2023-03-20
Landini torna al rosso antico
Maurizio Landini (Getty Images)
Dura poco l’illusione di un confronto con Giorgia Meloni: rieletto segretario della Cgil ha subito dato battaglia sulla riforma fiscale. Ma è proprio il sindacato politicizzato che ha prodotto le buste paga più sottili d’Europa. Siamo tornati al rosso antico. Per 48 ore ci eravamo illusi che la Cgil avesse archiviato il passato per occuparsi finalmente del futuro. Ma la speranza è durata lo spazio di un paio di giorni, giusto il tempo di rendersi conto che il principale sindacato è rimasto legato ai vecchi riti, ovvero alla logica dello scontro invece che del confronto. Quando Maurizio Landini, un trascorso da metalmeccanico arrabbiato, aveva invitato Giorgia Meloni al diciannovesimo congresso dell’organizzazione, riservandole un trattamento rispettoso, ci era parso che il leader duro e puro avesse mandato in pensione la stagione della conflittualità, per lasciare spazio a un sindacalismo pragmatico, deciso a ragionare con buon senso piuttosto che intestarsi per forza il dissenso. Invece, messa da parte la partecipazione del presidente del Consiglio all’assemblea di Rimini, una presenza certamente non ordinaria, Landini ha preferito rifugiarsi nei vecchi schemi, ritornando a un antagonismo inutile che confina la Cgil ai margini del dibattito politico.Già, perché la scontata rielezione del segretario, con l’ancor più scontata litania di doglianze, magari ricompatterà il fronte dei compagni, riassorbendo anche la mini frattura con la minoranza che ha scelto di voltare le spalle al premier. Però, non solo non fa fare alla confederazione sindacale alcun passo avanti, ma probabilmente la costringe a parecchi passi indietro. Già. Che senso ha schierare l’organizzazione contro la riforma fiscale? Forse dichiararsi contro la riduzione delle aliquote e il ridisegno delle imposte sui lavoratori e sul reddito d’impresa fa guadagnare consensi fra operai e impiegati, convincendoli che questa è una riforma che aiuta i ricchi? Non ci pare, soprattutto se si pensa che negli ultimi trent’anni il sindacato non si è mai preoccupato di difendere i salari. Sappiamo che l’argomento non piace alla sinistra, ma quando Giorgia Meloni ricorda che gli stipendi non aumentano da trent’anni, una ventina dei quali governati dalla sinistra, mette il dito nella piaga. Il sindacato può strillare quanto vuole, ma che l’Italia abbia gli stipendi più bassi del continente è un dato incontrovertibile, la cui responsabilità non può essere attribuita esclusivamente ai governi che si sono succeduti. La politica ha i suoi torti, ma sono da spartire con il sindacato. Se dopo oltre cinquant’anni di scioperi e rivendicazioni, la realtà sono le buste paga più sottili d’Europa, forse serve un’autocritica. Avere il primato delle ore di astensione dal lavoro e il maggior numero di scioperi generali senza aver ottenuto alcun significativo successo sulle retribuzioni, dovrebbe indurre i leader confederali, in particolare quello della Cgil, a una riflessione. Com’è possibile che il sacrificio di operai e impiegati, che hanno rinunciato a una parte del loro salario, non sia servito a migliorarne le condizioni? Eppure, invece di interrogarsi su questo, la Cgil insiste sulla strada del conflitto. Ieri, infatti, Landini è tornato a brandire l’arma dello sciopero, sostenendo che la riforma fiscale toglierà risorse alla sanità. Ma un sindacato che ha assistito impassibile ai tagli al servizio sanitario nazionale operati dal governo Monti prima e poi in rapida successione da Letta e Renzi, può svegliarsi ora, dopo le drammatiche inefficienze emerse nel periodo di pandemia, risultando credibile nella sua solitaria protesta? Ovvio che no. Per anni, quando governava la sinistra, Landini e compagni non hanno fiatato, salvo svegliarsi ora. Ma soprattutto, che senso ha l’ennesimo sciopero quando tutti quelli proclamati negli ultimi anni non sono serviti a nulla? Forse le manifestazioni del passato hanno fermato il jobs act o la riforma della scuola? No, dopo un giorno passato con le braccia incrociate, tutto è proseguito come prima, senza che i governi cambiassero di una virgola i loro piani. Ma senza neppure che il sindacato reagisse in altro modo. E allora, non è forse il caso di mettere da parte il rosso antico e di cominciare a ragionare di cose concrete e meno ideologiche? Un giorno di sciopero non fermerà la riforma del fisco voluta dal governo Meloni, né farà tornare gli investimenti nella sanità. Al massimo ridurrà di una giornata il salario degli iscritti alla Cgil. Dunque, caro Landini, smettiamo di fare scelte che danneggiano i lavoratori e contribuiscono solo alle carriere dei sindacalisti. E cominciamo a parlare di cose serie. Che non sono né i peluche schierati al congresso contro il premier né i pugni chiusi agitati da una minoranza. Lo ha fatto capire bene Luciana Castellina, storica dirigente della sinistra: quelle sono solo stupidaggini. Come certi scioperi.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.