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2018-10-28
La sinistra in piazza piange sul degrado che ha prodotto lei
ANSA
Sapete come si evitano altri massacri come quello di Desirée o di Pamela? Semplice, tramite «presidi di antifascismo e democrazia» nei quartieri. Lo hanno spiegato ieri, durante la manifestazione organizzata dall'Anpi a Roma, nel quartiere San Lorenzo, dove la ragazzina di 16 anni originaria di Cisterna di Latina è stata segregata per due giorni, drogata fino allo sfinimento, stuprata per ore e infine ammazzata. I partigiani erano lì, con tutto il corredo: bandiere della Cgil e del Pd, canzoni dei Modena City Ramblers, magliette rosse. Più che ricordare un'adolescenza spazzata via dalla faccia della Terra, sembrava che stessero berciando contro il governo razzista.
Quella dell'Anpi, però, non era mica l'unica sfilata. Sempre nella Capitale, in piazza del Campidoglio, c'era un'altra manifestazione al grido di «Roma dice basta». Anche qui progressisti assortiti, ma pure radicali e perfino qualche esponente di centrodestra. Tutti insieme appassionatamente contro Virginia Raggi. E mentre a Roma la folla berciava contro il degrado, in altre regioni italiane Ong, associazioni, Caritas, Arci, Sant'Egidio e compagnia zufolante si esibivano per le strade contro il «razzismo» e il decreto sicurezza voluto da Matteo Salvini. Un allegro sabato combattente, insomma.
È un curioso cortocircuito psichiatrico, quello della sinistra italiana. Scende in piazza a protestare contro i danni che lei stessa ha causato. Tanto varrebbe che i militanti restassero a casa a insultarsi davanti allo specchio. La perfetta incarnazione di questo atteggiamento la ritroviamo in Laura Boldrini. L'ex presidente della Camera ieri ha scritto su Twitter: «Anziché trasformare il dolore per la povera Desirée in un set cinematografico il ministro Salvini lavori nel suo ufficio e metta in campo misure concrete per la sicurezza. Io sto coi cittadini e le cittadine che non sopportano più degrado, incuria e violenza».
Vediamo se abbiamo capito bene. A Roma un gruppo di immigrati clandestini - schifosi che abbiamo fatto entrare, abbiamo accolto e pure dotato del permesso umanitario perché fossero tutelati - ha imbottito di droghe, brutalizzato e straziato una ragazzina sedicenne. E Laura Boldrini si lamenta di tutto questo con Salvini? Osa parlare di «degrado, incuria e violenza»? Lei che voleva cancellare il reato di clandestinità? Lei che celebrava le «risorse» e le dipingeva come l'«avanguardia del nostro futuro»? Per la serie: la vergogna, questa sconosciuta.
Del resto - a proposito di strumentalizzazioni politiche - sono alcuni giorni che Madama Laura le spara grosse. Mercoledì, per esempio, ha scritto un pensiero rivolto alla sventurata Desirée: «Sei finita in una tana di esseri disumani e non riesco nemmeno a immaginare il dolore che staranno provando i tuoi famigliari. Spero che chi ti ha fatto così tanto male la paghi cara e venga punito come merita». Giusto: solo che a «fare tanto male» a questa piccola donna sono stati gli immigrati che la Boldrini ha incensato per anni.
Ecco, questo è il livello della sinistra italica. Manifesta contro il degrado e contro la violenza, ma è stata lei a produrli. Si straccia le vesti contro il razzismo, ma tace sui crimini degli immigrati. Giusto ieri, mentre la Boldrini se la prendeva con Salvini e i suoi amici delle Ong sfilavano, abbiamo avuto notizia dell'ennesima violenza. A Ragusa, un mediatore culturale del Gambia di 26 anni ha aggredito, violentato e poi picchiato per ridurla al silenzio una richiedente asilo del centro di accoglienza in cui prestava servizio.
I «mediatori culturali» sono le figure di cui, secondo i progressisti, abbiamo assoluto bisogno. Gli stranieri che aiutano altri stranieri ad ambientarsi nel nostro Paese. Sono il canale di trasmissione fra la nostra cultura e la loro. Beh, a quanto pare questo signore del Gambia ha dato una bella dimostrazione di quale sia la sua cultura: quella dello stupro.
Ovviamente, però, di queste storie vomitevoli gli impegnati manifestanti non parlano mai. A loro interessano l'antifascismo, il razzismo, la discriminazione. Ce l'hanno con la Lega, con i 5 stelle, con i fascisti e gli altri soliti babau. A seviziare e a uccidere le ragazzine, però, non sono i razzisti. Ad avvelenare giovani e giovanissimi con la droga non sono i perfidi fasci. E intanto che le ridenti associazioni umanitarie mettono in scena le loro danze macabre nelle piazze, le violenze continuano, le morti aumentano. Sono l'eredità dei passati governi, il frutto di una dominazione culturale che ci ha schiacciato per anni.
