
Il vicepremier uscente è stato individuato dall'asse Grillo-Fico come l'ultimo vero ostacolo al papocchio. Per neutralizzarlo, spunta l'ipotesi di farlo commissario europeo. Anche se lui vuole ancora il Viminale.Parola d'ordine: troviamo un posto a Giggino. La nascita del governo Pd-M5s dipende solo e soltanto da un fattore: placare l'ira, l'ansia, l'angoscia che attanagliano Luigi Di Maio. L'ultima idea in ordine di tempo, che potrebbe accontentare tutti, l'ha anticipata ieri la Verità: Di Maio potrebbe andare a ricoprire la carica di commissario europeo. Sarebbe, spiegano sia dal Pd che dal M5s, l'unico modo per accontentare l'uomo, la sua smisurata ambizione, ma anche il suo staff. Perché quello che ormai nel M5s dicono tutti o quasi, è che «Luigi», ogni santo giorno, sarebbe sottoposto a un bombardamento stressante di consigli, suggerimenti, teorie complottistiche ai suoi danni, che ne avrebbero annebbiato la lucidità politica. Lo staff: la stragrande maggioranza dei parlamentari del M5s, quelli che non vedono l'ora di varare il governo del Conte Rosso, hanno nel mirino, più che Di Maio, il suo cerchio tragico. I nomi? Cristina Belotti, la sua portavoce; Ilaria Loquenzi, al vertice della comunicazione M5s; Silvia Virgulti, ex fidanzata di Di Maio e esperta di comunicazione (preparava gli esponenti del Movimento alle comparsate in tv); Pietro Dettori, braccio destro di Davide Casaleggio. Proprio la Belotti, ex capo della comunicazione del gruppo M5s al Parlamento europeo (finì anche al centro di una vicenda controversa che riguardava i rimborsi delle missioni), in queste ore avrebbe suggerito a Di Maio che la nomina a commissario europeo sarebbe non solo più che prestigiosa, ma gli consentirebbe di mantenere un ruolo di «padre nobile» del M5s, una sorta di elevato tra gli elevati. Non è un caso che la poltrona di commissario europeo sia stata rivendicata, a sorpresa, esplicitamente, da Tiziana Beghin, capodelegazione dei pentastellati a Bruxelles e fedelissima di Di Maio: «Alla luce della composizione del Parlamento italiano», ha detto a Repubblica la Beghin, «che ci vede forza di maggioranza relativa, penso sia doveroso che il commissario italiano debba essere espressione del Movimento. Il Pd ha già la presidenza del Parlamento europeo con David Sassoli. Serve equilibrio». La Beghin ha poi ricordato «il ruolo decisivo che abbiamo avuto per l'elezione di Ursula von der Leyen a Strasburgo». La soluzione dunque potrebbe essere questa, anche se Di Maio ha in mente solo e soltanto una poltrona: quella di ministro dell'Interno, con annessa carica di vicepremier. In questa cocciutaggine, raccontano dall'interno del M5s, un ruolo lo ha anche Enzo Scotti, presidente della Link Campus University, fucina di dirigenti pentastellati e gran ciambellano di Di Maio. Scotti, ex big della Dc, è stato a sua volta ministro dell'Interno ai bei tempi della prima Repubblica, e ha convinto il capo politico del M5s che quella è la poltrona più importante del governo. Scotti ha sfondato una porta aperta: Di Maio vuole a tutti i costi diventare il successore di Matteo Salvini, sperando (sognando?) di ereditarne i consensi perseguendo la politica dei porti chiusi. Purtroppo, i sogni cozzano con la realtà, e il Viminale, per il Pd, non può finire a un protagonista politico tanto legato, nel recente passato, al leader della Lega. Scotti, tra l'altro, in questi giorni preme per far saltare il governo e andare al voto immediato.Le voci di dentro del M5s raccontano di un Di Maio assai preoccupato (eufemismo) per il suo futuro, e letteralmente inviperito con Giuseppe Conte, che Beppe Grillo, Roberto Fico e la stragrande maggioranza dei parlamentari hanno individuato come il vero leader pentastellato, altro che «premier terzo». Di Maio aveva pensato, anche non potendosi ricandidare per un terzo mandato, che da leader nazionale avrebbe comunque potuto giocare le sue carte, nella futura legislatura, per la premiership. Ora che il M5s gli sta sfuggendo, la sua preoccupazione ha oltrepassato il livello di guardia. La dinamica quindi è paradossale: Di Maio e il suo cerchio tragico controllano la comunicazione del M5s, ma non i gruppi parlamentari. Gli effetti sono pittoreschi: l'altro ieri, quando dalla comunicazione è partito l'ordine di diramare comunicati stampa a sostegno di