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La sede di Radio Blackout a Torino (Ansa)
Radio Blackout paga meno della metà del prezzo (6.965 euro). E fa da regia agli scontri.
Se c’è una cosa a cui il Partito democratico e la sinistra istituzionale si sono dimostrati allergici in questi anni è il dissenso. Tra richieste di censura, commissioni di sorveglianza e demonizzazioni feroci nei riguardi di presunti razzisti, no vax e putiniani assortiti, hanno condotto una battaglia senza quartiere contro la libertà di espressione. Curiosamente, tuttavia, in qualche occasione i sinceri democratici si riscoprono tolleranti e inclusivi, e si ergono addirittura a baluardo delle posizioni dissenzienti. Emblematico in tal senso è il caso della torinese Radio Blackout, emittente dell’antagonismo piemontese, che si è distinta negli ultimi tempi per il grande sostegno offerto ad Askatasuna, con cui condivide per lo meno la cultura politica e forse pure qualche militante. Piccolo esempio. Una delle voci di Radio Blackout, Cibele, ha concesso il 3 dicembre una intervista a Radio Onda d’urto per commentare il noto attacco alla sede della Stampa. Ha sostenuto che l’azione fosse «formalmente non violenta» e che «si è parlato molto impropriamente di un assalto squadrista». Sono opinioni personali e persino legittime pure queste, per carità, ma fanno capire quale sia l’ambiente e quale l’ideologia.
In questi giorni l’emittente ha seguito con estrema attenzione le vicende del centro sociale, mobilitandosi sin dai momenti appena successivi allo sgombero. «Nella giornata del 18 dicembre abbiamo assistito a un’ingente operazione di polizia che ha portato allo sgombero del centro sociale Askatasuna», si legge sul sito della radio. «Un’operazione che riguarda l’attacco allo spazio sociale e allo stesso tempo alle lotte sociali del capoluogo piemontese e non solo». Blackout ha molto sponsorizzato anche il corteo di sabato, di cui ha dato conto con attenzione, in parte agendo come facevano le radio antagoniste degli anni Settanta, cioè dando indicazioni ai militanti su come muoversi e fornendo un puntuale resoconto degli scontri e dell’andamento del corteo.
Per carità, tutto già visto e nemmeno troppo sconvolgente. C’è però un piccolo particolare non trascurabile. La radio degli antagonisti, aperta dal 1992, si trova in via Cecchi, in un edificio pubblico di cui è responsabile la circoscrizione 7. Tutto questo grazie a una concessione che le giunte comunali di sinistra hanno sempre rinnovato. Nel 2023 Fratelli d’Italia chiese di cancellare la concessione all’emittente dei centri sociali per destinare gli spazi occupati dalla radio alla Casa del quartiere. Richiesta comprensibile: si trattava di restituire ai cittadini spazi gestiti a piacimento dalla sinistra radicale. Michela Favaro, vice del sindaco dem Stefano Lorusso, si mostrò fortemente contraria. «Questa concessione è stata costituta nel 1995 con finalità sociali e di comunicazione radiofonica, audiovisiva e informatica», disse. La Favaro fornì anche alcuni dati. Un contratto di concessione, disse, è stato firmato il 6 settembre 2016 per quattro anni (scadenza il 30 giugno 2019). È stato poi siglato un ulteriore contratto il 29 settembre 2019 a un canone di 6.965 euro all’anno (valore di mercato del canone: 14.075 euro), per ulteriori quattro anni (scadenza: 31 ottobre 2025). A quanto risulta, dunque, il contratto sarebbe pure scaduto. Ma la radio rimane al suo posto.
«Radio Blackout trasmette su una frequenza riconosciuta dal ministero ed è iscritta come testata giornalistica al tribunale», disse ancora la Favaro. «Le considerazioni per cui non è opportuno dare i locali comunali della circoscrizione 7 a canone ridotto, sono politiche. Non mi sento di sospendere questa concessione, diventerebbe una sorta di censura: non ritengo che sia una cosa che un’amministrazione possa fare. In democrazia si può anche contestare». Ma pensa, in qualche caso in democrazia si può anche contestare. Ebbe a ribadirlo pure Lorenza Patriarca, consigliere del Pd: «Il contratto può essere revocato per giusta causa, non per motivazioni politiche». Già: una concessione si può dare per motivi politici, ma non revocare. Dubitiamo infatti che il Comune avrebbe agito allo stesso modo con una radio di estrema destra.
