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Maurizio Landini (Ansa)
- Polemiche per la norma (saltata) che toglieva alle aziende l’obbligo di pagare gli arretrati ai dipendenti che fanno ricorso per i salari troppo bassi. Ma quelle buste paga erano frutto di tanti accordi siglati dalla Cgil.
- Infrastrutture, arrivano 20 miliardi. Il Cipess approva il fabbisogno per il prossimo anno. Intanto il Senato dà il via libera alla manovra. Giorgetti: «Abbiamo fatto interventi che sembravano impossibili».
Lo speciale contiene due articoli.
Altro che Irpef, pensioni e riserve auree della Banca d’Italia: il titolo dell’ultimo giorno di fibrillazione della manovra (il voto al Senato di ieri era scontato) va di diritto ai salari. O meglio alla questione salariale che la sinistra ha provato a montare in tutti i modi facendo leva su quella che per tutti è diventata la norma «Pogliese», dal nome del senatore di Fratelli d’Italia che l’aveva già presentata circa 6 mesi fa nel decreto Ilva e che tra domenica e lunedì è stata inserita nella legge di bilancio (presentata dal senatore Fdi Matteo Gelmetti).
Proviamo a spiegarla. Il provvedimento (che poi è stato ritirato su pressioni del Colle) riguarda le vertenze giudiziarie promosse dai lavoratori che ritengono di non ricevere un trattamento economico conforme all’articolo 36 della Costituzione. La «Carta» sancisce il diritto a «una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro [...] che assicuri un’esistenza libera e dignitosa». Insomma, può succedere che i dipendenti di un’azienda privata che applica un contratto collettivo nazionale ricevano un salario che i giudici ritengono non sufficiente a garantire una vita dignitosa. In questo caso, secondo la norma che era entrata in Finanziaria, il datore di lavoro deve adeguare le buste paga ma non è tenuto a versare gli arretrati per il periodo precedente al deposito del ricorso, sempre che abbia applicato lo standard retributivo previsto dal «contratto nazionale stipulato da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
Vuol dire quindi che non sono ricompresi i cosiddetti «contratti pirata», cioè i contratti firmati da sigle poco rappresentative e che spesso e volentieri prevedono buste paga molto al di sotto della media.
Difficile indicare il perimetro potenziale del provvedimento. Ma il caso di scuola riportato alla cronaca è quello del famoso contratto dei vigilantes, che prevede una paga inferiore ai 5 euro all’ora. Intesa firmata (poi è stata a forza rinnovata e migliorata) dai principali sindacati compresa la Cgil.
Paradossale, insomma. La sinistra e la sua sigla di riferimento (ma i ruoli sono tranquillamente intercambiabili) vanno all’attacco dell’esecutivo per una norma che mira a regolamentare un vulnus che loro stesse hanno creato. «Non ci sono più parole per descrivere questa manovra», si era immediatamente indignata la Schlein, «dopo aver aumentato l’età pensionabile per il 96% dei lavoratori, adesso attaccano la magistratura che impone il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione. Ovvero che il salario di chi lavora deve essere equo e dignitoso». «L’emendamento Pogliese», ha continuato il segretario dem, «è un vero e proprio colpo di mano: i datori di lavoro che non hanno corrisposto un salario equo ai lavoratori non saranno obbligati a pagare gli arretrati come molte sentenze dei giudici hanno determinato». E non è stata tenera neanche Maria Grazia Gabrielli, segretaria confederale della Cgil.
«Si tratta», ha scandito la dirigente rossa, «di un nuovo e grave attacco ai diritti dei lavoratori da parte del governo. Con un emendamento alla legge di Bilancio, senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali, si tenta di rendere più difficile la tutela dei salari e il recupero dei crediti retributivi. Zero benefici per i lavoratori, solo attacchi».
Forse Schlein e Gabrielli dovrebbero però parlare con Landini prima di prendersela con il governo. O comunque la sinistra dovrebbe far pace con sé stessa se negli anni ha consentito che venissero siglati diversi accordi ben al di sotto dei 9 euro all’ora. La soglia che i democratici hanno più volte indicato come riferimento per il salario minimo orario.
