2024-06-27
L’affronto alla cultura lo fa chi si scusa con Saviano e sodali
La riverenza di Innocenzo Cipolletta è l’ultimo capitolo della pantomima sulla Fiera di Francoforte. Che è peggio di qualsiasi gaffe.Si è molto infierito nei giorni scorsi sul ministro della Cultura per una gaffe in cui è maldestramente inciampato, e contemporaneamente ci si è molto indignati per le discutibili iniziative diciamo culturali di alcuni giovani militanti di Fratelli d’Italia. Tutto legittimo e forse persino giusto. E di sicuro non mancheranno in futuro analoghe occasioni per strepitare e lagnarsi delle condizioni del malandato genio italico. Epperò, a voler essere onesti fino in fondo, una volta terminati i dovuti sberleffi si dovrebbe anche provare a riflettere seriamente sullo stato della cultura italiana, e si dovrebbe riconoscere che non sono (o almeno non soltanto e non soprattutto) gli strafalcioni e le cretinate ad affossarla e a renderne sconfortante la condizione. Ben più umiliante per la nostra intelligenza e per la nostra immagine nel mondo è la danza macabra che si è compiuta attorno alla Fiera del libro di Francoforte. Uno spettacolo che ci consegna in tutta la sua drammatica concretezza il corpo putrefatto della cultura nazionale, e ci costringe a inspirarne l’odore. L’intera vicenda è una patetica messa in scena che rivela quanta piaggeria, sudditanza, omologazione e arroganza trasudino dal mondo intellettuale. Questo sì che ci dovrebbe spaventare: gli errori possono capitare a tutti, certe tristi esondazioni riguardano pur sempre gruppi minoritari. Ma la servitù volontaria a cui si sottopongono i cosiddetti creativi italici e tutto l’universo che ruota attorno loro, beh, questa servitù è un difetto generalizzato, è un morbo infestante e mortifero, da cui non ci si riprende perché prende anche le radici. Veloce riassunto delle puntate precedenti. Qualche settimana fa è stato presentato il programma degli eventi organizzati dall’Italia alla prestigiosa Buchmesse di Francoforte. È saltato fuori - delitto imperdonabile - che né il commissario del governo, Mauro Mazza, né altri rappresentanti delle istituzioni avevano invitato Roberto Saviano. Il quale Saviano, in ogni caso, sarebbe stato comunque presente perché invitato dagli editori tedeschi. Si è scatenato l’inferno: articoli di giornale, proteste, psicodrammi sul ritorno della censura e del fascismo. Alcuni scrittori celebri tra cui Sandro Veronesi e Francesco Piccolo decidono di boicottare la delegazione italiana, altri come Antonio Scurati ci tengono a far sapere che loro si erano già dissociati da tempo. Considerato il putiferio, il commissario Mazza - che inizialmente aveva almeno in parte rivendicato l’esclusione di Saviano - addiviene a più miti consigli e decide di invitarlo pubblicamente. Saviano, diva permalosa, rifiuta ottenendo un gustoso risultato: anche se nessuno lo aveva censurato e anche se la sua partecipazione alla Buchmesse non era mai stata messa in dubbio, ha potuto recitare la parte dell’oppresso, dello scrittore contro il potere. Sembrava che fosse finita lì, e d’altra parte l’accaduto era già abbastanza patetico e insultante. Ma c’è stato a stretto giro un secondo round. Una quarantina di autori hanno inviato alle istituzioni e all’Associazione italiana editori (e ovviamente ai giornali, per ricavarne pubblicità) una lettera aperta in cui lamentavano una serie di stravaganti disagi e, più in generale, si lagnavano per il brutto rapporto fra politica e cultura stabilito dal governo destrorso. Tradotto: prima la manfrina sul «vado o non vado a Francoforte, come mi si nota di più?». Poi la letterina piagnucolante, perché non basta andare alla fiera del libro, ma bisogna anche istruire il governo su come deve comportarsi, casomai questo decidesse di prendersi le libertà di cui avrebbe diritto a godere (ovvero casomai decidesse di invitare chi gli pare senza rendere conto a nessuno e di organizzare gli eventi che vuole, come giusto che sia). Per farla breve, sconforto si è unito a sconforto, e il vittimismo dei cioccolatissimi autori sinistrorsi italiani ha raggiunto il parossismo. Ma, incredibilmente, ieri abbiamo assistito al terzo capitolo della saga. Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Associazione italiana editori, ha concesso una intervista a Repubblica in cui chiede «scusa agli scrittori per quanto è successo. Come Associazione italiana editori abbiamo agito in buona fede, non c’era dolo nell’esclusione di Saviano. Ma con il senno del poi mi scuso». Cipolletta ricostruisce l’accaduto: «Come ho già detto», spiega, «nessuno voleva tenere fuori Roberto Saviano. Per facilitare le cose abbiamo pensato un metodo trasparente di selezione degli autori da invitare, chiedendo agli editori di farci delle proposte. Ci è arrivata una lista di 300 nomi dalla quale ne abbiamo selezionati 100 cercando una rappresentanza che fosse il più completa possibile. Ci siamo affidati agli editori, come avevamo fatto altre volte. È andata così anche per il Festival del Libro di Parigi, anche lì Saviano non c’era ma nessuno ha protestato. Abbiamo mantenuto la stessa tipologia di intervento, dopodiché dobbiamo assumerci le nostre responsabilità». Detto questo, Cipolletta si cosparge il capo di cenere e fa sapere che a Francoforte gli scrittori avranno a disposizione anche uno «spazio specifico dove potranno discutere di tutto, anche delle ingerenze della politica nella cultura o del problema della censura». Dunque le cose stanno così. Gli editori stabiliscono chi debba andare a Francoforte in base a esigenze commerciali. L’Aie si limita ad approvare, il governo ci mette i soldi e la faccia ma non decide un tubo. Tuttavia gli scrittori pretendono di essere invitati anche se i loro editori non hanno richiesto la presenza, accusano il governo che li ospita di essere fascista e intollerante, e si recano belli beati alla fiera tedesca dove faranno le vittime parlando di una censura che non hanno mai subito. E il capo dell’Associazione editori per questo chiede pubblicamente scusa. Ma non agli italiani che devono assistere a questa pantomima raccapricciante, bensì agli scrittorini a cui ha mandato la mosca al naso. Ecco, questa è la cultura italiana. Un circolino di presuntuosi che si atteggiano a eroi del libero pensiero ma valgono poco come narratori, meno come intellettuali, niente come eroi. Questo circolino è riverito e temuto da un apparato di impiegatucci della cultura che temono anche la propria ombra e sono entusiasti praticanti del conformismo e della viltà. Ridiamo pure delle gaffe, come no. Ma dovremmo disperarci per tutto il resto. Perché la cultura è in mano a gente che si fa calpestare come uno zerbino e domanda pure scusa per i residui di fango.
Xi Jinping e Donald Trump (Ansa)