Del resto il Pd è lo stesso partito che, almeno sul territorio torinese, ha decisamente criticato lo sgombero di Askatasuna. «Scelta fatta per superficialità o, peggio, per volontà di consegnare la città al disagio», l’hanno definita Gianna Pentenero e Nadia Conticelli. I dem sono appena più moderati di Avs, i cui consiglieri hanno partecipato ai cortei di protesta degli antagonisti, compreso quello di sabato finito con scontri, botte e feriti.
«L’ambiguità politica del centrosinistra con gli antagonisti di Askatasuna ha radici profonde nella concessione in affitto a canone politico dei locali dove ha sede la radio che gli autonomi torinesi condividono con gli anarchici, Radio Blackout», dice l’assessore regionale di Fdi Maurizio Marrone, che dopo lo sgombero è stato destinatario di minacce e intimidazioni da parte degli antagonisti. «Anche qui dietro alle frottole sulla libertà di dissenso si nasconde un’emittente che dà istruzioni pratiche durante i cortei su come attaccare o aggirare le forze dell’ordine, agli immigrati clandestini e spacciatori come evitare retate e controlli, ai tossicodipendenti come continuare a drogarsi in sicurezza. Uno schifo che ora deve essere messo fuori dal centro civico frequentato anche da famiglie e bambini».
A quanto pare, a Torino si gioca alla rivoluzione negli spazi concessi dal Comune, che ha interrotto il patto con Askatasuna malvolentieri (il sindaco Lorusso ha spiegato che lo sgombero non è dipeso da lui) e che continua a dare agli antagonisti supporto per le loro attività di «controinformazione». Con tutta evidenza, ai dem piace il dissenso quando porta qualche frutto politico. Tanto se esplode il caos in strada a rimetterci sono sempre altri.
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La sala del Teatro Due di Parma
- Nonostante la condanna del regista Le Moli, la Regione conferma l’accreditamento e il sostegno al Teatro Due. Almeno otto le vittime, ignorate anche dal Centro per le donne. Nella Fondazione un ex assessore dem.
- Indagato per maltrattamenti e lesioni alla moglie Missiroli, primo cittadino di Cervia. La replica: «Accuse infamanti». Ma il centrodestra chiede le dimissioni.
Lo speciale contiene due articoli.
A Parma c’è un teatro storico, il Teatro Due, che è anche un ente di formazione accreditato. E c’è un regista, Walter Le Moli, che era anche formatore per gli aspiranti attori. Lì, ha stabilito una sentenza, dal 1998 si sarebbero consumate delle molestie «a contenuto sessuale». Fino al luglio 2021, quando il consigliere regionale di Parità rompe il muro di omertà e fa scoppiare il caso. La denuncia era partita da un’associazione, Amleta, che aveva scritto anche alla stessa fondazione Teatro Due (guidata dal presidente Oberdan Forlenza e dalla direttrice Paola Donati, candidata nella lista Civici per De Pascale alle elezioni regionali) e a vari assessori regionali, tra i quali Elly Schlein, all’epoca vicepresidente della Regione rossa guidata da Stefano Bonaccini.
A fine luglio gli atti vengono trasmessi alle autorità. Il regista viene allontanato dopo la segnalazione. Il Tribunale del lavoro, nel 2024, riconosce i fatti denunciati e condanna la Fondazione Teatro Due, imponendo un «piano di rimozione delle discriminazioni basate sul sesso consistite in molestie e violenze sessuali». Ben otto attrici testimoniano in udienza. Le versioni convergono. Si trattava di «discriminazione collettiva». Tra le dinamiche «risapute», scrive il giudice del lavoro, «vi era l’abitudine del regista di arrivare con alcune ore di ritardo rispetto all’orario di inizio del corso, costringendo i partecipanti a restare fino a tarda serata, per poi invitare alcune attrici a cena fuori». Nel ristorante il regista «era solito», si legge in sentenza, «avere atteggiamenti sessualmente espliciti nei confronti delle commensali, spesso anche contro la loro volontà». Il giudice fa leva sullo «squilibrio di potere» nella relazione con le corsiste. E in alcuni casi sarebbe riuscito a convincerle «a seguirlo presso la sua abitazione, con la scusa di voler provare monologhi e scene teatrali, per poi costringerle ad avere rapporti sessuali». Infine, il giudice sentenzia: «Si ritiene che nell’ambito del corso di formazione si siano verificate discriminazioni continue e sistematiche nei confronti delle persone di sesso femminile», che la fondazione «non ha contrastato in modo adeguato e sufficiente». Tutti sapevano e nessuno era mai intervenuto. La sentenza viene confermata in appello. La Regione Emilia-Romagna, però, nello stesso perimetro temporale, continua a tenere in piedi accreditamento per la formazione e anche i finanziamenti. Nonostante due anni prima la giunta abbia stilato un regolamento per l’accesso ai contributi. E tra i criteri, questo regolamento, prevede proprio il rispetto della parità di genere.