Detto dei vigilantes, va per esempio ricordato che gli operai agricoli e i florovivaisti (meno di 5.000 persone) hanno firmato un po’ di anni fa un’intesa che prevedeva retribuzioni da circa 7 euro. Un po’ meglio era andata agli impiegati dell’industria del vetro e delle lampade (7,1 euro) e ancora meglio agli addetti delle imprese artigiane di pulizia (126.000 unità) che portavano a casa 8,1 euro l’ora. O ai 313.000 lavoratori delle cooperative del settore socio sanitario (8,8 euro) e ai 182.000 dipendenti del tessile abbigliamento che si sono fermati a quota 8,7 euro.
Un po’ di mesi fa un’analisi della Fondazione studi dei consulenti del lavoro aveva evidenziato che sui 63 contratti collettivi più rappresentativi depositati al Cnel (firmati da Cgil, Cisl e Uil), ben 22 avevano una retribuzione oraria sotto i 9 euro lordi. Chiaro che molti di questi contratti sono stati poi rinnovati a cifre superiori, ma è altrettanto evidente che per anni migliaia di lavoratori hanno ricevuto paghe ridotte all’osso e che quindi ci siano e ci saranno ricorsi.
Prima di prendersela con il governo, che probabilmente in modo maldestro ha cercato di mettere una pezza rispetto alla situazione di incertezza giudiziaria nella quale vengono a trovarsi le aziende, sinistra e Cgil in testa dovrebbero prendersela con loro stesse.
Infrastrutture, arrivano 20 miliardi
La manovra ottiene il via libera dall’aula del Senato con il voto di fiducia (110 sì, 66 no e due astenuti), tra la gazzarra dell’opposizione che ha alzato cartelli rossi con su scritto «Voltafaccia Meloni». Pd, M5s e Avs accusano la presidente del Consiglio di essersi smentita sulle accise, le pensioni e gli investimenti in sanità. Tutto secondo la tradizione di ogni manovra, come ha ricordato il presidente di Palazzo Madama, Ignazio La Russa: «Quando ero all’opposizione anche io preparavo i cartelli contro».
Prima dell’approvazione nell’emiciclo di Palazzo Madama, la commissione Bilancio ha stralciato cinque norme a seguito dei dubbi del Quirinale. Escono dal testo l’esonero per i datori di lavoro dal pagamento degli arretrati ai lavoratori sottopagati in caso di condanna ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione e la riduzione da 3 a 1 anno del divieto di svolgere un ruolo dirigenziale nel privato dopo un incarico apicale nella Pubblica amministrazione nello stesso settore. Niente da fare anche per la misura che prevedeva, viceversa, che fosse possibile, per incarichi commissariali, straordinari o temporanei, derogare dal divieto di ricoprire ruoli nella Pubblica amministrazione, dopo aver avuto incarichi in enti di diritto privato o finanziati dall’amministrazione stessa. Stralciato pure l’articolo che prevedeva la riduzione da 10 a 4 anni dell’anzianità per il collocamento di magistrati fuori ruolo e quello sulla revisione della disciplina del personale Covip. Nel maxi emendamento non è presente anche la misura riguardante lo spoil system per le Authority. «Hanno fatto un approfondimento, quindi si è ritenuto di espungere queste disposizioni, anche per la tenuta costituzionale del provvedimento, per non esporci a censure sul piano costituzionale» ha commentato il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo.
La manovra ora passa alla Camera per il via libera definitivo entro la fine dell’anno. Superate le frizioni tra il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, e il collega dell’Economia, Giancarlo Giorgetti che ha ironizzato sui rapporti con il leader della Lega. «Magari Babbo Natale gli porta un po’ di carbone sotto l’albero». E Salvini: «Non c’è stato nessun gelo, a me interessava non danneggiare i lavoratori allungando l’età pensionabile».
