
All’inizio Pd, Verdi, M5s e i giornali d’area hanno criticato i «villani»: «Questi egoisti si devono adeguare alla transizione ecologica, altrimenti il conto lo pagheremo tutti». Adesso provano a strumentalizzarli, sperando che uno schizzo di fango colpisca Giorgia Meloni.Partito (e giornale) che vai, trattore che trovi. Sembra proprio che la protesta degli agricoltori attualmente in marcia verso Roma piaccia a fasi alterne, a seconda del bersaglio a cui sono rivolti gli attacchi dei contestatori. Se nel mirino ci sono le politiche fiscali del governo e le sfilate contadine possono mettere in difficoltà il ministro Francesco Lollobrigida e Giorgia Meloni, allora vale la pena spingere sul dissenso delle campagne, e i lavoratori della terra diventano classe oppressa da proteggere. Ma se la rabbia si orienta verso Bruxelles e le norme comunitarie - le stesse che i partiti progressisti accettano volentieri da anni, sempre pronti a chinare il capo - allora il vento cambia, e il trattore in tangenziale risulta più indigesto. Prendiamo il Movimento 5 stelle. Non molto tempo fa rivendicava entusiasta: «Grazie al via libera della Commissione Ue alla riforma della Pac presentata dall’Italia aiutiamo le piccole e medie aziende agricole». Bravissimi, ma allora perché oggi tentano di cavalcare la protesta agricola che rifiuta proprio quella riforma? Il pentastellato Carlo Gubitosa grida sdegnato che «chi lavora realmente, tutti i giorni, a tutela dei nostri territori e nei campi è costretto a protestare nelle strade. Dobbiamo smetterla di consentire a questo esecutivo di scaricare totalmente le colpe sull’Europa». E Giuseppe Conte ci mette il carico: «Lega e Fdi non cerchino altri colpevoli, hanno aumentato le tasse». L’avvocato dimentica solo un dettaglio: che il governo avrà pure pasticciato sull’Irpef (con spazio di manovra per invertire la rotta, per altro), ma i danni grossi li fa l’Ue di Ursula a cui il suo partito ha dato volentieri corpo. Persino più grottesca la posizione di Elly Schlein, la quale cerca disperatamente di aggrapparsi al trattore, prendendosela con le destre di governo: «Continuano a dire che la protesta è contro altri, è contro l’Europa non è contro di loro», sentenzia. «Ma come al solito non si assumono le loro responsabilità di avere voltato le spalle al settore agricolo». Oddio, il tentativo di ritirare la frittata è quasi comprensibile: i dem sono in notevole imbarazzo poiché hanno fortemente voluto la riforma della politica agricola europea all’origine delle sommosse. Sul sito del partito sono ancora visibili i comunicati con cui esultavano perché «la Pac è una rivoluzione e non solo greenwashing». Vagamente patetico. Non che sul fronte mediatico vada molto meglio. Repubblica fornisce ottimi esempi di strabismo politico. Da un lato consente a Michele Serra (a suo modo un esponente della categoria vista la passione per i campi di lavanda) di beffeggiare i trattoristi, al solito dipinti come padroncini lamentosi che non si rassegnano a obbedire a chi sa come va il mondo. Secondo Serra, i contadini sono soltanto una variazione sul tema dell’egoismo, gente attaccata al proprio interesse piccino incapace di rendersi conto che la transizione ecologica bisogna farla, piaccia o non piaccia. Tanto che il nostro si spinge a vagheggiare una distopica imposizione della tagliola green, poiché se nessuno oggi paga il conto «alla fine lo pagheremo tutti insieme, quelli con il trattore e quelli senza». Per la serie: cominciate a pagare voi senza fare storie che poi io mi accodo. D’altro canto, però, il giornale partito della sinistra italica scorge negli odiati villani un utile grimaldello con cui tentare di scardinare il portone di Palazzo Chigi. «La protesta dei trattori imbarazza sempre di più il governo», gongola Repubblica. «La premier Meloni e il cognato d’Italia e ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida sanno che il movimento degli Agricoltori traditi che parla con più voci, inclusa quella dell’ex forcone Danilo Calvani, non è gestibile e non si fidano a lasciare