Segue una seconda sentenza, sempre del giudice del lavoro, depositata a fine novembre, che ha risarcito con 100.000 euro due corsiste. Questa volta la condanna è per il regista e per la fondazione. Le vittime sono due studentesse che hanno frequentato un corso di alta formazione teatrale finanziato dalla Regione Emilia-Romagna. «Il regista ha agito di nascosto, fuori dai luoghi del teatro e la prima denuncia in Procura (i fatti però al momento della denuncia erano prescritti, ndr) è stata quella della Fondazione», ha sostenuto il cda della fondazione annunciando appello. Argomenti che, però, non avevano convinto il Tribunale.
In mezzo, come una crepa che si allarga, c’è anche un’ulteriore notizia: il Centro antiviolenza di Parma, secondo quanto racconta una delle attrici, non avrebbe accettato di seguirla in tribunale. «Diceva che il sistema giuridico italiano ci avrebbe massacrate. Quindi noi ci troviamo davanti alla sentenza che parla chiaro, però prima ci siamo trovati davanti persino a un’avvocata di un centro antiviolenza che non voleva portare avanti questa causa», ha spiegato la vittima a Parma Today. E la presidente del centro, Samuela Frigeri, siede anche nel consiglio generale della Fondazione Cariparma che finanzia (insieme ad altre fondazioni bancarie) da tempo il Teatro Due (anche nel 2024 ha concesso 80.000 euro di contributi). Non è un dettaglio. È un cortocircuito.
La vicenda finisce al centro di un’interrogazione del consigliere regionale di Fratelli d’Italia Priamo Bocchi. La sua domanda è lineare: dopo la condanna, che cosa ha fatto la Regione? E soprattutto: intende revocare l’accreditamento della Fondazione Teatro Due come ente di formazione e sollecitare le dimissioni dei vertici (nel cda siede un ex assessore del Pd, Simona Caselli)? Bocchi aggiunge i numeri del bilancio 2024 per rendere il quadro impossibile da sminuire: la fondazione avrebbe ricevuto fondi pubblici per 3,1 milioni di euro, «a fronte di 1,77 milioni di costo del personale e poco più di 563.000 euro di ricavi». C’è poi l’elenco dei contributi: ministero della Cultura (per oltre 1 milione di euro), Regione Emilia-Romagna (per 480.000), Comune di Parma (per 360.000). E c’è anche il profilo istituzionale del regista, ricostruito da Bocchi: «È stato membro del Cda di Reggio Parma Festival dal 2015 al 2021 e confermato nel 2021, fino alle dimissioni presentate il 18 febbraio 2022». L’assessore regionale dem alla Cultura, Gessica Allegni, ha risposto che «verranno effettuate delle verifiche». Parole giudicate da Bocchi «insoddisfacenti». Perché quando in una sentenza è scritto che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, il tema non è più solo il regista. Non è più solo il teatro. Ma è tutto ciò che ruota attorno. Gli accrediti, i finanziamenti, i consigli di amministrazione, le fondazioni bancarie. E i luoghi nati per dire alle donne «denunciate», che poi, quando si passa dal manifesto alla carta bollata, rischiano di diventare l’ennesima porta chiusa.
Violenze, sindaco piddino nei guai
La cronaca ha giocato ai democratici un brutto scherzo, di quelli che - quando ti dichiari paladino assoluto della difesa delle donne - non vorresti davvero mai subire. Mattia Missiroli, sindaco di Cervia - eletto nel 2024 grazie al Pd di Elly Schlein e a tutti gli alleati del campo largo - è indagato per maltrattamenti e lesioni alla moglie dalla quale si sta separando e la donna ha presentato come prove anche foto e alcuni video. In un periodo storico come questo, a prescindere dall’esito delle indagini la domanda politica è ovvia: è politicamente opportuno secondo i sedicenti massimi esperti della parità di genere - ovvero dem, femministe e compagnia bella - che un sindaco indagato per questo tipo di reato rimanga alla guida della città?
