2023-05-01
«La retorica del conflitto tra imprenditori e operai non ha riscontri nel Paese»
Il capo di Coldiretti Ettore Prandini: «Da noi molte aziende sono familiari, specie nel mondo agricolo: il rapporto coi dipendenti è di collaborazione. E i giovani sono sempre più qualificati».«La Festa del Lavoro dovrebbe essere rivista in chiave più moderna. È giusto festeggiare i lavoratori, però andrebbe allargata la prospettiva. Il 1° Maggio dovrebbe diventare la festa di tutti, non solo di una parte del lavoro. Questo significa superare la narrazione di una contrapposizione tra imprenditore e operaio. Una Giornata del confronto, della collaborazione, superando il carattere ideologico. Questa è la sfida vera».Significa dare al 1° Maggio un salto di qualità, rendendolo più vicino alla realtà attuale?«È proprio così. Occorre superare una narrazione che appartiene al passato», afferma il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini. «Le tipologie di imprese che operano nel nostro Paese, nei vari settori e quindi anche nell’agricoltura, sono soprattutto a carattere familiare e tante volte le figure imprenditoriali non vengono valorizzate come meriterebbero. Questo non significa spostare l’attenzione rispetto ai dipendenti ma dare una giusta attenzione anche a chi genera e valorizza il lavoro. Il dibattito spesso ruota attorno alla contrapposizione tra il datore di lavoro e il lavoratore dipendente ma non rispecchia la realtà».È una visione delle dinamiche del lavoro, superata?«Senza dubbio. E lo vediamo nel mondo agricolo dove molte aziende sono a carattere familiare e si crea un rapporto tra il datore di lavoro e i dipendenti che è di collaborazione, di solidarietà rispetto a quelli che possono essere i bisogni reciproci. Nel comparto agricolo noi siamo stati i primi a creare una forma di integrazione vera con i dipendenti che provenivano da altri Paesi. Oltre al loro impiego, c’è un tema di ospitalità. Gran parte di queste persone vivono in alloggi che vengono messi a disposizione dalle stesse imprese agricole. Il rapporto che si crea è completo, perché va oltre il tema datoriale».È cambiata la figura dell’operaio?«Andrebbe superato il dogma della contrapposizione tra l’imprenditore e l’operaio, della lontananza tra chi è proprietario dell’impresa e chi è dipendente, rimettendo al centro il tema della collaborazione, con una valorizzazione della figura dell’operaio. In un’azienda c’è più solidarietà di quello che si possa pensare. Se si vuole fare una vera comunità legata dal lavoro, è necessario l’avvicinamento delle varie figure che sono impegnate all’interno della stessa impresa, non estremizzandole».Quali altri temi dovrebbero far parte della narrazione del 1° Maggio?«Se guardiamo alle problematiche c’è il tema dell’integrazione dei lavoratori provenienti dall’estero. La sfida è di iniziare a lavorare con i Paesi di provenienza dei flussi, in modo strategico. Significa fare pre formazione nei luoghi di partenza, dando già basi per la lingua italiana e alcune tipologie di lavoro, così da gestire meglio l’impiego di tali persone. Poi dare continuità ai flussi. La Germania lo fa da anni e funziona bene perché i lavoratori tornano nelle stagioni successive e non devono essere formati ogni volta. Nella Giornata del Lavoro bisognerebbe insistere sul tema della formazione, che dovrebbe essere continua e costante anche per i nostri connazionali, oltre il periodo scolastico. Nel settore agricolo l’evoluzione che avremo nella robotica, nella gestione dei dati e nelle attrezzature, richiede un aggiornamento costante delle conoscenze».Quali sono le problematiche di un giovane agricoltore?«Sicuramente la maggiore incertezza rispetto alla redditualità. Sono convinto che i giovani sono molto qualificati e preparati e faranno fare alla agricoltura un salto in termini qualitativi rilevante. Il settore vive un momento particolare. Nel 2022 c’è stato un saldo negativo di -3.363 realtà anche per effetto del mix dell’aumento dei costi e del cambiamento climatico che ha decimato i raccolti. Eppure il settore agricolo sale sul podio con un totale di quasi 722.000 imprese attive, dopo commercio e costruzioni. In Italia più di un’impresa su dieci è attiva in agricoltura e impiega circa 2 milioni di persone tra autonomi e dipendenti. Ma in questo momento, a causa della siccità, oltre un terzo delle aziende agricole, il 34%, è costretta a lavorare in una condizione di reddito negativo mentre il 13% è in una condizione così critica da portare alla chiusura».
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