2021-12-09
E il giudice sentenziò: non si irrita il rapinatore
Il tribunale di Lucca ha negato il risarcimento a una cassiera, vittima di una rapina nel supermercato, per aver «urlato troppo». La donna era rimasta ferita da 200 pallini esplosi da un fucile a canne mozze. Adesso dovrà pagare anche 5.800 euro di spese legalil ladro ti spara? È colpa tua. Ovvio, no? Ora lo dice un tribunale della Repubblica: devi farti derubare in silenzio, magari agevolare il lavoro del delinquente, stendergli un tappeto rosso e offrirgli un caffè mentre ti porta via i soldi. Reazioni (anche solo vocali)? Ribellioni? Urla? Grida? Proteste? Schiamazzi? Non se ne parla nemmeno: le orecchie del ladro sono particolarmente sensibili. Non lo sapevate? Parola di giudice. Durante un furto il malvivente non deve essere infastidito. In nessun modo. Chiaro: non si disturba il manovratore e tanto meno il rapinatore. Altrimenti, se ti spara, vuol dire che te lo sei meritato. Ben ti sta.Avevamo già visto di tutto finora. Avevamo visto leggi assurde per cui la legittima difesa può avvenire solo di notte. Avevamo visto sentenze creative di giudici che stabilivano che per difendersi da una rapina era necessario prima chiedere al ladro «scusi lei è armato e quindi posso difendermi oppure è disarmato e quindi mi devo far strozzare dalle sue mani senza dire bah?». Avevamo visto persone condannate soltanto perché avevano evitato di farsi massacrare. E stupratori assolti perché la ragazza sciaguratamente portava i jeans. Ma è la prima volta che vediamo una sentenza così: stabilisce infatti che una persona ferita durante una rapina non merita di essere risarcita perché, nel suo ruolo di rapinata, non è stata abbastanza accondiscendente con il rapinatore. E dunque quest’ultimo è stato costretto a sparare. Dovrà pur difendere la sua dignità di bandito, no? Ora resta solo da decidere chi difenderà la dignità dello Stato. Se non fosse un decisione di un giudice, infatti sarebbe una barzelletta. Invece, purtroppo, è tutte e due le cose. Succede al tribunale di Lucca. La vittima è la cassiera di un supermercato di Pontremoli, Ombretta Cordoni, 66 anni. Un uomo entra nel negozio. Lui è armato. Lei, ovviamente no. Lui chiede i soldi, lei anziché offrirglieli su un piatto d’argento con accanto the e pasticcini, pensate un po’, si mette a strillare. Lo insulta. Gliene dice quattro. E il ladro che fa? Impugna il fucile a canne mozze e le spara 200 pallini in corpo. La lascia a terra nel sangue e fugge con la refurtiva, ben 400 euro. La cassiera finisce all’ospedale, viene operata. Alcuni pallini le sono entrati nel polmone, respira a fatica. Se la cava, ma ancora adesso, a distanza di anni paga le conseguenze di quella rapina, e dunque ha pensato di chiedere un risarcimento. Ma la sentenza è stata negativa. Motivazione: «Impossibile risarcirla perché è stata troppo aggressiva con i ladri». Ombretta, così, oltre al danno, avrà anche la beffa: le hanno sparato contro 200 pallini e dovrà pagare 5800 euro di spese legali, più varie ed eventuali, senza avere un euro di risarcimento. La prossima volta ci pensa due volte prima di alzare la voce contro un ladro, no? La prossima volta gli stringe la mano, gli dà il benvenuto, «che bello vederla qui, a casa tutto bene?», poi gli chiede dove vuole cominciare a rapinare, dalla cassa o dai portafogli dei clienti, magari lo agevola un po’ nelle operazioni, «guardi le do una mano così fa prima» e poi lo congeda con la dovuta cortesia: «Mi saluti tutti a casa e se non ci vediamo più buone feste». Così si fa, insomma. Capito, signora Ombretta? Invece niente. La cassiera ha osato alzare la voce. Capite? La voce. Quello, in fondo, aveva solo un fucile a canne mozze, mica un kalashnikov e neppure una bomba atomica. E lei, sciagurata, s’è permessa di essere aggressiva nei suoi confronti? Addirittura urlando? Magari pure forte? Magari proferendo pure qualche parolaccia? Non lo sa che le parolacce offendono le orecchie dei ladri? Mica come i fucili a canne mozze che, si sa, sono uno strumento di pace. Ombretta s’è giustificata (eh sì, ha dovuto pure giustificarsi…) dicendo che era spaventata. Ma anche questa mania di spaventarsi, poi, mi pare francamente esagerata. La sentenza alla fine lo esplicita in modo chiaro: quando ti trovi davanti un ladro con un fucile a canne mozze in mano devi mantenere il sangue freddo e non avere paura. In fondo è sempre meno pericoloso che finire davanti a un giudice del tribunale di Lucca.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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