In attesa di una risposta - che nella serata di ieri ancora non era arrivata - passiamo alla cronaca. Mattia Missiroli, architetto di professione, ha 44 anni e, già prima di diventare sindaco era noto per aver participato al reality Campioni ambientato nel mondo del calcio e in onda tra il 2004 e il 2006. Architetto di professione, si è formato politicamente in ambito Pd, è sposato dal 2009 e ha due figli, ma a quanto pare le cose, in questo periodo, con la consorte non vanno per il meglio. Lo scorso 5 dicembre la donna si è presentata in pronto soccorso a Ravenna per farsi medicare alcune lesioni a un braccio, segni non del tutto banali considerato che le sono costate sette giorni di prognosi. Quando i medici le hanno chiesto come se li fosse procurati la donna ha affermato di essere caduta a terra dopo una forte spinta. A quel punto il personale dell’ospedale ha attivato il protocollo previsto in questi casi. Così, senza aver mai formalmente denunciato il marito, ma grazie alla celerità del codice rosso, la moglie di Missiroli è stata nei giorni successivi chiamata e ricevuta più volte in questura. E sarebbe in quei colloqui che la donna avrebbe descritto altri momenti di vita domestica caratterizzati da insulti e alcuni gesti violenti, allegando come prove le foto di un labbro rotto e alcuni video.
Secondo la Procura, quanto riportato dalla donna sarebbe stato sufficientemente grave da prevedere la custodia cautelare in carcere, ma il gip ha respinto la richiesta, derubricando l’accaduto a fatti episodici. Il primo cittadino, proprio nei giorni scorsi, avrebbe lasciato l’appartamento in cui viveva con moglie e figli ma sulla misura restrittiva, a quanto pare, la Procura sarebbe in procinto di presentare ricorso.
Missiroli, dal canto suo, ha respinto tutte le accuse definendole «gravi e infamanti», si è detto certo di «poter presto dimostrare la propria innocenza» e, attraverso il suo avvocato, Ermanno Cicognani, ha fatto sapere di «non aver mai avuto in 16 anni di matrimonio comportamenti violenti nei confronti della moglie» sottolineando, invece, come «la separazione in corso coinvolge aspetti che possono prestarsi a strumentalizzazioni».
La domanda iniziale resta aperta, ma secondo Fdi la risposta è una sola: il sindaco deve dimettersi. «Quanto avvenuto getta una luce sinistra su un’istituzione che non può permettersi di essere lambita da simili ombre», hanno dichiarato con una nota congiunta esponenti locali e nazionali del partito di Giorgia Meloni. «L’aspetto dell’opportunità politica non può essere sottaciuto. Il Pd ha fatto della tutela delle donne una bandiera da sventolare in ogni dove, ci aspetteremmo dunque che fosse proprio il partito a chiedergli di fare un passo indietro».
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 22 dicembre con Carlo Cambi
Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Il Pd che invocava la tenuta dei conti e urlava allo spread, ora critica la manovra. Guardi a ciò che succede a Parigi e Berlino.
Il Pd chiede le dimissioni del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, in quanto la manovra proposta sarebbe troppo prona ai dettami dell’Europa e, quindi, non rispondente alle esigenze economiche e sociali del Paese. Ma, ci chiediamo, questo Pd è lo stesso degli anni scorsi che ha sempre invocato, anche sollecitato dal suo indimenticabile (per nullità) commissario europeo Paolo Gentiloni, di attenersi rigorosamente alle regole europee in quanto garanzia della tenuta finanziaria dell’Ue stessa?
È lo stesso Pd, che si è sempre dichiarato europeista e anzi baluardo dell’europeismo contro le destre, che, una volta al potere, avrebbero sfasciato l’economia di questo Paese, portando lo spread a livelli insostenibili e rischiando così sanzioni europee pesantissime e insopportabili per le nostre finanze? È lo stesso Pd che, nei vari componenti multicolore e durante la grigia stagione dei governi tecnici, ha sempre approvato manovre (a partire da quella di Mario Monti) che hanno depresso l’economia del Paese?Spesso i politici dell’opposizione sembrano più degli opinionisti che dei rappresentanti del popolo. Espongono infatti tesi contro chi governa contraddicendo totalmente, o anche parzialmente, quello che hanno fatto quando governavano loro. Quest’ultimo caso è particolarmente eclatante, perché si tratta di una linea, quella di non mettere mai in discussione la politica economica, finanziaria e monetaria dell’Europa, che è stata sostenuta non solo come giusta, ma come opposta a quella del centrodestra. Ora che, per ragioni di tenuta finanziaria del Paese, e per evitare attacchi speculativi, il ministro Giorgetti scrive una manovra che rispetta tali parametri e che scongiura la salita dello spread, ebbene, ora tutto ciò non va bene.
