2019-10-03
La Regione Emilia Romagna regala 100.000 euro al super festival pro gender
Dal 23 ottobre al 3 novembre Bologna ospiterà la grande manifestazione ideata dall'Arcigay. Tra porno attivisti e spettacoli sui trans, pura propaganda Lgbt.Pure il marito del renziano De Giorgi ha messo le radici in un ministero. Dopo l'assunzione del fondatore di «Gay.it» nell'entourage di Teresa Bellanova, anticipata dalla «Verità», anche il compagno, un giovane moldavo, si sistema: sarà social media manager del ministro Elena Bonetti.Lo speciale comprende due articoli. Prometto una «edizione choc». Una serie di eventi «radicale per la libertà, la franchezza e l'apertura con cui guarda al contemporaneo, osservando in modo aperto, schietto e diretto le grandi contraddizioni di oggi». Il titolo della edizione del festival Gender Bender, in programma a Bologna dal 23 ottobre al 3 novembre, è appunto «Radical Choc». Ma l'unica cosa davvero choccante è il contributo economico che la Regione Emilia Romagna (cioè i contribuenti) versa all'Arcigay Cassero per organizzare il baraccone: 100.000 euro a fronte di 283.000 euro di costo complessivo del progetto. Altri soldi, molto probabilmente, arriveranno dal Comune di Bologna e pure dal ministero dei Beni culturali, che negli anni passati non hanno mai fatto mancare denari alla manifestazione simbolo della propaganda Lgbt. Dal comunicato stampa ufficiale apprendiamo che «Gender Bender è prodotto dal Cassero Lgbti center ed è realizzato con il contributo di Regione Emilia Romagna, Comune di Bologna, ministero per i Beni e le attività culturali, Coop Alleanza 3.0, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Legacoop Bologna, fondazione Unipolis, Granarolo» e altri. Sono previsti oltre 120 appuntamenti, tra feste, spettacoli teatrali, film, incontri e pure «proiezioni per le scuole» (così recita il volantino pubblicitario). Lo spettacolo teatrale Stereotypes Game dell'israeliana Yasmeen Godder, per esempio, invita ragazzi e ragazze a rileggere in maniera critica «gli stereotipi di genere». Il film Little Miss Westie, invece, racconta la storia di due bambini transgender. Mentre, al piccolo teatro del Baraccano, «l'artista e porno-attivista Slavina legge brani tratti dal libro dello scrittore cileno Pedro Lemebel». Ad aprire le danze, il 7 ottobre, sarà la scrittrice e attivista Eve Ensler, autrice dei Monologhi della vagina. Presenterà il suo nuovo libro Chiedimi scusa (Il Saggiatore), un'invettiva abbastanza feroce contro la mascolinità tossica e violenta. E il bello è che, in tutto il carrozzone, la Ensler è senz'altro la più moderata. C'è poco da scandalizzarsi, tuttavia. Intanto perché agli eventi di queste genere ormai siamo abituati. E poi, in fondo, gli attivisti Lgbt possono fare tutti gli spettacoli che vogliono. Il problema è che non dovrebbero mettere in piedi una gigantesca macchina di propaganda con i denari pubblici e dovrebbero evitare di fare indottrinamento nelle scuole. «Mi piacerebbe dire che sono stupito», sospira Galeazzo Bignami, onorevole bolognese di Fratelli d'Italia. «La verità è che non lo sono affatto. Far parte del mondo Lgbt è un privilegio. Ti dà la possibilità di avere sedi senza bando, per esempio. È proprio il caso del Cassero, a cui i bolognesi per altro pagano acqua, luce e gas. Fino a poco tempo fa i cittadini pagavano anche l'affitto, ma grazie a una nostra battaglia almeno quello non è più sulle spalle dei bolognesi». Bignami si occupa da anni della questione, e snocciola i finanziamenti che sono partiti dalle casse pubbliche a beneficio del Cassero per il Gender Bender festival. Nel 2015 sono arrivati 55.000 euro dalla Regione e 25.054 dal ministero dei Beni culturali. Nel 2016 86.000 euro dalla Regione e 26.807 euro dal ministero. Nel 2017 sempre 86.000 dalla Regione e 28.683 dal ministero. Cifre