La legge di Bilancio vale ora circa 22 miliardi, da 18,7 miliardi del testo iniziale perché «abbiamo integrato gli stanziamenti per Transizione 5.0, la Zes e sull’adeguamento prezzi» ha spiegato Giorgetti, sottolineando che sono state accolte le richieste dei sindacati con la tassazione al 5% degli aumenti contrattuali per i lavoratori dipendenti con redditi bassi e la tassazione all’1% dei salari di produttività. Quanto alle sollecitazioni di Confindustria, il ministro rimarca che «andando a vedere le richieste del presidente Orsini prima della manovra, quadrano perfettamente con il tipo di risposte date dal governo. Complessivamente siamo intervenuti su questioni che sembravano impossibili».
Nel frattempo il Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) ha approvato il piano previsionale dei fabbisogni finanziari per il 2026 e le proiezioni fino al 2028 nonché il piano strategico annuale del Fondo 295 dedicato alla Simest. Il piano per il 2026 vale 20,5 miliardi con il crocieristico, la difesa e le infrastrutture come settori maggiormente coinvolti. Il Cipess ha anche approvato il piano annuale per i limiti di rischio in materia di sostegni finanziario pubblico all’esportazione, quindi per la Sace, per il 2026.
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Sergio Mattarella (Ansa)
Se con Conte e Draghi la prima carica dello Stato si atteggiava ad arbitro accondiscendente, da quando governa il centrodestra Mattarella non perde occasione per contrastare Palazzo Chigi. Da Stralink al conflitto in Ucraina, gli esempi sono numerosi.
La rotta ostinata e contraria di Sergio Mattarella nei confronti dell’attività di governo è sotto i nostri occhi una volta diradata la nebbia della narrazione ossequiosa e compiacente. La concessione della grazia ad Abdelkarim Alla F. Hamad, lo scafista condannato a 30 anni per concorso in omicidio plurimo e violazione delle norme sull’immigrazione per fatti avvenuti nel 2015 (49 persone trovate morte in un barcone diretto a Lampedusa) è l’ultimo di una serie di atti del capo dello Stato in contrasto con la linea di Giorgia Meloni. Che, all’indomani della tragedia di Cutro, aveva urlato: «Cercheremo gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo».
Tra Quirinale e Palazzo Chigi siamo alle divergenze parallele, dove il parallelismo è solo temporale, nel senso che l’inquilino del Colle più alto fa un uso sagace della tempistica per esprimere orientamenti opposti. Se il governo allenta le misure contro il Covid interviene sottolineando che non bisogna cantare vittoria. Se Palazzo Chigi disegna la proposta del premierato forte, il capo dello Stato si presenta a sorpresa al Festival di Sanremo per applaudire Roberto Benigni che inneggia all’intoccabilità della Costituzione più bella del mondo. Si potrebbe continuare, senza dimenticare i silenzi del presidente quando si tratterebbe di difendere il governo dalle ingerenze delle Procure o dagli attacchi di leader stranieri. Tutti insieme, silenzi, interventi a contrasto e ingerenze, configurano nel comportamento proattivo del secondo mandato di Mattarella una sorta di semipresidenzialismo ibrido. Mentre infatti con il governo di Mario Draghi, e prima con quello di Giuseppe Conte, l’attivismo dell’arbitro del Quirinale era improntato a un accompagnamento condiscendente, da garante della maggioranza, ora l’agenda del Quirinale sembra quella del capo dell’opposizione.
21 dicembre 2023
Sono passate poche ore dall’intervento di Elon Musk ad Atreju che, davanti alle alte cariche dello Stato invitate al Quirinale per gli auguri di Natale, Mattarella inaugura la sua personale battaglia contro il patron di Space X, Starlink e Tesla. In quei giorni la tecnologia satellitare Starlink è candidata a implementare il nostro sistema delle comunicazioni e di difesa, ma Mattarella stigmatizza, senza citare Musk, «oligarchi di diversa estrazione (che, ndr) si sfidano nell’esplorazione sottomarina, in nuove missioni spaziali, nella messa a punto di costosissimi sistemi satellitari (con implicazioni militari) e nel controllo di piattaforme di comunicazione social, agendo, sempre più spesso, come veri e propri contropoteri». Con la consulenza del segretario del Consiglio supremo di Difesa Francesco Saverio Garofani che propende per la tecnologia Eutelsat supportata dalla Francia, il negoziato per Starlink naufraga.