Non è intento di questo articolo entrare nel merito della manovra. Questo giornale l’ha già fatto e continuerà a farlo. Intento di questo articolo è solo mostrare quanto ridicola, incoerente, sfacciata e al limite della vergogna, sia la tesi portata avanti dall’opposizione per chiedere le dimissioni di Giorgetti. Ma con quale faccia si può chiedere a qualcuno di dimettersi nel momento in cui fa ciò che si è sempre sostenuto che si debba fare, e cioè puntare un occhio verso il pesce, l’economia del nostro Paese e le relative manovre finanziarie, e puntare l’altro verso il gatto, cioè le stravaganze europee che, se seguite alla lettera come nel caso del green, fanno sparire non solo il pesce ma l’intera specie ittica.
È il Pd che dovrebbe dimettersi, mica Giorgetti. Il partito che ha sempre invocato il rispetto dei conti pubblici e paventato lo spettro dello spread chiede le dimissioni del ministro che ha riportato lo spread ai minimi dal 2009 e il deficit/Pil al 3%. Guardassero quello che succede in Francia, esercizio provvisorio, Germania, economia a picco, Spagna dove dilagano gli scandali, e Regno Unito anch’esso in gravissime difficoltà economiche. La Germania che ha da sempre dettato la linea dell’austerity, violando poi tutte le regole sul debito pubblico nonché sugli interscambi commerciali, ora si trova a dover proporre investimenti monstre, di decine e decine di miliardi, totalmente al di fuori delle regole europee, e destinati in gran parte a ridare il fiato alla produzione industriale tedesca, da sempre basata su quella automobilistica, attraverso una vera e propria economia di guerra. Ma alla Germania tutto è concesso, anche perché essa ha la golden share del pensiero, diciamo così, e delle azioni della presidente della Commissione Ue, la tristemente nota Von der Leyen che, insieme alla Lagarde, ha fatto più danni di quelli che anche nella peggiore delle ipotesi qualcuno poteva immaginarsi. Ma questo è un altro discorso che riguarda il rispetto delle regole europee che per alcuni è rigido, per altri meno rigido, per altri è elastico, per altri ancora, tra i quali l’Italia, rigidissimo. E meno male che il governo è riuscito a rivedere il Patto di stabilità inserendo in esso ampie dosi di ragionevolezza, altrimenti sarebbero stati guai ancora maggiori. Ma tutto questo, onestamente, al Pd, non dice proprio nulla? Come si fa a superare tenacemente, ampiamente e con perseveranza il limite del ridicolo con così tanta nonchalance? Guardate che bisogna essere particolarmente bravi, non è da tutti. Si deve tornare indietro con la memoria ai giocolieri dei grandi circhi che ormai non esistono più e aspettare quello annuale che si svolge a Montecarlo.
Personalmente capirei una discussione sul modello economico sottostante alla manovra del governo. Capirei un dibattito di politica economica e finanziaria basato su modelli alternativi, su scuole economiche diverse, su politiche che si differenziano per diversi modi di concepire il rapporto tra Stato e mercato. Concepirei la legittimità di un dibattito di questo tipo, così come il dibattito tra liberisti e keynesiani hanno animato il secolo XX. Mi rendo conto, mentre lo scrivo, che sto volando a un’altitudine alla quale, probabilmente, chi dibatte di questi temi oggi rischia di avere le vertigini. Oggi al posto dei dibattiti di politica economica ci sono i dibattiti dettati dalla concezione economica dell’Ue che ha la consistenza della gelatina. Discutibile che fosse quando Draghi ha presentato un piano per la riforma dell’Europa, lo hanno messo da parte perché cominciando a leggerlo si sono resi conto che non ci stavano capendo niente. Non sono abituati a Bruxelles ad andare oltre il seminato delle loro quattro regolette in croce alle quali si attengono e obbligano gli altri ad attenersi senza l’uso del neurone, ma solo della favella che assume la forma di provvedimenti, dichiarazioni, richiami, sanzioni, direttive. Di fronte al ragionamento economico basato su riflessioni profonde e anche accurate posizioni ideali il loro encefalogramma diventa immediatamente piatto.
Che ci volete fare? In tutto questo, il Pd, che cerca di recuperare consensi carica contro Giorgetti dicendo di non fare quello che fino a ieri loro hanno fatto e anche difeso e predicato come l’unica strada possibile. La coerenza ormai appartiene a un altro mondo che non c’è dato di conoscere, almeno in questo dibattito politico.
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