2020-07-07
La ricetta Ue contro il calo demografico: sfruttare gli anziani
Ursula von der Leyen (Pool/Getty Images)
L'Unione invecchia. La Commissione incentiva le nascite? No, vuole fare lavorare di più gli over 65 e puntare sui migranti.Il calo del personale e Quota 100 stanno prosciugando la Pa. E aumenta pure la spesa.Lo speciale contiene due articoli.Invecchiamo e non nascono bambini, già lo sapevamo, ma l'Unione europea propone due sole soluzioni: far lavorare i migranti, così potranno fare più figli, e gli ultrasessantacinquenni. Politiche, incentivi per sostenere le famiglie e incentivare la natalità non se ne trovano, nella prima Relazione della Commissione al Parlamento europeo sull'impatto dei cambiamenti demografici, pubblicata a metà giugno e passata nel silenzio pressoché generale. Il rapporto, il primo voluto dalla presidente Ursula von der Leyen, fotografa i profondi cambiamenti tra le persone e sulla società, giungendo a conclusioni paradossali per il futuro della popolazione europea» che «continua a diminuire rispetto a quella mondiale». La relazione si apre con una buona notizia: «Gli europei vivono in media per un periodo più lungo, in buona salute», l'aspettativa di vita è aumentata di circa dieci anni e nel 2070 dovrebbe essere di 86,1 anni per gli uomini (era di 78,2 nel 2018), di 90,3 anni per le donne rispetto agli 83,7 dello stesso anno. Non è così dappertutto, a livello nazionale «oscilla tra 83,5 anni in Spagna e 75 anni in Bulgaria», precisa il rapporto Ue. Un cittadino europeo vive in buona salute circa 64 anni, uno svedese 73 anni, un lettone 51, il dato «varia in maniera significativa in base al luogo in cui si vive». Quasi la metà degli anziani presenta una disabilità, «la loro qualità di vita dipende da quanto siano inclusive e accessibili le nostre società e l'ambiente». Crescerà negli anni il numero di persone over 65 destinate a vivere da sole, soprattutto le donne. Nel 2070, si stima che il 30% delle persone avrà un'età uguale o superiore a 65 anni (oggi è il 20%), mentre raddoppierà quella over 80, attestandosi al 13%. Diminuirà, quindi, la popolazione in età lavorativa (20-64 anni), che subirà una contrazione del 18%. Che cosa fare, dunque, per attenuare l'impatto dei cambiamenti demografici sulla forza lavoro? La relazione della Commissione suggerisce di «incrementare il tasso di occupazione delle donne», non offre alcuna soluzione ma rassicura: ci sta pensando, anche per superare il divario retributivo di genere che si assesta al 14,8%. Però ha un'idea chiara, geniale, bisogna fare lavorare di più chi ha già compiuto 65 anni. Il delirio a firma von der Leyen si concentra in tre righe: «Sarebbero necessarie politiche che consentano alle persone di lavorare più a lungo, di rimanere in buona salute e mantenere le loro competenze aggiornate, oltre a riconoscere competenze e qualifiche nuove». Con buona pace delle giovani generazioni, per le quali mai fu intonato un de profundis più mesto. Il rapporto riesce a fare di peggio, se possibile. Invece di indicare come incrementare la produttività, come dare più lavoro ai cittadini europei, suggerisce di aumentare il tasso di occupazione degli immigrati perché «è di 9,6 punti percentuali inferiore rispetto a quello delle persone nate nell'Ue», riferendosi alle persone nate fuori dall'Unione e alla «situazione dei cittadini di Paesi terzi». Se gli europei sono sempre più anziani e meno numerosi, forse Bruxelles poteva almeno provare a ad affrontare il problema natalità al quale invece dedica solo un piccolo paragrafo, senza suggerire cambiamenti di rotta sul piano legislativo e quindi finanziario. Dagli anni Sessanta, nel Vecchio continente è diminuito il numero medio dei figli per donna, nel 2018 il tasso di fecondità si è assestato a 1,55 figli, valore inferiore a quel 2,1 richiesto per mantenere stabile la popolazione in assenza di immigrazione. In alcune zone d'Europa, come la nostra Sardegna, il dato è addirittura inferiore a 1,25 per donna. Si mettono al mondo meno creature, dal 2012 i decessi superano ogni anno le nascite e nel 2070 è previsto che «il numero di minori e giovani (0-19 anni) diminuisca di 12,6 milioni». Poteva essere l'occasione giusta per lanciare le linee di una politica sulla natalità, invece il rapporto evidenzia l'importanza dei migranti, senza i quali «la popolazione europea avrebbe già iniziato a diminuire». Al primo gennaio 2019, i cittadini di Paesi terzi che vivevano in Ue erano 21,8 milioni (4,9% della popolazione totale), questo significa che dal 1961 al 2018 «l'Europa è stata un continente di immigrazione netta». Eppure, se oggi nei Paesi Ue risiedono 447 milioni di persone e tra cinque anni arriveranno a 449 milioni, a partire dal 2030 inizierà il calo e nel 2070, malgrado i flussi migratori, gli abitanti saranno 424 milioni (-5% in cinquant'anni). Addio Europa? Il rapporto segnala che rispetto alla popolazione globale, i cittadini Ue erano il 12% nel 1960, oggi rappresentano il 6% e tra cinquant'anni saranno meno del 4%, mentre gli africani passeranno dal 9 al 32% e il loro sarà il continente più giovane. Anche il Pil europeo cala, dal 18,3% al 14,3% del Pil globale e la relazione avverte: «A fronte di una riduzione della popolazione in età lavorativa, tale tendenza rischia di continuare o addirittura accelerare». C'è da preoccuparsi, eccome, ma da Bruxelles arriva questa stupefacente conclusione: «Gli Stati membri diventeranno operatori economici di dimensioni minori, ma collettivamente l'Ue continuerà ad essere un attore economico, politico e diplomatico importante». In quale maniera, ancora non sono stati capaci di spiegarcelo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-ricetta-ue-contro-il-calo-demografico-sfruttare-gli-anziani-2646351488.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sos-pubblico-impiego-tra-12-mesi-piu-pensionati-che-dipendenti-attivi" data-post-id="2646351488" data-published-at="1594060424" data-use-pagination="False"> Sos pubblico impiego, tra 12 mesi più pensionati che dipendenti attivi
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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Silvia Salis (Imagoeconomica)