2022-07-08
La rivendicazione sindacale di Battisti dalla prigione: «Non mi fanno insegnare»
Il terrorista sta già frequentando un corso di scrittura creativa nel carcere di Ferrara. Ma vorrebbe esserne il docente. E frigna anche perché non può scegliersi i compagni. Non può insegnare scrittura creativa, capite? Come è possibile tollerare questo abuso? Come è possibile che perduri questa situazione insopportabile? Non è configurabile quasi come tortura? Cesare Battisti, terrorista dei Pac, proletari armati per il comunismo, condannato all’ergastolo per quattro omicidi dopo 40 anni da latitante in giro per il mondo, rilascia la sua prima intervista da detenuto alla Nuova Ferrara. E lo fa per rivendicare i suoi diritti che ritiene calpestati dallo Stato italiano. A cominciare da quello, fondamentale, di fare l’insegnante in un corso di scrittura creativa. «Sono diritti che mi appartengono per legge», rivendica con forza. E si capisce: gli appartengono per legge. Un po’ come i diritti di Andrea Campagna, Andrea Santoro, Pierluigi Torregiani e Lino Sabbadin, le persone che ha ammazzato. E che ora, a differenza sua, possono permettersi un’unica scrittura creativa: quella sulla lapide del cimitero. Si badi bene: Cesare Battisti sta già frequentando un corso di scrittura creativa nel carcere di Ferrara. Ma lo frequenta, per l’appunto. Da studente. Non può insegnare. Non è un’offesa terribile per uno scrittore come lui, che per altro uscirà a ottobre con una nuova opera (L’ultima Duma)? Poi c’è un altro problema: il corso di scrittura creativa può frequentarlo soltanto insieme con i quattro detenuti dello stesso reparto di sicurezza. Non può scegliersi i compagni, capite? Non è forse una cosa terribile? Qualcosa che ricorda la peggior Alcatraz? Vogliamo dare la possibilità a questo pover’uomo, che in fondo ha solo ammazzato quattro persone ed ha fatto 40 anni la bella vita da latitante, di seguire i corsi di scrittura creativa con chi vuole lui? E di portarsi qualche amichetto, appositamente scelto, anche quando va nell’orto? E già, c’è anche questo problema: Cesare Battisti, nel carcere di Ferrara, coltiva l’orto da solo. Nemmeno uno che gli regga la zappa. Come si fa? «La mia battaglia è quella di sottrarmi al regime carcerario As2», dice Battisti. Non dice: «La mia battaglia è farmi perdonare». Non «capire i miei errori». Non «rimediare ai crimini commessi». No. La sua battaglia è sottrarsi «al regime carcerario As2». La prima intervista da detenuto, insomma, ha i toni di una rivendicazione sindacale: l’ex terrorista latitante non vuole essere più «altamente sorvegliato». Gli dà fastidio. Ci tiene a far sapere che, da quando è stato condannato, è già riuscito a ottenere (buon per lui) più colloqui, più telefonate, più contatti con i familiari e anche un carcere migliore rispetto a Oristano e Rossano Calabro, dov’era prima. Ma rimane «altamente sorvegliato» e questo non gli va giù perché così può frequentare solo gli altri detenuti dello stesso reparto e perché ha delle limitazioni, come per l’appunto quella di poter frequentare un corso di scrittura creativa ma non di insegnare. Per carità: è legittimo che chi sta in carcere cerchi di migliorare la sua posizione, come qualsiasi altra persona. La domanda è quanto sia opportuno che, nel caso di Battisti, tutto ciò avvenga, anziché tramite le procedure apposite e le richieste degli avvocati, attraverso un’intervista a nove colonne sul giornale. Con la consueta arroganza, per altro. Per esempio, dopo aver da sempre infranto comunque ogni legge, ora si richiama con forza ad essa dicendo che la legge cui fa appello «è la stessa cui mi sono affidato accettando la sentenza». Come se accettare la sentenza, dopo quattro omicidi, furti, rapine e 40 anni di latitanza dorata, fosse un suo favore personale. Una concessione. E le vittime? Appena un accenno, Soffocato come sempre dall’egotismo. «Potrei tentare di assumere una parte del loro dolore se lo permettessero», dice. Una parte del loro dolore. Potrebbe assumerlo. Adesso si sente pronto. Per quarant’anni no. Perché, sentite che cosa arriva a dire, a lui «il diritto al dolore è stato negato». Gli abbiamo negato il diritto al dolore, capite? Oltre ad avergli negato la cattedra al corso di scrittura creativa. Siamo proprio dei bastardi. Noi. Lui invece, ora è una vittima degli «abusi». E ai tempi in cui ammazzava, soltanto un «giovane imbranato» (testuale). Tanto imbranato che pensava di non farcela «a sopravvivere dovendo caricare anche il peso della colpa». Già, poveretto: aveva già ammazzato, doveva pure assumere il peso della colpa? E come avrebbe fatto a sopravvivere sulla rive gauche di Parigi, cocktail e ville lumière, se avesse avuto «il peso del senso di colpa»? Come avrebbe fatto a spassarsela nel bel mondo degli intellò, nei circoli letterari, con i compagni del Brasile o sulle spiagge del Messico? Non so come Battisti ora pensi di «assumere una parte del dolore delle vittime» dopo 40 anni di sorrisi beffardi in giro per il mondo. Ma il resto della chilometrica intervista lascia il dubbio che lui sia pronto davvero a farlo. Di vero pentimento, infatti, non si vede ancora l’ombra. Di riconoscimento degli errori neppure. È tutto un’accusa contro l’arresto («gogna di Stato»), contro l’estradizione («illegalità»), contro la detenzione («abuso»), contro la ricostruzione dei suoi omicidi («spacciatori di falso storico») e contro le sentenze («Battisti non può essere il mandante di nessuno»), con tanto di imbarazzante distinguo («nei confronti di Torregiani e Sabbadin la maggioranza del Pac, me compreso, aveva deciso di procedere solo al ferimento»). Caspita: avevano deciso solo di ferirli e poi li hanno ammazzati. Sembra quasi stupirsi che nessuno gli faccia i compimenti. O gli dia una medaglia. Si sente trattato da «mostro», lui povero ex ragazzo imbranato, soltanto perché ha ucciso quattro persone e poi se n’è andato a zonzo per il globo facendosi beffe del sangue sparso in Italia mentre noi, brutti stronzi che siamo, gli negavamo il «diritto al dolore». E ora gli neghiamo pure di scegliere con chi coltivare pomodori. E gli proibiamo di insegnare scrittura creativa. Il tutto perché, dice, «gli viene sistematicamente impedito di esprimersi». Gli viene sistematicamente impedito di esprimersi, vi rendete conto? Lo dice mentre rilascia un’intervista a nove colonne e dopo 40 anni in cui ha potuto parlare liberamente con chiunque e dovunque. E dimenticando che gli unici a cui è «sistematicamente impedite di esprimersi», da sempre, sono quelli che lui ha mandato al Creatore.
Caterina Interlandi, presidente vicario del tribunale di Tempio Pausania (Imagoeconomica)
Julius Evola negli anni Venti (Fondazione Evola)