Di Maio, tutti hanno eseguito; subito dopo, tra di loro, sono tornati a criticare aspramente il leader per il suo comportamento ondivago, accusandolo di pensare solo a se stesso e ai suoi fedelissimi. Anche il giochino delle «fonti» anonime che invadono le agenzie di stampa è ormai scoperto: arrivano tutte dalla comunicazione vicina a Di Maio.Le truppe pentastellate infatti già in Parlamento avevano legato bene con i colleghi del Pd, e un governo giallorosso viene visto come lo sbocco naturale, soprattutto ora che l'esperienza con la Lega è stata interrotta bruscamente. Lo stesso Gianluigi Paragone ha sbagliato i tempi del suo «no» alla fiducia: non è stato infatti seguito da nessuno, perché la dichiarazione andava fatta in extremis, per non dare modo a chi nel M5s già dalla sua elezione lo etichettava come «infiltrato leghista», di marcare a uomo i senatori del sospettati di volersi sfilare per poi essere ricandidati con il Carroccio.In sostanza, Di Maio è in un momento di estrema confusione. Appare sbandato anche a molti dei suoi stessi fedelissimi. Vede il governo sfuggirgli di mano, e pure il M5s. Sospetta di tutti, immagina complotti e trame ai suoi danni, ascolta solo chi gli suggerisce di andare alla guerra contro tutto e tutti, diffida di chi invece gli consiglia un comportamento più coerente con la volontà espressa dalla stragrande maggioranza dei suoi parlamentari. Così facendo, però, rischia la sfiducia: parola che fino a poche ore fa veniva considerata un vero e proprio tabù all'interno del M5s.
Christine Lagarde (Ansa)
Siluro dell’ex economista Bce, il teutonico Jürgen Stark: «È chiaro perché l’Eliseo l’ha voluta lì...».
Stefano Antonio Donnarumma, ad di Fs
L’amministratore delegato Stefano Antonio Donnarumma: «Diamante 2.0 è il convoglio al centro dell’intero progetto».
Rete ferroviaria italiana (Rfi), società del gruppo Fs, ha avviato un piano di rinnovo della propria flotta di treni diagnostici, i convogli speciali impiegati per monitorare lo stato dell’infrastruttura ferroviaria. L’operazione prevede nei prossimi mesi l’ingresso in servizio di due nuovi treni ad Alta velocità, cinque destinati alle linee nazionali e 15 per le reti territoriali.
L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare la sicurezza e la regolarità del traffico ferroviario, riducendo i rischi di guasti e rendendo più efficace la manutenzione. Tra i nuovi mezzi spicca il convoglio battezzato Diamante 2.0 (Diamante è l’unione delle prime tre sillabe delle parole «diagnostica», «manutenzione» e «tecnologica»), un treno-laboratorio che utilizza sensori e sistemi digitali per raccogliere dati in tempo reale lungo la rete.
Secondo le informazioni diffuse da Rfi, il convoglio è in grado di monitorare oltre 500 parametri dell’infrastruttura, grazie a più di 200 sensori, videocamere e strumenti dedicati all’analisi del rapporto tra ruota e rotaia, oltre che tra pantografo e catenaria. Può viaggiare fino a 300 chilometri orari, la stessa velocità dei Frecciarossa, consentendo così di controllare le linee Av senza rallentamenti.
Un’ulteriore funzione riguarda la misurazione della qualità della connettività Lte/5G a bordo dei treni ad Alta velocità, un aspetto considerato sempre più rilevante per i passeggeri.
«Diamante 2.0 è il fiore all’occhiello della flotta diagnostica di Rfi», ha affermato l’amministratore delegato del gruppo, Stefano Antonio Donnarumma, che ha viaggiato a bordo del nuovo treno in occasione di una corsa da Roma a Milano.
Attualmente, oltre al nuovo convoglio, Rfi dispone di quattro treni dedicati al monitoraggio delle linee tradizionali e di 15 rotabili destinati al servizio territoriale.
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Da sinistra, Carlo Cottarelli, Romano Prodi, Enrico Letta (Ansa)
Carlo Cottarelli, Romano Prodi, Enrico Letta: le Cassandre dem hanno sempre vaticinato il crollo dei nostri conti con la destra al governo. In realtà il rapporto tra disavanzo e Pil è in linea con quello di Berlino e migliore rispetto a quello di Parigi. E vola anche l’occupazione.
Murale commemorativo in memoria di Charlie Kirk (Ansa)
L’attivista è stato un esempio a livello culturale: non mollava sui temi etici, non aveva alcun timore, era preparatissimo, dialogava con tutti, non pativa alcuna sudditanza. Cose che qui a volte mancano.