La sinistra vuole protestare? Se la prenda con sé stessa. È lei la madre del degrado.
Francesco Borgonovo
L’orrore raccontato dal testimone: «L’hanno stuprata per divertirsi»
I lividi sulle braccia e sulle gambe provano che è stata immobilizzata. Le lesioni nelle parti intime dimostrano che è stata violentata ripetutamente. Le tracce biologiche di più persone dicono chiaramente che Desy, stordita da un mix di droga e psicofarmaci, è stata vittima del branco di belve che l'ha anche seviziata, come indica la bruciatura di sigaretta che le è stata trovata addosso. I predatori africani dal permesso umanitario, che per gli investigatori sono gli assassini di Desirée Mariottini, 16 anni, la ragazza di Cisterna Latina morta nel palazzo occupato di via dei Lucani a Roma, quartiere San Lorenzo, stando ai risultati dell'autopsia e al materiale investigativo raccolto dalla Procura, hanno avuto per ore il totale controllo della vittima. Il movente? Lo svela uno dei tossici presenti, che ora è diventato un testimone: «È stata violentata per divertimento dopo avere assunto eroina». E, emerge dalle testimonianze, quando le belve hanno capito che era in fin di vita, non hanno permesso ad altri di chiamare i soccorsi. «Lasciamola morire 'sta tossica», avrebbe detto uno di loro, stando al racconto di un testimone. Ma ora, come era prevedibile, cercano di salvarsi dal carcere e giocano allo scaricabarile.
Per la Procura, che ha chiesto e ottenuto la convalida del fermo, Chima Alinno, nigeriano, 46 anni, noto negli ambienti dello spaccio con il nome Sisko, è uno degli assassini. E mentre in udienza ha fatto scena muta, ha confidato al suo avvocato: «Non mi sarei mai permesso neanche di toccare Desirée... si vedeva che era una bambina». Il senegalese Mamadou Gara detto Paco, 27 anni, invece, ha ammesso di avere avuto un rapporto sessuale con la piccola quella sera. «Avevamo una storia, ma mi aveva detto di essere più grande, di avere 22 anni», ha riferito in questura. Ora lo definiscono un fidanzato.
In realtà, secondo gli investigatori, quelle ammissioni le ha fatte per tentare di trovare una scappatoia giudiziaria: «Non l'ho stuprata», si è difeso davanti ai magistrati. E poi ha aggiunto: «Era viva quando sono andato via». Una delle amiche di Desirée ha detto ai poliziotti che la ragazzina andava da lui per prostituirsi in cambio di droga. E anche lui ha scelto di tenere le labbra serrate davanti al gip. L'unico che ha provato a chiarire, ieri mattina, è stato il senegalese Brian Minteh, 43 anni: «Io non c'entro nulla con questa storia. Non sono stato io, sono stati altri». E ha fornito altri nomi, sui quali ora sono in corso accertamenti. Il gip Maria Paola Tomaselli ha convalidato i fermi, riservandosi di decidere sulla possibilità di emettere un'ordinanza di custodia cautelare.
Il caso Desirée ha infiammato la piazza romana. La manifestazione contro il degrado è stata usata contro il sindaco Virginia Raggi. Lo slogan scelto per il presidio davanti al municipio era «Roma dice basta». Ai cori «dimissioni» hanno preso parte alcuni esponenti dem. Difendono il quartiere San Lorenzo, invece, l'Anpi e le associazioni dell'ultrasinistra, che hanno manifestato a meno di mille metri dal presidio di Forza nuova. Il luogo che si è trasformato nella scena del crimine in cui è stata uccisa Desirée, stando agli antifascisti, è lo «storico luogo di tradizioni democratiche, zona popolare e operaia della città, che alla resistenza ha dato molti dei suoi figli e deve continuare a essere un luogo dove i valori di libertà e solidarietà e dove i principi costituzionali siano sempre affermati, ribaditi e applicati». Insieme a quelli di legalità e giustizia, dimenticati dai manifestanti, ma in questi giorni richiesti a gran voce dai cittadini.
