2024-01-27
L’Aja contro Israele: sospetto genocidio. «Appoggi dall’Onu alla strage di Hamas»
Bibi Netanyahu (Getty Images)
La Corte internazionale non archivia il processo. Dal personale delle Nazioni Unite informazioni ai tagliagole per il 7 ottobre. Hamas dice che Israele deve adeguarsi alle decisioni dell’Onu e della Corte de L’Aja. In molti non avrebbero mai pensato di vivere a sufficienza per leggere una nota del genere. Per vedere il Sudafrica bussare (lo scorso dicembre) alla porta della Corte internazionale e chiedere di mettere sotto processo Israele per genocidio. Infine, per vedere la medesima Corte che, pur non prendendo una decisione, si dichiara competente e chiede a Gerusalemme di intervenire e prevenire «qualunque atto che possa trasformarsi in genocidio a Gaza». Lette le dieci pagine dei giudici de L’Aja si comprendono due cose. La prima dal punto dal vista del contenuto. Uno dei Paesi più terzomondisti del momento, il Sudafrica, ottiene un grande riconoscimento internazionale, nonostante le osservazioni nel merito (da parte della Corte) siano condivisibili. È ovvio che Israele debba fare il possibile per salvare il maggior numero di vite civili. La seconda cosa che si comprende però è che, per la prima volta nella storia, il nome di Israele viene abbinato a quello di genocidio, ma al rovescio. Ai giudici questo aspetto non può certo sfuggire. Non può sfuggire che significa buttare benzina sul fuoco di una situazione destabilizzante sia in Medioriente che in Europa e in generale in Occidente. Lo scorso 7 ottobre sono stati trucidati migliaia di civili e poliziotti da parte di Hamas. Circa 5.000 miliziani e jihadisti hanno superato il confine di Gaza e dopo aver ucciso hanno sequestrato oltre 200 ostaggi. Le donne sono state scientificamente stuprate. Molti rappresentanti delle Nazioni Unite hanno faticato a dire una parola di sostegno a quelle vittime. Da subito è cominciata una campagna di comunicazione pro palestinesi con l’intento di coprire i crimini di Hamas. In molti Paesi arabi in modo aperto. Da noi e in Europa mettendo dopo qualunque frase di solidarietà un terribile «ma». Del tipo, Israele è stata attaccata, ma i palestinesi hanno diritto di difendersi perché è stata rubata loro la terra. Non siamo qui ad aprire fatti storici, per giunta non veritieri, ma a riportare questo ragionamento a oggi. La decisione della Corte de L’Aja serve a dare a numerosi oppositori degli ebrei la scusa per apporre a ogni frase tanti «ma». Non è un caso che ieri l’altra notizia di estrema gravità è passata quasi sotto silenzio. L’esercito israeliano, Idf, ha girato ai vertici dell’Onu e della controllata Unrwa una serie di informazioni, video, telefonate che dimostrano la diretta partecipazione di dipendenti dell’Onu ai massacri del 7 ottobre. Per diretta si intende una collaborazione attiva finalizzata a facilitare gli spostamenti e il reperimento delle informazioni necessarie per il blitz. Il dossier israeliano deve essere stato nutrito, visto che Unrwa ha sospeso una serie di persone dagli incarichi. Persino un terzomondista come il numero uno dell’Onu, Antonio Guterres, è stato costretto a dirsi inorridito dalla notizia. Gli Usa intanto hanno bloccato tutti i finanziamenti al ramo Onu che si occupa dei profughi palestinesi. Vedremo a che cosa porterà l’inchiesta interna dell’Onu, quello che è certo è che l’Organizzazione andrebbe da tempo riformata. Si tratta di un modello di interazione tra Stati così vecchio che ormai lascia solo spazio a scandali o devianze ideologiche. Lo vediamo tutti i giorni nella messa a terra di strane mediazioni nei conflitti ma soprattutto sui temi della sanità. Nessuna trasparenza e tanta ideologia. Analizzato, il lato di opposizione a Israele e la benzina che andrà ad appiccare i falò dell’antisionismo e dell’antisemitismo vale la pena riportare le frasi del premier Benjamin Natanyahu. Il politico di Gerusalemme si è limitato a dire che si tratta di legittima difesa. Vero, così come è vero che la Corte internazionale non si è spinta a chiedere il cessate il fuoco. Bibi, così come è soprannominato il premier israeliano, sta però rischiando di fare estremi danni alla causa di Israele. Nessuno sta chiedendo ad Hamas di liberare gli ostaggi, ma Netanyahu dal canto suo non ha chiarito quale è il vero obiettivo di questa guerra. Eliminare Hamas è la formula di rito. Ma anche Bibi sa bene che eradicare Hamas dalla Striscia senza creare un vuoto politico è impossibile. Chi governare poi Gaza? Ci sarà il cosiddetto regime changing? In questo momento il governo di Israele non lo spiega. L’esercito di fermerà solo quando sarà ucciso o catturato l’uomo di punta di Hamas a Gaza? Forse sì. Ma soprattutto dopo l’assist della Corte ai terzomondisti e agli antisionisti sarebbe il caso di essere più chiari politicamente. Israele non può permettersi di tenere mobilitati 500.000 uomini per troppi mesi e di subire troppi danni economici. Italia e Gran Bretagna hanno bloccato l’export militare verso Tel Aviv. Se si aggiungessero altri Paesi potrebbero cominciare a sorgere problemi. A quel punto resterebbero solo gli Usa a finanziare e rifornire Israele. Il rischio però di passare dal sostegno al commissariamento sarebbe elevato e ciò destabilizzerebbe ancor di può l’intero Medioriente.
Papa Leone XIV (Getty Images)
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