2019-01-27
Morto l’Alfredino spagnolo. All’Italia ha ricordato
la nascita della tv del dolore
Dopo due settimane di tentativi, la Guarda civil ha recuperato il corpicino di Julen Rosellò, precipitato in un pozzo dell'Andalusia. All'epoca della tragedia di Vermicino, l'Italia si paralizzò davanti allo schermo per seguire la vicenda: nasceva la tv del dolore. Il tweet della Guardia Civil spagnola è arrivato, inappellabile, alle 2.43 di ieri: «Desgraciadamente, a pesar de tanto esfuerzo de tanta gente, no fue posible #DepJulen, descansa en paz». In Italiano: «Disgraziatamente, nonostante gli sforzi di tante persone, non è stato possibile. #RipJulen, riposa in pace». Julen Rosellò, 2 anni, l'Alfredino Rampi spagnolo, caduto in pozzo il 13 gennaio alla periferia di Malaga, alla fine è stato trovato. Morto. Epilogo sconvolgente, ma non inaspettato, dal momento che solo un miracolo avrebbe potuto salvarlo dopo 13 giorni sepolto nel sottosuolo, al freddo, senza cibo né acqua.Ci sarà tempo per capire cosa sia successo, l'autopsia accerterà le cause del decesso, ci si interrogherà a lungo sul come e perché quel bimbo sia finito in quella fossa profonda 110 metri, precipitando - così ha dichiarato un delegato del governo andaluso - fino a 71 metri in caduta libera. «Sentivo il pianto di mio figlio», aveva confessato il padre José , colto da malore al momento della notizia del ritrovamento. La tragedia nella tragedia è che l'incidente è avvenuto quando tutti i familiari (padre, madre, una cugina, il fidanzato e la loro figlia) erano riuniti per un picnic, a pochi metri dalla buca in cui il bambino, per un attimo di distrazione generale, è caduto. Eventi di questo genere, in cui la vittima è una creatura che si è appena affacciata alla vita, hanno il potere - almeno per un attimo - di far accantonare polemiche e divisioni. Saltano gli steccati ideologici, anagrafici, sessuali, religiosi, ci si ritrova improvvisamente uniti nel coltivare la più fragile e insensata delle illusioni. Così testimoniano i tanti messaggi affissi nella bacheca elettronica planetaria dei social network, dove sono fioccate le più disparate espressioni di cordoglio e solidarietà, avvicinando la casa reale spagnola a politici, calciatori, cantanti, attori, scrittori, semplici cittadini di differenti nazionalità che hanno voluto esprimere il loro doloroso spaesamento. Con noi italiani in prima fila. Perché l'annichilimento di questo incubo collettivo lo abbiamo già sperimentato nel giugno 1981, quando si consumò la tragedia di Alfredo Rampi - per tutti: Alfredino, 6 anni, finito in un pozzo artesiano lungo la via di Vermicino, che collega Roma sud a Frascati nord - il cui cadavere sarà poi recuperato solo 28 giorni dopo. Un calvario seguito in diretta, a reti unificate, dalla tv di Stato, per 18 ore consecutive. Un incredibile circo Barnum, una folla di migliaia di persone, forse 10.000, rifocillate da venditori ambulanti di porchetta e bevande, con protagonisti i più disparati, in primis il capo dello Stato Sandro Pertini, che si precipitò sul posto incasinando - per il codazzo di persone che inevitabilmente lo seguivano - le già caotiche operazioni di soccorso (basti pensare che dopo questa straziante vicenda, si pensò di dar vita alla Protezione civile come unica istituzione deputata a coordinare gli interventi in caso di emergenze di questo e altro tipo).Ha ricordato Emilio Fede, all'epoca direttore del Tg1: «M'informano che Alfredino è ancora vivo e i vigili del fuoco stanno tentando di riportarlo su. Decido di spedire sul posto Piero Badaloni e una telecamera mobile. A un certo punto mi telefona Antonio Maccanico, segretario generale del Quirinale, e mi avvisa che Pertini sta per mettersi in auto alla volta di Vermicino, volendo essere lì nel momento in cui il piccolo sarebbe stato riportato in superficie. E invece...». Così, mentre si scava un pozzo parallelo all'imbuto in cui era scivolato, rimanendo incastrato, il piccolo Alfredo, intorno a quel buco nero si avvicendavano tutti coloro che, in buonissima fede, volevano dare una mano, accalcandosi intorno alla madre Francesca Bizzarri. Madre che, rimanendo silenziosa e quasi assente rispetto al formicaio che le si agitava intorno, non corrispondendo al cliché della mater dolorosa, disperata e urlante come nella più scontata tradizione italica, fu addirittura sospettata di essere in qualche modo coinvolta nell'incidente che le stava portando via il figlio.In milioni rimanemmo incollati allo schermo. Ipnotizzati da quella catastrofe che la tv, per la prima volta per un fatto di cronaca (c'era già stata una no stop, comunque non così lunga, per tutt'altro accadimento: lo sbarco sulla Luna, nel luglio 1969), ci scodellava senza soluzione di continuità. Nel pomeriggio del 12 giugno, fummo in media 12 milioni. In serata diventammo 28 milioni. La Rai cercò di interrompere quel flusso di immagini, che illustravano - in assenza di novità - solo l'attesa e la speranza, e che abdicavano al voyeurismo. Qualcuno, a viale Mazzini, pensò bene di mandare in onda una Tribuna politica con il segretario del Psdi Pietro Longo. I centralini impazzirono, la gente diede vita a un linciaggio telefonico: niente e nessuno doveva allontanare i riflettori da Vermicino. Un terrificante reality show ante litteram, con tanto di registrazioni audio dei rantoli della creatura che invocava la mamma, di cui in seguito il Tribunale civile di Roma proibirà la divulgazione. Nel 2001, nel ventennale del fatto luttuoso, l'allora direttrice delle Teche Rai Barbara Scaramucci emise un ordine di servizio in cui si vietava ai giornalisti l'utilizzo di tali spezzoni. Alcuni dei quali saranno però ugualmente trasmessi nel 2011 dal programma La Storia siamo noi. Cosa aggiungevano quei singhiozzi alla ricostruzione del fatto? Nulla. Ma, come si sa, è sottile il confine tra il diritto all'informazione e la voluttà del sciacallaggio. Nota a margine: il 10 giugno, cioè il giorno prima di quella caduta fatale di Alfredo Rampi, a San Benedetto del Tronto era stato sequestrato Roberto Peci, fratello del brigatista rosso Patrizio, uno dei primi «pentiti» del terrorismo nel nostro Paese. La notizia non ebbe alcun rilievo, in quei primi giorni. Le Br, come vendetta trasversale, lo processarono in nome del popolo e il 3 agosto lo mitragliarono davanti a un muro, con tanto di ripresa video. Ma questa è un'altra storia.