confermate anche nel 2018: 86.000 euro dalle Regione e 30.117 dal Mibact. Per il 2019, la sola Regione sborsa ben 100.000 euro. Una parte di questi denari verranno utilizzati per la propaganda a livello scolastico. «Il gender», dice Bignami, «in Emilia non solo è la normalità, ma è il cardine principale su cui certe politiche si sviluppano. In questa regione si punta allo sradicamento del concetto stesso di famiglia. Qui c'è l'epicentro di questo pensiero». Non per nulla, il Cassero collabora anche con il Comune di Ravenna per un progetto rivolto a elementari e medie il cui scopo è aiutare i bimbi a superare «stereotipi e pregiudizi». Una bella rieducazione gender, dunque. Solo che certe cose è pericoloso persino dirle, in una Regione che ha appena approvato la legge bavaglio contro la omotransnegatività al fine di ridurre al silenzio ogni voce dissonante. Criticare è proibito, dunque. In compenso i pasdaran Lgbt possono fare quello che desiderano. «Tra gli spettacoli previsti per il festival», nota Umberto La Morgia, consigliere comunale leghista di Casalecchio di Reno, «ce n'è uno si chiama Gioco di stereotipi. Viene descritto in questo modo: “I ruoli maschili e femminili sono così mescolati, esagerati e annacquati affinché si possano riconoscere i pregiudizi e il loro ruolo discriminatorio nella società e nel mondo della danza". Maschio e femmina, quindi, non sono più sessi, e nemmeno generi, ma solo goffi stereotipi discriminatori da annacquare e magari ridicolizzare. Spettacolo rivoltò ad un target di età a partire dai 12 anni...». La Morgia dice una cosa saggia: «Questi estremismi non vanno di certo a favore dell'immagine e dell'inclusione delle persone libere e di buonsenso, di qualunque orientamento affettivo». Ecco il punto: baracconate come il Gender Bender non servono a eliminare le discriminazioni. Sono utili soltanto a diffondere un'ideologia che si fa sempre più aggressiva, e che viene imposta a bambini e ragazzi di età sempre più tenera. Ovviamente gli attivisti di Arcigay parlano di libertà e di diritti, si riempiono la bocca di splendidi concetti. Ma l'unica libertà che esercitano è quella di propagandare il loro discutibile pensiero a spese dei contribuenti. E hanno pure la pretesa di essere innovativi e choccanti. Più che altro, a dirla tutta, mettono una grande tristezza. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-regione-emilia-romagna-regala-100-000-euro-al-super-festival-pro-gender-2640820394.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pure-il-marito-del-renziano-de-giorgi-ha-messo-le-radici-in-un-ministero" data-post-id="2640820394" data-published-at="1757939858" data-use-pagination="False"> Pure il marito del renziano De Giorgi ha messo le radici in un ministero Beata la renzianissima famiglia De Giorgi, in tandem al governo. Non capita spesso di vedere coppie talmente ben assortite, come quella formata dal cinquantenne Alessio De Giorgi e il ventiduenne Nicolae Galea, da riuscire a inanellare ruoli professionali di alto livello, per giunta al fianco di ministri dello stesso esecutivo. Il primo, come anticipato nei giorni scorsi dalla Verità, dopo un excursus di alti e bassi in bilico tra le istanze dei gay e la scalata nella comunicazione del Pd allora renziano, è finito nell'entourage del ministro dell'agricoltura Teresa Bellanova per 80.000 euro l'anno. Il secondo, di origini moldave, invece, è appena diventato social media manager del ministro per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti. Ce lo confermano dall'ufficio stampa della titolare del dicastero, senza però darci ragguagli sul compenso o sulla tipologia del contratto, che secondo la prassi, dovrebbe apparire nella sezione amministrazione trasparente del sito del governo entro uno o due mesi. Galea «è stato scelto dalla ministra per il ruolo di