimana corta di 32 ore a parità di retribuzione. Su base volontaria, ci mancherebbe altro. Il testo calendarizzato in Aula è tornato in commissione Lavoro alla Camera, su richiesta della maggioranza. Così la Schlein ha avuto gioco facile a riprendere quello che i sondaggi interni indicano come uno dei temi caldi sui quali pungolare la Meloni: il lavoro. «La destra», ha spiegato il segretario che sta spalleggiando la Cgil e Landini nei referendum contro il Jobs Act, «quando si tratta dei diritti di chi lavora sceglie sempre la strada del rinvio, della fuga. Stesso copione del salario minimo: non hanno avuto il coraggio di bocciare la proposta delle opposizioni sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e dunque hanno deciso di non decidere». Peccato che le cose non siano andate proprio così. Nella relazione della commissione Bilancio sulla proposta di legge sulla settimana corta si evidenzia infatti che «anche ipotizzando un ambito di applicazione limitato al settore privato, secondo una prima valutazione sulla base dei dati rilevati dagli archivi Inps, comunicati dal ministero del Lavoro, la stima delle minori entrate contributive, al lordo degli effetti fiscali derivanti [...] appare quantificabile nell’ordine di oltre 8 miliardi di euro in ragione d’anno». Ma non solo. Perché dalla stessa relazione si capisce che «non è possibile escludere che le medesime disposizioni trovino applicazione anche con riferimento a soggetti rientranti nel perimetro delle pubbliche amministrazioni».C’è insomma, un problema abbastanza evidente di coperture. «Basterebbe leggere le carte», pungola il presidente della commissione Lavoro della Camera, Walter Rizzetto (Fdi). «Del resto», continua, «le opposizioni avevano già sbagliato i conti ed erano ricorse a due emendamenti per provare a porre rimedio. Se ti prendi l’onere di presentare una proposta devi avere chiaro in mente come coprirla, altrimenti non ha molto senso. Passando dall’aspetto finanziario a quello del merito, mi preme evidenziare che già diverse aziende stanno sperimentando la settimana corta, ma è chiaro che in alcuni ambiti, penso alla sanità e ai servizi, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione non sia attuabile. Se fossi nel Pd proverei a ragionare anche su una questione di priorità, in un momento come questo dove è urgente coprire migliaia di posti di lavoro rimasti vacanti forse sarebbe preferibile spingere le risorse economiche e politiche per promuovere formazione, produttività e innovazione tecnologica, piuttosto che impegnarsi un una battaglia ideologica sulla settimana corta». Battaglia ideologica che poi non è neanche originale visto che riprende una proposta che è stata approvata dal Consiglio dei ministri spagnolo pochi giorni fa. Il governo socialista di Pedro Sánchez ha infatti deciso di sperimentare in alcune aziende e per tre anni una riduzione della settimana lavorativa: quattro giorni su sette per un totale di 37,5 ore. E non è stata certo una passeggiata di salute. Il ministero dell’Economia, la Confindustria iberica e una parte del partito socialista non sono affatto entusiasti della nuova norma. E nel corso dell’iter parlamentare ci sarà da combattere una dura battaglia per stabilire l’entità dei fondi. Insomma, Spagna o Italia il problema delle risorse resta centrale. Certo, non si può non notare, anche su questo tema, l’ennesimo paradosso della sinistra. Che in Parlamento annuncia battaglie di principio e nella realtà quando il governo, parliamo del pubblico impiego e del nuovo contratto degli statali, apre a una diversa modulazione della settimana lavorativa, più corta ma a parità di orario (si lavora fino al giovedì, ma sempre per le 40 complessive), alza le barricate con la Cgil.Il sindacato di Landini non si oppone su quest’aspetto specifico, ma pretende che nel rinnovo sia previsto un aumento dei salari maggiore del 6% concesso dall’Aran. E così blocca tutto.Peccato che nelle tornate precedenti avesse firmato rinnovi decisamente meno allettanti e che non prevedevano svolte organizzative come la possibilità di lavorare fino al giovedì. Ma poco importa, per Schlein, Landini e Fratoianni se si tratta di «sparare» contro la Meloni vale tutto, anche ingannare gli italiani.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)