La von der Leyen ottiene il via libera. Ma i pentastellati si spaccano sul voto

L'Europarlamento ha dato il via libera ieri alla nuova Commissione europea, che entrerà formalmente in carica il primo dicembre. «Sono molto lieta, mi sento onorata da questa maggioranza travolgente», ha dichiarato la neo presidente Ursula von der Leyen, «non vedo l'ora di iniziare a lavorare. Il fatto che oggi siamo in grado di avere un'ampia maggioranza stabile lo considero un voto a favore di un'agenda di cambiamento». Nel dettaglio, i voti favorevoli sono stati 461, 157 i contrari, mentre 89 gli astenuti: a luglio, la presidente era stata invece eletta con una maggioranza di appena 383 voti. Il blocco partitico che ha principalmente sostenuto la squadra targata von der Leyen è risultato costituito da popolari, socialisti e liberali, laddove i verdi hanno optato per l'astensione.
Le prime considerazioni da fare in riferimento alla conferma di ieri riguardano direttamente il nostro Paese. Nel suo discorso antecedente al voto, la von der Leyen ha innanzitutto ribadito il ruolo di primo piano che rivestirà il falco Valdis Dombrovskis, come vicepresidente esecutivo della nuova commissione. «L'unione bancaria deve essere completata per rafforzare il nostro sistema finanziario e renderlo più resiliente, ho affidato questo compito a Valdis Dombrovskis la persona più giusta per questo compito», ha non a caso dichiarato. È senz'altro vero che la presidentessa abbia anche detto di nutrire fiducia in Paolo Gentiloni. Quello che tuttavia sembra emergere è una certa preponderanza del commissario lettone. Un fattore che - visto lo storico rigorismo di Dombrovskis - non si preannuncia come granché positivo per l'Italia.
Ma non è tutto. Perché il voto di ieri rischia inoltre di determinare delle turbolenze dalle parti di Palazzo Chigi. Per quanto la maggioranza degli eurodeputati grillini abbia votato a favore della Commissione, due (Ignazio Corrao e Piernicola Pedicini) si sono espressi in modo contrario, mentre altri due (Rosa D'Amato ed Eleonora Evi) hanno scelto l'astensione. La spaccatura è significativa, perché potrebbe costituire un'ulteriore crepa in seno all'esecutivo giallorosso. Non dimentichiamo d'altronde che il comune sostegno all'elezione della von der Leyen lo scorso luglio abbia rappresentato la prima occasione di convergenza intercorsa tra Pd e Movimento 5 stelle. Non a caso, Romano Prodi parlò in estate di «coalizione Ursula». Rompere sulla Commissione europea rischia quindi di incrementare la tensione tra dem e grillini. Senza poi considerare le già consistenti fibrillazioni in seno allo stesso Movimento, dove il forte avvicinamento perseguito dal governo Conte bis nei confronti della Germania continua a non essere troppo ben visto. Sotto questo aspetto, quanto dichiarato ieri dallo stesso Corrao su Facebook risulta eloquente: «In buona sostanza se 5 anni fa la commissione Juncker non andava bene questa si presenta ai nastri di partenza come ancora peggio. Con l'asse francotedesco a dominare la scena senza alcun dubbio […] Siamo un movimento anti establishment che si sta comportando come la sbiadita copia del Pd che invece sistema lo è e dal sistema riceve innumerevoli vantaggi». Parole nette, che non possono fare a meno di adombrare una certa assonanza con le tesi leghiste.
Più in generale, poi, è bene rilevare che la nuova Commissione non venga in definitiva a poggiarsi su basi troppo solide. Nonostante i considerevoli numeri parlamentari ottenuti, la squadra della von der Leyen ha incontrato non pochi scogli: scogli che hanno dilatato significativamente i tempi del processo di conferma. Nei mesi scorsi, ben due commissari in pectore, la socialista rumena Rovana Plumb e il popolare ungherese Laszlo Trocsanyi, erano stati bloccati con l'accusa di conflitto di interessi. Lo stesso rimpiazzo di Trocsanyi si era rivelato particolarmente problematico: il sostituto, Oliver Varhelyi, era stato infatti inizialmente ostacolato da socialisti, verdi, liberali e sinistra, per la sua vicinanza politica al premier ungherese Viktor Orbàn. E solo pochi giorni fa la sua candidatura è stata alla fine approvata. Un ulteriore problema ha caratterizzato poi la francese Sylvie Goulard, bocciata con l'accusa di aver usato indebitamente fondi europei per pagare un suo assistente. Il problema francese rischia tuttavia di tornare a galla. Si disse infatti all'epoca che la Goulard fosse stata fermata anche a causa del portafoglio troppo sostanzioso concesso a Parigi (comprendente Industria, Mercato interno e Difesa). Un portafoglio rimasto immutato con il nuovo commissario francese, Thierry Breton. Un portafoglio che potrebbe continuare quindi a suscitare malumori dalle parti dell'Europarlamento. In tutto questo, non dobbiamo poi dimenticare che la stessa von der Leyen stia affrontando un'inchiesta da parte del parlamento tedesco per comportamenti opachi nell'assunzione di consulenti esterni, quando era ministro della Difesa in Germania tra il 2013 e il 2019.






