La Schlein cavalca la crisi della Merloni innescata dal Pd quand’era al governo

«Il governo ci sta mentendo e adesso deve dirci la verità», così il segretario del Pd Elly Schlein poche ore fa tambureggiava a Siena alla presenza di qualche decina di lavoratori della Beko in attesa del tavolo con il Mimit. Peccato che nella sua rinnovata veste barricadera, settimana scorsa il leader democratico era a Pomigliano per difendere i dipendenti Trasnova vittima di Stellantis, Elly c’azzecchi poco o nulla. È una questione di stile, vallo a dire a un cassintegrato che per vestirti ti serve l’armocromista e che quando devi attaccare qualcuno della famiglia Elkann all’improvvisa ti va via la voce, ma soprattutto di contenuti. Perché quando la Schlein accusa il governo per i circa 2.000 licenziamenti annunciati dalla multinazionale turca, dimostra di conoscere poco la storia di quella società e degli elettrodomestici in Italia. Oppure di voler nascondere le colpe del Pd rispetto a quello che sta succedendo.
A farla breve, per capire le origini della crisi del gruppo bisogna andare indietro almeno di una decina d’anni. E arrivare al 2014 quando Whirlpool rileva per 750 milioni il 65% della vecchia Indesit dalle mani dei figli di Vittorio Merloni. Ne nasce un colosso del bianco - frigoriferi, lavatrici, lavastoglie e anche televisori -, però dai piedi d’argilla. A breve infatti viene annunciato un piano industriale che a fronte di qualche centinaia di milioni di investimenti prevede la chiusura di tre siti e l’accorpamento di altre due fonti produttive oltre a una profonda ristrutturazione. Morale della favola, più di 600 lavoratori devono restare a casa.
È l’inizio della fine. Qualche anno dopo Whirlpool annuncerà la chiusura dello stabilimento di Napoli che dava lavoro a poco più di 400 persone (licenziate con il riconoscimento di un indennizzo economico) e quindi si arriverà al passaggio ai turchi di Arcelik che controllano appunto Beko. Su questo inglorioso epilogo è ben evidente la firma della sinistra e della famiglia Merloni. In quegli anni infatti Maria Paola, la figlia dell’ex presidente di Confindustria, Vittorio Merloni, è in Parlamento, transitata dal Pd approda a Scelta Civica di Mario Monti, così come anche il governatore marchigiano Gian Mario Spacca è vicino alla famiglia degli imprenditori.
Politica e affari. Un connubio che non sempre fa gli interessi dei cittadini e dei lavoratori. Perché il vero obiettivo di Whirlpool, che decide di sborsare 750 milioni per prendersi la quota dei Meloni (il 64%) in Indesit, è quello acquisire la rete vendita di Merloni/Indesit in Europa e di eliminare un concorrente diretto. Detto fatto. Con il benestare del governo Renzi che aveva come ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi. Evidente il ruolo del Pd dell’epoca che, come detto, si farà passare davanti un pesantissimo processo di ristrutturazione che porterà alla chiusura di diversi siti e al ridimensionamento di qualsiasi progetti di innovazione e sviluppo.
Insomma, quando Indesit e Whirlpool, iniziano la loro inarrestabile parabola discendente, le carte le dava il Pd. E adesso il centrodestra raccoglie i cocci con Beko. Banalizzare e politicizzare troppo le crisi industriali è spesso superficiale, ma in questo caso che una fetta delle colpe siano da ricondurre a una determinata parte politica è evidente. Così come è evidente che la Schlein quando prova a cavalcare l’ondata di protesta dei lavoratori contro il governo dimostra di essere strumentale o di conoscere poco la storia della crisi di cui si sta occupando.
E veniamo all’attualità. Al tavolo di ieri al Mimit. Beko Europe ha riproposto il suo piano di dismissioni confermando i 1.935 esuberi annunciati a fine novembre tra gli stabilimenti di Siena, Comunanza (Ascoli Piceno) e Cassinetta (Varese). Un piano che secondo la multinazionale turca rispetta «il quadro legale e normativo» ed è quindi in linea con il golden power. Anche perché i licenziamenti arriveranno a fine 2025 e comunque il gruppo ha ribadito di voler «mantenere le produzioni attive in Italia, dove vuole conservare una presenza manifatturiera ed operativa stabile e di lungo periodo».
Non la vede allo stesso modo il ministro Adolfo Urso: «Se Beko vuole puntare davvero sull’Italia, lo dimostri presentando un nuovo piano industriale in linea con le prescrizioni della golden power perché quello attuale non è accettabile». Quindi? «Prima di chiudere la vicenda applicando i poteri sanzionatori, o addirittura inibitori, previsti dall’esercizio del golden power, che abbiamo subito posto in essere, penso sia bene dare un secondo tempo supplementare all’azienda», ha avvertito il ministro in vista del nuovo tavolo previsto entro la prima metà di gennaio.
Difficile dire se basterà un mese, quel che certo è che sulla parabola del bianco in Italia, il Pd e la Schlein sono gli ultimi a poterci fare la morale.