agli animatori dei cortei nelle città i riflettori di un evento popolare come Sanremo. Nel mirino della protesta infatti non c’è solo l’Europa cattiva con le sue norme per la transizione verde e i vincoli all’erogazione dei sussidi comunitari, ma anche il governo di destracentro che dopo anni di campagna elettorale contro Bruxelles “non sta facendo nulla”, accusano, per far valere le ragioni dei piccoli agricoltori. Sarebbe un duro colpo sentirselo dire in diretta tv, davanti a milioni di spettatori». Chiaro: i protestatari fanno un po’ schifo e non hanno ragione, ma se tornano buoni per tirare letame sull’esecutivo allora occorre dare loro dello spago. E così si evocano malumori e oscure trame destrorse per impedire l’approdo a Sanremo di mucche e balle di fieno. Intendiamoci: che ci siano divisioni e vedute diverse all’interno del fronte contestatario è un fatto. Calvani, il più ruvido agitatore sulla piazza, ex capo dei forconi e ora portabandiera del Comitato agricoltori traditi (Cra), non piace a tutti i colleghi. Anzi alcuni hanno esplicitamente preso le distanze da alcune sue uscite, giudicate estreme e forse controproducenti. Riscatto agricolo, la sigla in cui si riconoscono i nordici e alcuni toscani (e da cui emerge la bresciana Alessandra Oldoni, di cui si è immaginata una ospitata all’Ariston) con Calvani non ha molto da spartire, ma non pare troppo tenero nemmeno con il governo, respingendo tentativi di mediazione. Che ci siano malumori nei confronti delle sigle sindacali, poi, è ormai noto e in qualche maniera i rappresentanti di categoria stanno cercando di ricucire gli strappi. Sono sfumature di rabbia più che comprensibili e in fondo naturali quando una protesta parte dal basso e non dalle stanze di un partito o dalle sedi di un sindacato. Restano però piuttosto chiare le rivendicazioni di tutti. E sarà pur vero che i contadini puntano a farsi alleggerire il peso del’'Irpef, ma è altrettanto vero che le rimostranze più roventi sono nei confronti di Bruxelles. E questa evidenza non va giù alla maggior parte dei media più istituzionali. La Stampa, per dire, affida a Serena Sileoni un angosciato commento sulla retromarcia europea sui fitofarmaci. Il fatto che Ursula von der Leyen abbia mostrato un filino di morbidezza nei riguardi dei trattori, dice il quotidiano torinese, è solo una furberia elettorale e non è opportuno che Bruxelles sia disponibile a trattare, altrimenti altre categorie professionali potrebbero alzare la voce e ribellarsi. Concetto analogo, sulle stesse pagine, viene espresso dalla sempre solerte Veronica De Romanis, la quale invita pure il governo a non transigere sulle tasse ai contadini. Messaggio chiaro: contestare l’Ue rischiando addirittura di alimentare le campagne populiste della destra è cosa inaccettabile, a prescindere dalle ragioni di chicchessia. Persino il Manifesto, che sulle prime sembrava appoggiare gli agricoltori, ora a preso le distanze e, come il Fatto, li accusa di non essere abbastanza sensibili alle questioni ambientali o addirittura asserviti alle lobby e ai perfidi latifondisti. Non appena qualcosa puzza di sovranismo, ne deduciamo, anche i sedicenti nemici del capitale internazionale si danno alla fuga abbandonando le barricate. Il risultato è che la copertura mediatica mette in risalto le divisioni interne e come sempre riduce tutto a scontro miope fra opposti schieramenti italici, a pantomima sanremese sulla mucca Ercolina. A cui qualcuno dovrebbe decidersi a chiedere, una buona volta, se sia di destra o di sinistra o se preferisca votare Terzo polo e mandare tutto in vacca.
Stefano Benni (Ansa)
L’autore di «Bar Sport», poliedrico e ironico come i suoi personaggi, è morto a 78 anni.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
Cristiana Ciacci unica figlia dell’Elvis italiano e la sofferenza per la separazione dei genitori: «Seguire lui ai concerti era il solo modo per stargli vicino. Mamma lo lasciò prima che nascessi. Lei era hostess. E io stavo con le tate».
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.