24 febbraio 2024
Dopo gli scontri a Pisa tra attivisti pro Pal che manifestano in un corteo non autorizzato e le forze di polizia che fanno ricorso all’uso dei manganelli, l’ufficio stampa del Quirinale dirama una telefonata del capo dello Stato al ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, nella quale afferma che «quei manganelli esprimono un fallimento» e che «l’autorevolezza delle Forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni». È una critica energica al ministro e una scelta di campo pro-pro Pal. Nei giorni a seguire si intensificano gli attacchi, Maurizio Landini in testa, alle Forze dell’ordine e al governo.
6 novembre 2024
Donald Trump vince le elezioni americane, ma quel giorno, insieme a Romano Prodi, Jaki Elkann, Pierferdinando Casini e Antonio Tajani, Sergio Mattarella è a Pechino in visita ufficiale alla Repubblica popolare cinese. La tempistica non è felicissima, Xi Jinping è l’avversario numero uno del nuovo presidente americano. Certamente la visita era programmata da tempo, forse nell’intento di riattivare la Via della seta e forse al Quirinale si scommetteva sulla vittoria di Kamala Harris. Nell’occasione la Fondazione Agnelli assegna a Prodi una cattedra di «Studi italiani» presso l’università Beida di Pechino dove, nella lectio magistralis, il capo dello Stato tiene un discorso franco, perché «fra amici» non ci devono essere «veli», e incoraggia «a intensificare il più possibile i già eccellenti rapporti tra Cina e Italia».
14 novembre 2024
Nuovo capitolo dello scontro con mister Tesla. Musk definisce «inaccettabile» l’intervento della procura di Roma contro l’uso dei Cpr in Albania e in un post si chiede: «Il popolo italiano vive in una democrazia o è un’autocrazia non eletta a prendere le decisione?». Dall’alto della sua carica, contro quello che è un semplice cittadino, il Quirinale replica che «l’Italia è un Paese democratico… che sa badare a sé stesso, nel rispetto della sua Costituzione» (a sua volta Musk si appella alla libertà di espressione «protetta dal Primo emendamento degli Stati Uniti e dalla Costituzione italiana»).
5 febbraio 2025
Ricevendo la laurea honoris causa a Marsiglia, Mattarella tiene uno dei discorsi più aggressivi del secondo mandato. Dopo aver rinverdito gli attacchi a Musk parlando di «figure di neo-feudatari del Terzo millennio… che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica… quasi usurpatori delle sovranità democratiche», paragona l’invasione ucraina della Russia al comportamento del Terzo Reich. «La strategia dell’appeasement non funzionò nel 1938… Avendo a mente gli attuali conflitti, può funzionare oggi?», si chiede Mattarella. Prima di concludere: «Anziché la cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura». Il 14 febbraio la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova contrattacca definendo «parallelismi storici infondati e falsi» ed «elucubrazioni blasfeme» le parole del nostro presidente, confortato nell’occasione dalla solidarietà di tutte le cariche dello Stato.
17 ottobre 2025
Alla cerimonia di consegna delle Stelle al merito del lavoro il capo dello Stato parla dei livelli retributivi nel settore pubblico e privato. Ma, visto che i contratti dei dipendenti pubblici (insegnanti, ferrovieri, agenti di polizia, eccetera) sono stati rinnovati, invece di rivolgersi a Confindustria e sindacati, estende l’allarme chiamando in causa la guida del Paese: «Il lavoro oggi procede a velocità diverse. Si creano diaframmi tra categorie, tra generazioni, tra lavoratori e lavoratrici, tra italiani e stranieri, tra territori, tra chi fa uso di tecnologie avanzate e chi non è in condizioni di farlo». In pieno autunno caldo, mentre si susseguono gli scioperi e il governo lavora alla legge di bilancio, Mattarella getta benzina sul malcontento.
