2021-05-19
La riforma sabotata da Conte e Pd
Dalla prescrizione alla possibilità di presentare appello da parte dei pm, sono gli orfani di Alfonso Bonafede e il perennemente indignato Enrico Letta a far barriera alle proposte di Marta Cartabia«Siamo realisti, non sarà questa maggioranza a fare la riforma della giustizia». Questo ha detto due giorni fa Matteo Salvini. Che la riforma della giustizia divida i partiti di maggioranza è una verità incontrovertibile. Eppure, l'uscita del leader leghista ha mandato su tutte le furie il segretario del Partito democratico, Enrico Letta: «Se Salvini dice che non si fanno le riforme», ha tuonato, «ne tragga le conseguenze ed esca da questo governo, che è fatto per fare le riforme». Ma la riforma «campale» cui sta lavorando il guardasigilli, Marta Cartabia, non può andare bene a destra e a sinistra. Sì, è vero: oggi i partiti (a parole) sono d'accordo sui principi generali. Per esempio sul fatto che i processi civili e penali debbano essere più veloci, o che servano più risorse, o che accusa e difesa vadano poste sullo stesso piano. Non appena dai principi generali si passa al concreto, però, ecco che partono le sciabolate. Con buona pace di Letta, però, a mettersi di traverso sul cammino delle riforme ipotizzate dalla Cartabia non è la Lega di Salvini, ma il Movimento 5 stelle. E anche il suo Pd, spesso, storce il naso, oppure nicchia. Prendiamo la prescrizione. In base al programma del M5s andava abolita (un po' come Luigi Di Maio credeva di poter fare con la povertà) e così nel dicembre 2018 il ministro grillino della Giustizia Alfonso Bonafede impose all'allora alleato leghista la legge Spazzacorrotti, dove si stabiliva che a partire dal gennaio 2020, dopo la sentenza di primo grado, nessun reato si sarebbe più prescritto. Ora il ministro Cartabia cerca di reintrodurre almeno in parte l'antica, ma fondamentale, garanzia. Le proposte che il ministro ha posto sui tavoli dei partiti sono due. La prima prevede che la prescrizione s'interrompa per due anni dopo una condanna in primo grado, e per un anno dopo una condanna in appello. Se però entro quelle due scadenze non dovessero arrivare le sentenze, la sospensione della prescrizione cesserebbe e il calcolo ripartirebbe retroattivamente dal momento in cui si era interrotto. La seconda proposta è più draconiana: il calcolo della prescrizione comincerebbe non più dall'iscrizione al registro dell'indagato, com'è oggi, ma dalla richiesta di rinvio a giudizio. Se però ogni fase del processo dovesse superare determinati limiti temporali (4 anni per il primo grado, 3 in appello e 2 in Cassazione) ogni reato diventerebbe «improcedibile». Quindi, di fatto, verrebbe introdotta una prescrizione generale dopo nove anni di processo. Ebbene: oggi, nella maggioranza che sorregge Draghi, chi sta facendo barriera contro queste proposte di riforma? Certamente non la Lega, né Forza Italia, né Azione, né Italia viva, che sono favorevolissimi. Il M5s, invece, le ha definite testualmente «irricevibili». Mentre il Pd dell'indignato Letta resta vago e manovra in cerca di modifiche «contenitive». Lo stesso accade con altre proposte del ministro Cartabia. Per esempio la compressione della possibilità da parte dei pubblici ministeri d'impugnare le sentenze in appello, che non piace affatto né al Pd del solito Letta né ai grillini perché la considerano «punitiva» nei confronti delle Procure e perché ricorda loro la legge che portava la firma di Gaetano Pecorella, giurista e parlamentare forzista, e venne varata nel 2006 sotto un governo di Silvio Berlusconi. Tanto che Enrico Costa, deputato di Azione e tra i più favorevoli alle riforme Cartabia, dice alla Verità: «Il Pd purtroppo ha posizioni ambigue, e non si capisce se sia favorevole alle riforme o se voglia fare il gioco dei grillini». Certo, è vero poi che Salvini il 6 maggio ha annunciato il sostegno della Lega ai dieci referendum sulla giustizia che i radicali stanno elaborando: alcuni dei quesiti puntano ad accrescere la responsabilità civile dei magistrati e a evitare abusi nella custodia cautelare. Anche qui, la sinistra si è sbracciata per far passare la mossa di Salvini come uno «sgambetto» al ministro della Giustizia e addirittura una «spallata» al governo. Ma il capo della Lega ha spiegato, al contrario, che le proposte della Cartabia gli interessano, eccome. E che il referendum è solo un'arma di riserva «se la maggioranza non troverà un accordo su riforme necessarie e urgenti», proprio come quelle sulla giustizia. Un'eventualità purtroppo concreta, se «coi loro attacchi quotidiani alla Lega, il Pd e il M5s continueranno a mettere in difficoltà Draghi e l'azione del governo». Difficile dargli torto.
Jose Mourinho (Getty Images)