2019-10-16
La svolta giallorossa dei telegiornali fa scappare i telespettatori dalla Rai
Domani cda di Viale Mazzini: all'ordine del giorno il crollo degli ascolti dei Tg, con l'eccezione regionale. L'informazione della rete ammiraglia ha perso 600.000 persone. E i renziani vogliono tornare a contare.Poiché non possono votare con scheda e matita, gli italiani lo fanno con i tasti del telecomando all'ora del telegiornale. E alla Rai a trazione Pd con il tender a 5 stelle è scattato l'allarme. I Tg sono in difficoltà, nei grafici del marketing i numeri in rosso sono più di quelli in blu, spalmati su tutte le reti e relativi anche alle corazzate dell'informazione come Tg1 e Tg2. Nel triste panorama d'autunno fanno eccezione (com'è ormai tradizione) i dati dei Tg regionali, sempre in segno positivo, a dimostrazione di una narrazione locale equilibrata e approfondita. Ma l'exploit del Tgr spicca sul grigiore e i vertici aziendali sono entrati in modalità apprensione.«Bisogna trovare un punto di caduta o almeno un paracadute», dicono in viale Mazzini fuori dall'ufficio dell'amministratore delegato Fabrizio Salini. Così domani il cda avrà come tema il crollo degli ascolti, argomento messo all'ordine del giorno su richiesta del consigliere della Lega, Igor De Blasio, per promuovere un'operazione verità e per studiare una strategia che faccia tornare in positivo i numeri. La rete più in sofferenza è Raidue, quella in teoria più libera di creare grazie all'inventiva di Carlo Freccero. Ma il guru promosso dal movimento pentastellato ha inciso poco, si è più distinto nelle interviste pop che nel realizzare programmi top. E a novembre, quando andrà in pensione, lascerà aperta la porta a una successione sulla quale Pd e Italia Viva stanno già affilando i coltelli. La novità è proprio questa: i renziani (rappresentati in Commissione di vigilanza da Michele Anzaldi e Davide Faraone) vogliono sedersi a tavola, ritengono che la Rai sia il primo vero banco di prova nella guerra delle nomine. E non hanno intenzione di fare sconti agli zingarettiani.In questo contesto irrompe il problema degli ascolti. Nell'ultimo anno il Tg1 - costosissimo fiore all'occhiello della rete ammiraglia - ha perso 47.000 telespettatori alle otto di mattina, 288.000 alle 13.30 e 281.000 nell'edizione principale, quella delle 20. Oltre 600.000 persone in fuga. Il telegiornale serale diretto da Giuseppe Carboni veleggia pur sempre con 4,5 milioni di telespettatori, ma negli ultimi mesi ha dovuto subìre la rimonta del Tg5, in avvicinamento sopra i 4 milioni. Il disastro è al mattino: nel confronto parallelo davanti a caffè e brioche, nella settimana dal 30 settembre al 6 ottobre il Tg1 ha avuto un milione 258.000 telespettatori (-48.000 rispetto alla settimana precedente) mentre il Tg5 un milione 120.000 (+ 97.000), come se Jacques Leclerc vedesse i tubi di scarico della Mercedes lì davanti. In un paio di occasioni c'è stato pure il sorpasso.Fa anche peggio il Tg2, già sofferente di suo dai tempi di Noè, che nel confronto delle ore 13 è sempre sotto rispetto al Tg5. E significative caselle rosse ha anche il Tg3. In controtendenza totale è il Tgr, vero traino dell'informazione aziendale con Buongiorno Italia, Buongiorno Regione e i telegiornali dedicati. In Lombardia, con il nuovo corso il Tg delle 14 ha superato il tetto dei 300.000 telespettatori di media (+ 1,1%), exploit fra le regioni più popolose. Anno su anno molte altre sedi sono in positivo, con il piccolo Molise che cresce quasi del 4%. Il messaggio è chiaro, gli italiani si sentono più garantiti dall'informazione territoriale, dove il rispetto delle tradizioni, delle radici e di un'obiettività facilmente verificabile è premiante sulla politique politicienne che domina le testate nazionali.L'allarme al Tg1 dovrebbe mettere sul banco degli imputati il direttore ma Carboni è un totem per il Movimento 5 stelle, quindi è intoccabile per l'ad Salini che deve a Luigi Di Maio l'incarico. Così le attenzioni della nuova maggioranza si concentrano su Teresa De Santis, direttore di Raiuno in quota Lega e mai così tanto in bilico. Prigioniera fin dall'inizio dell'establishment di sinistra, durante il governo gialloblù ha frenato su novità e riforme. Anche Matteo Salvini, che l'aveva sostenuta, le ha imputato un certo cerchiobottismo e ne ha preso le distanze. La sua poltrona è nel mirino di Stefano Coletta, in arrivo da Raitre, mentre in pole position per ogni rientro c'è il renziano Mario Orfeo, ora presidente di Rai Way. A smussare le punte delle lance è ancora Salini, che ha fatto approvare dal Mise il piano industriale (grazie all'appoggio del ministro dello Sviluppo economico, il grillino Stefano Patuanelli) e oggi veste i panni dell'homo democristianus. Secondo il piano, i direttori saranno gradualmente depotenziati a vantaggio dei responsabili delle aree orizzontali (intrattenimento, contenuti culturali, fiction, kids, documentari, nuovi format, digital, cinema) da istituire entro un anno. Quindi avrebbe poco senso aprire oggi un conflitto per poltrone insignificanti domani.Per la sinistra, che nonostante i recenti pianti greci ha sempre detenuto il potere dentro la Rai, è in arrivo un altro fastidio. Manager fedeli come Paolo Del Brocco (da nove anni alla guida di Raicinema) e Tinny Andreatta (figlia di ex ministro, da sette a Raifiction) rischiano di rimanere a terra in osservanza della regola Anac secondo la quale si può ricoprire un ruolo apicale al massimo per otto anni. Uno scherzo inconsapevole di Raffaele Cantone alla sua parte politica. Nel mondo dem fare e disfare significa pur sempre galleggiare.