16 novembre 2025
Invitato dal presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, Mattarella parla al Bundestag, il Parlamento tedesco, in occasione della Giornata del lutto nazionale a 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Due settimane prima, Donald Trump ha annunciato: «Con altri Paesi che testano armi nucleari, è appropriato che lo facciamo anche noi». Forse dimentico di essere nel Paese che ha riformato la Costituzione per destinare 1.000 miliardi al riarmo, il capo dello Stato attacca il presidente americano parlando dei «troppi dottor Stranamore che amano la bomba».
18 novembre 2025
La Verità rivela che in una cena in pubblico il segretario del Consiglio supremo di Difesa Francesco Saverio Garofani ha auspicato la creazione di «una grande lista civica nazionale» e «un provvidenziale scossone» che impedisca a Giorgia Meloni di vincere le elezioni del 2027 per poi influenzare la scelta del Quirinale del 2029. Il capo dei deputati di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami chiede che le ricostruzioni della Verità «siano smentite senza indugio». Ma dal Colle arriva una nota che fa da schermo al segretario del Csd: «Al Quirinale si registra stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo». Il Quirinale si mostra sordo alle richieste di dimissioni del consigliere per la Difesa.
12 dicembre 2025
Mentre Bruxelles approva il congelamento dei 210 miliardi di asset russi accogliendo la posizione di Giorgia Meloni che spinge per cooperare con gli sforzi americani per il cessate il fuoco, il capo dello Stato afferma davanti al corpo diplomatico che «l’Italia sta con l’Ucraina». Nessun tentennamento o accenno all’uso molto improprio da parte dei più stretti collaboratori di Zelensky del denaro arrivato dall’Europa.
15 dicembre 2025
C’è attesa per il vertice di Berlino tra leader europei, Volodymyr Zelensky ed emissari della Casa Bianca per il cessate il fuoco tra Mosca e Kiev. L’obiettivo di Meloni è convincere gli alleati dell’Ue a evitare nuovi invii di armi all’Ucraina e a usare gli asset russi per finanziarla allo scopo di far progredire il dialogo con Putin. I margini di manovra sono risicati, ma quella mattina Mattarella parla agli ambasciatori e alle ambasciatrici in Italia. Dopo aver premesso che siamo davanti a «una disordinata e ingiustificata aggressione nei confronti della Unione europea», il capo dello Stato vellica indirettamente le ambizioni di Zelensky a proseguire la resistenza bellica, stigmatizzando «l’aberrante intendimento… di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa». Inciampando nell’amnesia sul suo ruolo di vicepremier del governo D’Alema che nel marzo del 1999 ordinò il bombardamento di Belgrado senza l’autorizzazione dell’Onu.
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2025-12-24
Famiglia del bosco, nella disputa entra (di nuovo) l’Anm. Salvini: «Una decisione vergognosa»
Matteo Salvini (Ansa)
I difensori: «Troppe informazioni scellerate utilizzate per trasformarli in selvaggi».
Per chi contava su un lieto fine e coltivava la speranza che la famiglia del bosco potesse stabilmente riunirsi per Natale, la risposta del Tribunale per i minorenni dell’Aquila è stata un pugno nello stomaco devastante.
Ma le dichiarazioni, riportate dal quotidiano Il Centro, dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) Abruzzo che, per voce della presidente Virginia Scalera, ha parlato di «tempi fisiologici» e della necessità di un «percorso lungo» per il recupero della responsabilità genitoriale, oltre ad avere raffreddato in anticipo, rispetto alla decisione del Tribunale dei minori, le aspettative di un rientro a casa per Natale dei bambini del bosco, avevano spostato il confronto tra la magistratura e la famiglia Trevallion fuori dalle aule giudiziarie. Scatenando una durissima presa di posizione, (anche questa riportata dal quotidiano abruzzese) degli avvocati dei Trevallion, Marco Femminella e Danila Solinas.
«Restiamo perplessi dinanzi all’intervento dell’Anm Abruzzo», spiegano i due difensori, che, dettaglio niente affatto trascurabile, al momento della loro dichiarazione non conoscono ancora il provvedimento del Tribunale dei minori, che verrà reso noto poche ore dopo, nella mattinata di ieri. Secondo i due legali, «non è condivisibile che si entri nel merito ma ancora meno condivisibile è esaltare la correttezza dell’ordinanza di allontanamento dei minori. La magistratura non solo deve essere terza ma deve anche apparire tale».