Fabio Amendolara
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Desirée uccisa da migranti, ma Anpi e soci pensano al razzismo. Laura Boldrini chiede più sicurezza. Dovrebbe dirlo alle sue risorse. L'orrore raccontato dal testimone: «L'hanno stuprata per divertirsi». Le belve avrebbero impedito di chiamare i soccorsi: «Lasciamo morire 'sta tossica». Lo speciale comprende due articoli. Sapete come si evitano altri massacri come quello di Desirée o di Pamela? Semplice, tramite «presidi di antifascismo e democrazia» nei quartieri. Lo hanno spiegato ieri, durante la manifestazione organizzata dall'Anpi a Roma, nel quartiere San Lorenzo, dove la ragazzina di 16 anni originaria di Cisterna di Latina è stata segregata per due giorni, drogata fino allo sfinimento, stuprata per ore e infine ammazzata. I partigiani erano lì, con tutto il corredo: bandiere della Cgil e del Pd, canzoni dei Modena City Ramblers, magliette rosse. Più che ricordare un'adolescenza spazzata via dalla faccia della Terra, sembrava che stessero berciando contro il governo razzista. Quella dell'Anpi, però, non era mica l'unica sfilata. Sempre nella Capitale, in piazza del Campidoglio, c'era un'altra manifestazione al grido di «Roma dice basta». Anche qui progressisti assortiti, ma pure radicali e perfino qualche esponente di centrodestra. Tutti insieme appassionatamente contro Virginia Raggi. E mentre a Roma la folla berciava contro il degrado, in altre regioni italiane Ong, associazioni, Caritas, Arci, Sant'Egidio e compagnia zufolante si esibivano per le strade contro il «razzismo» e il decreto sicurezza voluto da Matteo Salvini. Un allegro sabato combattente, insomma. È un curioso cortocircuito psichiatrico, quello della sinistra italiana. Scende in piazza a protestare contro i danni che lei stessa ha causato. Tanto varrebbe che i militanti restassero a casa a insultarsi davanti allo specchio. La perfetta incarnazione di questo atteggiamento la ritroviamo in Laura Boldrini. L'ex presidente della Camera ieri ha scritto su Twitter: «Anziché trasformare il dolore per la povera Desirée in un set cinematografico il ministro Salvini lavori nel suo ufficio e metta in campo misure concrete per la sicurezza. Io sto coi cittadini e le cittadine che non sopportano più degrado, incuria e violenza». Vediamo se abbiamo capito bene. A Roma un gruppo di immigrati clandestini - schifosi che abbiamo fatto entrare, abbiamo accolto e pure dotato del permesso umanitario perché fossero tutelati - ha imbottito di droghe, brutalizzato e straziato una ragazzina sedicenne. E Laura Boldrini si lamenta di tutto questo con Salvini? Osa parlare di «degrado, incuria e violenza»? Lei che voleva cancellare il reato di clandestinità? Lei che celebrava le «risorse» e le dipingeva come l'«avanguardia del nostro futuro»? Per la serie: la vergogna, questa sconosciuta. Del resto - a proposito di strumentalizzazioni politiche - sono alcuni giorni che Madama Laura le spara grosse. Mercoledì, per esempio, ha scritto un pensiero rivolto alla sventurata Desirée: «Sei finita in una tana di esseri disumani e non riesco nemmeno a immaginare il dolore che staranno provando i tuoi famigliari. Spero che chi ti ha fatto così tanto male la paghi cara e venga punito come merita». Giusto: solo che a «fare tanto male» a questa piccola donna sono stati gli immigrati che la Boldrini ha incensato per anni. Ecco, questo è il livello della sinistra italica. Manifesta contro il degrado e contro la violenza, ma è stata lei a produrli. Si straccia le vesti contro il razzismo, ma tace sui crimini degli immigrati. Giusto ieri, mentre la Boldrini se la prendeva con Salvini e i suoi amici delle Ong sfilavano, abbiamo avuto notizia dell'ennesima violenza. A Ragusa, un mediatore culturale del Gambia di 26 anni ha aggredito, violentato e poi picchiato per ridurla al silenzio una richiedente asilo del centro di accoglienza in cui prestava servizio. I «mediatori culturali» sono le figure di cui, secondo i progressisti, abbiamo assoluto bisogno. Gli stranieri che aiutano altri stranieri ad ambientarsi nel nostro Paese. Sono il canale di trasmissione fra la nostra cultura e la loro. Beh, a quanto pare questo signore del Gambia ha dato una bella dimostrazione di quale sia la sua cultura: quella dello stupro. Ovviamente, però, di queste storie vomitevoli gli impegnati manifestanti non parlano mai. A loro interessano l'antifascismo, il razzismo, la discriminazione. Ce l'hanno con la Lega, con i 5 stelle, con i fascisti e gli altri soliti babau. A seviziare e a uccidere le ragazzine, però, non sono i razzisti. Ad avvelenare giovani e giovanissimi con la droga non sono i perfidi fasci. E intanto che le ridenti associazioni umanitarie mettono in scena le loro danze macabre nelle piazze, le violenze continuano, le morti aumentano. Sono l'eredità dei passati governi, il frutto di una dominazione culturale che ci ha schiacciato per anni. La sinistra vuole protestare? Se la prenda con sé stessa. È lei la madre del degrado. Francesco Borgonovo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-sinistra-in-piazza-piange-sul-degrado-che-ha-prodotto-lei-2615723870.