
Per Bruxelles il nostro scostamento dell'1,5% rispetto al Patto di stabilità è senza precedenti. Ma la storia dell'Ue è zeppa di sforamenti. Il più clamoroso ha riguardato la Francia: nel 2009 ha infranto le norme europee dell'1,9%. E non vuole smettere.Sarà un weekend piuttosto caldo in Via XX Settembre, e non solo dal punto di vista atmosferico, considerate le temperature quasi estive che questo scorcio d'ottobre sta regalando alla capitale. Negli uffici del Mef si lavora alacremente per replicare alla durissima lettera inviata giovedì sera dalla Commissione europea. La missiva, firmata dal vicepresidente Valdis Dombrovskis e dal commissario agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, denuncia una «violazione grave e manifesta delle raccomandazioni adottate dal Consiglio ai sensi del Patto di stabilità e crescita, il che rappresenta motivo di una seria preoccupazione per la Commissione Europea». Fonti vicine a Palazzo Chigi hanno fatto sapere ieri che la risposta sarà consegnata ai funzionari di Bruxelles entro il termine previsto, cioè lunedì mattina all'ora di pranzo. «La palla ora passa a Roma», ha detto Moscovici in conferenza stampa al termine della sua visita in Italia, aggiungendo che «dialogare è fondamentale, sappiamo tutti che la questione è delicata non abbiamo interesse a creare ulteriori tensioni».Al di là delle frasi retoriche, il tono della lettera non lascia scampo alle interpretazioni. Lo dimostra l'altalena dello spread nella giornata di ieri. Dopo un'apertura nervosa con l'indice che arriva a superare i 340 punti base, il differenziale con i bund tedeschi ha chiuso a 311 bps (giovedì la seduta si era chiusa a 325 bps). In cauta discesa anche i rendimenti dei Btp decennali, che concludono la giornata a 3,59 (contro i 3,69 del giorno prima). La giornata registra anche il durissimo intervento del cancelliere austriaco Sebastian Kurz, presidente di turno del semestre europeo: «Come Unione europea, non siamo disposti ad accettare il rischio di caricarci questo debito per l'Italia», ha affermato Kurz arrivando al vertice Ue-Asia a Bruxelles. Entrando nel merito dei rilievi mossi dalla premiata ditta Dombrovskis-Moscovici, la contestazione riguarda sia la previsione di espansione inserita nel Documento programmatico di bilancio (Dpb) prossima all'1% del Pil («ove il Consiglio ha invece raccomandato al Paese un miglioramento del suo saldo strutturale»), sia «l'entità della deviazione» pari a circa l'1,5% del Pil. Il combinato disposto di questi due fattori, secondo la Commissione europea, non ha «precedenti nella storia del Patto di stabilità e crescita». Oltre allo strappo sul deficit, Bruxelles stigmatizza ovviamente anche l'alto debito pubblico. «I piani dell'Italia», si legge nel documento inviato al ministro Tria, «non garantirebbero la riduzione del debito concordata tra tutti gli Stati membri, la quale richiede una costante riduzione del debito pubblico verso la soglia del 60% del Pil stabilita dai trattati».Ma è proprio vero che la sbandata dell'Italia dalle regole europee non ha precedenti? Il Patto di stabilità, stipulato nel 1997, integra una serie di norme per prevenire le conseguenze negative delle politiche di bilancio e correggere gli squilibri legati a eccessivi livelli di debito pubblico. Le regole da rispettare sono due: tenere il deficit sotto il livello del 3% sul Pil, e il debito pubblico entro il 60%. Se consideriamo l'Unione europea a 28 Paesi, nel decennio che va dal 2008 al 2017, lo sforamento del deficit si è verificato ben 126 volte (pari al 45% dei casi). C'è cascata anche la Germania, che nel 2009 ha toccato il 3,2%. Non mancano i casi più eclatanti, come quello che ha coinvolto la Francia nel 2009. Nel febbraio di quell'anno, Parigi inviava una lettera alla Commissione indicando la previsione di deficit al 4,4% sul Pil per l'anno in corso e del 3,1% per il 2010. Previsioni giudicate però poco realistiche. «Lo sforamento del 3% non è temporaneo», si legge nella lettera inviata da Bruxelles ad aprile, a prescindere dagli effetti della crisi, «sin dal 2002 il deficit francese è sempre stato alto, e comunque sopra o molto vicino alla soglia del 3%». Secondo la Commissione, le stime di crescita del governo francese non tenevano conto dello scenario macroeconomico in fase di peggioramento. Per questo motivo, la previsione del deficit veniva rivista dai funzionari al 5,4% nel 2009 e al 5% nel 2010. Uno scostamento, già in fase preventiva, dell'1,9% sul Pil rispetto a quanto calcolato da Parigi, dunque una cifra superiore all'1,5% che oggi ci contestano Dombrovskis e Moscovici. A ben vedere, le cose andarono pure peggio. Dati Eurostat alla mano, infatti, la Francia chiuse il 2009 con un deficit del 7,2% (+2,8% rispetto alle previsioni del governo e +1,8% rispetto alle stime della Commissione) e il 2010 al 6,9% (rispettivamente +3,8% e +1,5%).Ma la storia europea recente è costellata di procedure per deficit eccessive, aperte e poi chiuse con la promessa di riforme strutturali e interventi fiscali. Solo quest'anno la Francia potrà permettersi un deficit più alto del nostro, per aver inserito misure fiscali eccezionali che avranno ripercussioni (almeno così dicono) temporanee sul bilancio. Se c'è un peccato che si può attribuire al nostro governo è quello di aver messo nero su bianco numeri che vanno nella direzione opposta di quanto richiesto dall'Europa, senza accampare trucchetti contabili. Una decisione coraggiosa ma dalle conseguenze difficilmente prevedibili.
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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