La presa di posizione dei legali prosegue utilizzando un paradosso per svelare le contraddizioni del ragionamento dell’Anm: «Quindi, seguendo il ragionamento del sindacato dei magistrati, saremmo stati legittimati a ritenere che la riforma dell’ordinanza avrebbe giustificato la riprovevole aggressione subita dalla presidente Angrisano» dopo l’allontanamento dei tre bambini dalla casa di Palmoli. Il senso della provocazione dei legali dei Trevallion è chiaro: se si difende un magistrato dagli attacchi personali partendo dal presupposto che la sua decisione è stata confermata come «corretta» dalla Corte d’appello, questo vale anche all’opposto: se la decisione fosse stata sbagliata o annullata («riformata»), allora gli insulti e le aggressioni sarebbero stati giustificati? «Non crediamo sia così e non si può lasciare intendere questo», tengono a precisare Femminella e Solinas per evitare ulteriori polemiche. Poi puntano il dito anche sulle riunioni del sindacato delle toghe: «Così come si rischierebbe di fraintendere l’assemblea dell’Anm tenuta dai magistrati abruzzesi nella Corte d’appello dell’Aquila. La chiusura della stessa al grido “siamo tutti Cecilia Angrisano” non aveva nulla a che fare con la legittimità o meno dell’ordinanza». Femminella e Solinas, nelle loro dichiarazioni riportate dal Centro, si chiedevano anche l’origine delle previsioni sui tempi di recupero avanzate dall’Anm: «Non sappiamo dove l’Anm abbia desunto la necessità di un “lungo” percorso né, tantomeno, quale sia la competenza che la stessa abbia per entrare nel merito».
E ieri i due legali, con una nota diffusa alle agenzie di stampa, hanno probabilmente svelato l’arcano. Secondo i due avvocati, infatti, l’ordinanza del Tribunale per i minorenni dell’Aquila è datata 11 dicembre, quindi antecedente alla presa di posizione dell’Anm: «Questa difesa ha depositato copiosa e puntuale documentazione che confuta l’assunto secondo cui i minori non avrebbero avuto contatti con i loro pari e documentazione fotografica che ritrae i bambini in ogni occasione ricreativa, ovvero ordinaria, a contatto con altri bimbi verso i quali non hanno mostrato alcun disagio, così come non lo hanno mostrato nella casa famiglia». Dunque, per gli avvocati «sono smentite la ritrosia lamentata e l’isolamento dedotti». I legali si sono, poi, detti certi «che le allegazioni puntuali che abbiamo sottoposto al Tribunale, di cui, essendo l’ordinanza antecedente, non ha evidentemente tenuto conto, verranno debitamente e tempestivamente valutate. Così come siamo certi che sarà adeguatamente valutata “l’urgenza di provvedere” prevista dalla norma, quando si dovrà rivalutare, in tempi che si auspicano rapidi, la prosecuzione del collocamento nella struttura. Un giudizio che sarà certamente rapportato al superamento effettivo delle criticità al tempo rilevate e alla possibilità che la consulenza richiesta venga effettuata sotto monitoraggio, ma previo ricongiungimento». E ancora: «L’invito ad abbassare i toni e attenersi a fatti veritieri appare, allo stato, una utopica chimera che si staglia con alcune informazioni scellerate scientemente alimentate per tratteggiare l’idea della famiglia selvaggia approdata sul pianeta Terra. Anticipiamo azioni nei confronti di chiunque si renda responsabile della grave disinformazione».
La polemica, però, sembra destinata a continuare. Il vicepremier Matteo Salvini, ha parlato senza mezzi termini di una «vergogna senza fine». Per il leader leghista, «si dovrebbe verificare lo stato psichico di qualcun altro, non di due genitori che hanno cresciuto, curato, educato e amato i loro figli per anni, prima che la “giustizia” rovinasse la vita di una famiglia tranquilla e perbene».
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 24 dicembre con Carlo Cambi






