
Dario Franceschini chiama alla «concordia» contro i prossimi conflitti potenziali. Però è il consueto bavaglio ideologico per soffocare il dissenso. Lo insegna il doppiopesismo sui cortei del 25 aprile.Da qualche tempo a questa parte, l'espressione «unità nazionale» ha mutato significato, diventando sinonimo di «fregatura». Per la sinistra di governo, infatti, unità significa più o meno: noi facciamo quello che ci pare, e se l'opposizione ha qualcosa da ridire l'accusiamo di sabotaggio. Basti osservare come si è comportato il governo nelle ultime settimane: ha invocato la concordia per mettere a tacere le voci critiche (specie a livello mediatico, missione compiuta), salvo poi approfittare di ogni occasione per spruzzare fango sugli avversari. Suona quanto meno sospetto, dunque, l'invito del ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, a tenere il «Paese unito» in vista della fase due. L'uomo, del resto, ha il vizio di lastricare la strada che conduce al disastro con parole dolci sul dialogo e la pacificazione: è stato tra i primi sostenitori dell'inciucione giallorosso, progetto fallimentare utile a far fuori le destre senza passare per il voto, ovviamente realizzato in nome del «bene comune». «Questo è il bivio», ha detto Franceschini ieri al Corriere della Sera. «O si innesca un meccanismo virtuoso e quindi emerge lo stesso clima della ricostruzione post bellica oppure il Paese si divide e parte il pericolosissimo meccanismo del tutti contro tutti. Regioni contro Stato, opposizioni contro maggioranza, Confindustria contro sindacati, Sud contro Nord e il Paese rischia di disgregarsi e perdersi. Quindi la lezione della prima ricostruzione è fondamentale per noi». È suggestivo - ed emblematico - che il ministro, per costruire la tanto agognata unità, scelga proprio il terreno del 25 aprile. Cioè la data forse più divisiva dell'intero calendario delle festività laiche.L'anniversario della liberazione è lo specchio della famigerata concordia nazionale: i progressisti lo utilizzano per allargare ulteriormente la frattura tra buoni e cattivi, tra chi ha diritto di partecipare al dibattito pubblico e chi no. Il 25 aprile è l'apoteosi della cultura dei due pesi e due misure. E nei due giorni appena trascorsi questa sua potenza discriminatoria si è palesata con estrema chiarezza. Piccolo esempio. A Roma, Milano, Bologna, Modena e in varie altre città sigle partigiane come l'Anpi, partiti e partitini progressisti, associazioni e attivisti di vario ordine e grado hanno organizzato manifestazioni celebrative in strada. Invece di limitarsi a cantare Bella ciao dai balconi come promesso, si sono raggruppati in piazza, nei quartieri, persino davanti al sindaco Virginia Raggi. Il tutto in completa violazione delle norme di protezione sanitaria. Nessuno dei manifestanti, ci risulta, è stato multato. E questo potrebbe essere persino un buon segno: finalmente il controllo poliziesco si è un poco allentato. Curiosamente, tuttavia, non abbiamo assistito all'impeto di indignazione che fino all'altro giorno ha accompagnato ogni episodio di insubordinazione popolare vera o presunta. Gli editorialisti che invocavano il pugno di ferro contro i cittadini riottosi sono rimasti in silenzio oppure si sono concentrati a suonare la fanfara resistenziale. Nessuno ha trattato gli intemperanti della liberazione come «untori», come «irresponsabili» o «nemici del bene comune». Tanto per citarne uno: Michele Serra, il quale aveva bollato come «fascisti» i fedeli che chiedevano di poter partecipare alla messa, ieri era un omino di zucchero che descriveva i partigiani come «un mix meraviglioso di popolo e borghesia» e se la prendeva (di nuovo!) con il sovranismo, «attuale travestimento del fascismo». In base a questa logica, se un cattolico chiede un'eccezione alla chiusura è fascista. Se uno dell'Anpi della medesima chiusura se ne infischia creando assembramenti, è un eroe dell'antifascismo. Eccola, l'«unità nazionale» che i sostenitori dell'attuale maggioranza vogliono costruire. È una forma di «concordia» molto singolare, che consiste sostanzialmente nell'essere concordi con le direttive provenienti dall'alto. «Fascista» è chi critica e si oppone; «partigiano della libertà» è chi obbedisce o impone l'obbedienza con ogni mezzo. Stando all'imbellettato discorso di Dario Franceschini, dobbiamo aspettarci che questa regola valga a maggior ragione nella fase due, dove i contrasti si faranno ancora più esasperati. Le regioni del Nord, soprattutto se a guida leghista, continueranno a essere dipinte come irresponsabili e ribelli, al di là dei loro meriti e delle loro reali difficoltà. Alle opposizioni sarà riservato il medesimo trattamento. Un esempio? Se l'ordine del giorno di Fratelli d'Italia contro il Mes ottiene un sostegno trasversale, viene comunque presentato dagli esponenti della maggioranza come una porcheria. Tanto che molti dei parlamentari a 5 stelle che lo condividevano hanno dovuto fingere di non essere presenti in Aula, per non far la figura di quelli che supportavano un'iniziativa «del nemico». Concordia nazionale, unità del Paese: un altro modo per dire «non disturbate il manovratore». E sempre viva la libertà (di prendere ordini).
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).
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In Danimarca è obbligatorio per legge un additivo al mangime che riduce la CO2. Allevatori furiosi perché si munge di meno, la qualità cala e i capi stanno morendo.
«L’errore? Il delirio di onnipotenza per avere tutto e subito: lo dico mentre a Belém aprono la Cop30, ma gli effetti sul clima partendo dalle stalle non si bloccano per decreto». Chi parla è il professor Giuseppe Pulina, uno dei massimi scienziati sulle produzioni animali, presidente di Carni sostenibili. Il caso scoppia in Danimarca; gli allevatori sono sul piede di guerra - per dirla con la famosissima lettera di Totò e Peppino - «specie quest’anno che c’è stata la grande moria delle vacche». Come voi ben sapete, hanno aggiunto al loro governo (primo al mondo a inventarsi una tassa sui «peti» di bovini e maiali), che gli impone per legge di alimentare le vacche con un additivo, il Bovaer del colosso chimico svizzero-olandese Dsm-Firmenich (13 miliardi di fatturato 30.000 dipendenti), capace di ridurre le flatulenze animali del 40%.





