2021-03-20
La sinistra ride e si accanisce su Gerli ma sui disastri Pd-M5s è stata muta
La stampa progressista si beffa dell'ingegnere, bollato come sovranista, sebbene si sia dimesso dal Cts. Eppure, in un anno di flop di Roberto Speranza, bugie sul piano pandemico e gaffe degli «esperti», ha sempre taciuto. Corrado Formigli e Antonio Padellaro, giovedì sera, si sono fatti delle matte risate. Ghignavano e infierivano su Alberto Gerli, ingegnere quarantenne che era stato scelto per far parte del nuovo Cts ma si è dimesso poche ore dopo esservi entrato, causa feroci attacchi da parte della macchina mediatica progressista. Sghignazzava, Padellaro, è ripeteva all'indirizzo dell'ingegnere: «Questo non capisce niente». Non che altri colleghi abbiano agito in modo molto diverso: da qualche giorno è tutto un fiorire di sberleffi, sputazzi e insulti. Ed è uno spettacolo, questo, su cui vale la pena riflettere un momento, perché la dice lunga sul sistema politico-informativo italiano. A noi, intendiamoci, di difendere l'ingegnere dimissionario importa zero. Ha mollato il colpo, è fuori dai giochi, non può più danneggiare o aiutare chicchessia. Però non possiamo restare indifferenti di fronte all'arroganza, alla superficialità e alla maleducazione smargiassa che da sinistra si sono riversate su questa vicenda. Non erano critiche: era un pestaggio. Politici, editorialisti e sgallettati digitali si sono accaniti sull'ultimo arrivato, gli hanno attribuito il patentino di leghista e hanno iniziato a linciarlo. E quando questi si è dimesso, ne hanno esibito lo scalpo ancora sanguinante. Certo che ci vogliono coraggio e schiena dritta per agire così. Che bravi i cani da guardia del potere: si avventano sui biscotti perché temono, mordendo la bistecca, di farsi male ai dentini. Non ci risulta, infatti, che i giornalisti sinceramente democratici si siano scagliati con altrettanta baldanza sui componenti del precedente Cts. E dire che di materiale su cui indagare ce n'era. Non risulta, ad esempio, che molti siano andati a fare le pulci ad Andrea Urbani, direttore generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute. È il dirigente che vari mesi fa, in un'intervista al Corriere della Sera, parlò di un piano anti Covid tenuto segreto per non spaventare la popolazione. Un piano che - ha poi sostenuto lo stesso ministero in tribunale - in realtà non è mai esistito. Un altro su cui si poteva lavorare era Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero della Salute. Era tra i responsabili del mancato aggiornamento del piano pandemico italiano, è stato mandato a trattare sui vaccini in Europa, perfino il viceministro Sileri ne chiese con decisione le dimissioni. Eppure non si è dimesso, e nessuno si è messo a dire in tv che «non capisce niente». Vogliamo citare poi Ranieri Guerra e le sue email intimidatorie al ricercatore Francesco Zambon? Avete visto qualche trasmissione di sinistra (Report a parte) rinfacciargli le bugie sul piano pandemico o chiedergli conto della censura del report dell'Oms sull'Italia? Figuriamoci. Anzi: i giornali gli concedevano paginate di interviste. Sul piano pandemico mai utilizzato (su cui indaga la Procura di Bergamo) qualcosa si poteva chiedere anche a Francesco Maraglino, direttore dell'Ufficio prevenzione del ministero della Salute. Ma, di nuovo, con lui l'orda mediatica è stata clemente. Sorvoliamo, per pietà, sulle castronerie e le falsità pronunciate nel corso dei mesi dai vari virologi e professoroni ancora ben piantati nei salotti televisivi (ne hanno dette talmente tante che ci abbiamo riempito un libro, Epidemia di balle, lo trovate in edicola). Restiamo piuttosto sui consulenti governativi: una menzione d'onore la merita Walter Ricciardi, uno che ancora il 25 febbraio del 2020 ripeteva: «Le mascherine alle persone sane non servono a niente». Purtroppo per lui, che le mascherine servissero era scritto nei vari modelli di piani pandemici proposti da Ue e Oms dal 2009 al 2017. Forse Ricciardi non li aveva letti, ma di sicuro sapeva che il nostro piano anti pandemia non era stato aggiornato, infatti lo scrisse in un articolo pubblicato in inglese. Nemmeno Ricciardi si è dimesso, e di sicuro i cronisti tifosi de «Lascienza» non l'hanno preso a pernacchie. In compenso, i conduttori e gli opinionisti che si affannavano a mangiare involtini primavera gridando che «il vero virus è il razzismo» hanno menato come fabbri sull'ingegnere colpevole di essere vicino ai sovranisti. Sul piano «scientifico» il principale accusatore di Alberto Gerli è stato Matteo Villa, ricercatore dell'Ispi, ai cui tweet polemici si sono abbeverati tutti i giornalisti progressisti. Può anche darsi che, su Gerli, Villa abbia ragione. Ma allora deve aver ragione anche quando scrive di vaccini. Ieri Il Foglio ha citato un suo studio nel quale si spiega che «l'Italia ha vaccinato solo il 6% della popolazione over 80 contro il 28% di Francia e Germania, mentre se avessimo concentrato i vaccini nella fascia di popolazione più a rischio oggi conteremmo già un abbattimento della letalità del 48%, un calo dei decessi del 25 e 2.200 morti di meno nell'ultimo mese». Chi è responsabile di questo sfascio? Gerli? I sovranisti? Le forze oscure della reazione in agguato? Come mai non abbiamo mai sentito illustri editorialisti dichiarare in diretta tv che chi ha gestito l'emergenza per conto di Pd e 5 stelle «non capisce niente»? A cacciare un tizio sconosciuto ai più suono buoni tutti, ma prendere di mira i cialtroni in quota dem richiede un po' più di fegato. Chiaro: se un esperto fa previsioni sbagliate è giusto bacchettarlo, come no. Ci permettiamo, tuttavia, di ricordare il signore che, alcuni mesi fa pubblicò un libro intitolato Perché guariremo, in cui spiegava che, dopo le difficoltà della prima ondata, l'Italia avrebbe affrontato il Covid alla grande. Il signore in questione si chiama Roberto Speranza, il suo libro è stato ritirato, e lui è ancora ministro. Ma nessun conduttore progressista ride.