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lorrore-raccontato-dal-testimone-lhanno-stuprata-per-divertirsi" data-post-id="2615723870" data-published-at="1765632422" data-use-pagination="False"> L’orrore raccontato dal testimone: «L’hanno stuprata per divertirsi» I lividi sulle braccia e sulle gambe provano che è stata immobilizzata. Le lesioni nelle parti intime dimostrano che è stata violentata ripetutamente. Le tracce biologiche di più persone dicono chiaramente che Desy, stordita da un mix di droga e psicofarmaci, è stata vittima del branco di belve che l'ha anche seviziata, come indica la bruciatura di sigaretta che le è stata trovata addosso. I predatori africani dal permesso umanitario, che per gli investigatori sono gli assassini di Desirée Mariottini, 16 anni, la ragazza di Cisterna Latina morta nel palazzo occupato di via dei Lucani a Roma, quartiere San Lorenzo, stando ai risultati dell'autopsia e al materiale investigativo raccolto dalla Procura, hanno avuto per ore il totale controllo della vittima. Il movente? Lo svela uno dei tossici presenti, che ora è diventato un testimone: «È stata violentata per divertimento dopo avere assunto eroina». E, emerge dalle testimonianze, quando le belve hanno capito che era in fin di vita, non hanno permesso ad altri di chiamare i soccorsi. «Lasciamola morire 'sta tossica», avrebbe detto uno di loro, stando al racconto di un testimone. Ma ora, come era prevedibile, cercano di salvarsi dal carcere e giocano allo scaricabarile. Per la Procura, che ha chiesto e ottenuto la convalida del fermo, Chima Alinno, nigeriano, 46 anni, noto negli ambienti dello spaccio con il nome Sisko, è uno degli assassini. E mentre in udienza ha fatto scena muta, ha confidato al suo avvocato: «Non mi sarei mai permesso neanche di toccare Desirée... si vedeva che era una bambina». Il senegalese Mamadou Gara detto Paco, 27 anni, invece, ha ammesso di avere avuto un rapporto sessuale con la piccola quella sera. «Avevamo una storia, ma mi aveva detto di essere più grande, di avere 22 anni», ha riferito in questura. Ora lo definiscono un fidanzato. In realtà, secondo gli investigatori, quelle ammissioni le ha fatte per tentare di trovare una scappatoia giudiziaria: «Non l'ho stuprata», si è difeso davanti ai magistrati. E poi ha aggiunto: «Era viva quando sono andato via». Una delle amiche di Desirée ha detto ai poliziotti che la ragazzina andava da lui per prostituirsi in cambio di droga. E anche lui ha scelto di tenere le labbra serrate davanti al gip. L'unico che ha provato a chiarire, ieri mattina, è stato il senegalese Brian Minteh, 43 anni: «Io non c'entro nulla con questa storia. Non sono stato io, sono stati altri». E ha fornito altri nomi, sui quali ora sono in corso accertamenti. Il gip Maria Paola Tomaselli ha convalidato i fermi, riservandosi di decidere sulla possibilità di emettere un'ordinanza di custodia cautelare. Il caso Desirée ha infiammato la piazza romana. La manifestazione contro il degrado è stata usata contro il sindaco Virginia Raggi. Lo slogan scelto per il presidio davanti al municipio era «Roma dice basta». Ai cori «dimissioni» hanno preso parte alcuni esponenti dem. Difendono il quartiere San Lorenzo, invece, l'Anpi e le associazioni dell'ultrasinistra, che hanno manifestato a meno di mille metri dal presidio di Forza nuova. Il luogo che si è trasformato nella scena del crimine in cui è stata uccisa Desirée, stando agli antifascisti, è lo «storico luogo di tradizioni democratiche, zona popolare e operaia della città, che alla resistenza ha dato molti dei suoi figli e deve continuare a essere un luogo dove i valori di libertà e solidarietà e dove i principi costituzionali siano sempre affermati, ribaditi e applicati». Insieme a quelli di legalità e giustizia, dimenticati dai manifestanti, ma in questi giorni richiesti a gran voce dai cittadini. Fabio Amendolara
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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