esperto di social media», ci chiariscono via mail. «Del suo contratto, in via di definizione, sarà data notizia come di prassi appena concluso l'iter previst». Andando a guardare la media dei compensi di chi ha avuto la stessa mansione nei precedenti governi, potrebbe prendere dai 10 ai 50.000 euro, ma alcuni burocrati di Palazzo Chigi ci spiegano che sta alla decisione del ministro la cifra degli stipendi dei collaboratori di questo genere. Detto ciò, è presumibile che per ora stia collaborando senza percepire alcunché, ma dai suoi post su Instragram si deduce la sua soddisfazione nel fare questo nuovo lavoro, con tutte le attestazioni sociali che ne conseguono. Ma sulla base di cosa è stato scelto per il delicato incarico di gestore delle pagine social? Spulciando il suo curriculum viene fuori il profilo di un appassionato totale di Matteo Renzi, una vera sentinella della causa dell'ex Rottamatore, un fedelissimo talmente incrollabile da ricevere, dalle mani dello stesso «senatore semplice», il premio di militante più attivo. Accadeva nell'aprile del 2017 in occasione delle primarie del Pd, quando era Galea a mobilitare le truppe renziane contro gli sfidanti Andrea Orlando e Michele Emiliano. Ha anche portato avanti delle battaglie politiche da giovane dem laziale, come quella contro lo ius soli, reputandolo non opportuno «in questo contesto storico-sociale» (era sempre 2017). Nell'ottobre di quell'anno arriva la svolta personale, quando corona il romantico sogno d'amore sposando appunto De Giorgi, 28 anni più di lui, che in quel momento era il responsabile della comunicazione digitale del Partito democratico. Da lì l'ascesa e Galea giunge nell'olimpo, nei palazzi che contano, quelli del potere. Nel gennaio del 2018 viene scelto come collaboratore dal senatore Andrea Marcucci, attuale capogruppo del Pd al Senato, che se è vero che non ha seguito Renzi nel nuovo partito Italia viva, per sua stessa ammissione resta amico di Renzi e comunque all'epoca della collaborazione di Galea erano vicinissimi. Dopo questa esperienza il giovane di belle speranze e carattere fumantino, passa al Parlamento europeo come collaboratore prima di Nicola Danti (Pd) per la campagna elettorale e poi come assistente di Alessandra Moretti. La permanenza a Bruxelles dura quasi due anni e mezzo e poi nel gennaio di quest'anno viene chiamato da Anna Ascani, oggi viceministro dell'Istruzione, per seguire la sua campagna elettorale per le primarie pd. Quasi in contemporanea ha collaborato con Alessia Morani, attuale sottosegretario allo Sviluppo economico del governo giallorosso, e poi con la senatrice Simona Malpezzi, che adesso è sottosegretario ai rapporti con il Parlamento. E adesso, come dicevamo all'inizio, dirige la parte social della comunicazione di Bonetti, che ha tributato con un post all'indomani del giuramento: «Buon lavoro Elena Bonetti! Persona giusta al ministero giusto», mettendo in luce l'anima arcobaleno del nuovo ministro. Per meglio inquadrare Galea abbiamo dato uno sguardo alla sua pagina Facebook e, a parte la fede renziana, ci siamo resi conto di altri piccoli dettagli. In primis il suo odio per Matteo Salvini, e poi la scarsa simpatia per Luigi Di Maio, azionista dell'attuale governo Conte, che Galea prendeva in giro per la storia dei voli aerei con i biglietti in economy e il posto in business. Critiche severe anche su Gianni Cuperlo e Maurizio Martina, che secondo lui non sono capaci di fare le dirette social. Tra i vezzi del ragazzo, inviare lettere. Ma mica alla vicino di casa, per carità, ma al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Era accaduto nell'agosto del 2018, quando con la missiva, che era anche una petizione, voleva esprimere al capo dello Stato la sua apprensione per i migranti. Quella dei profughi è una causa che seguiva fin dalla sua collaborazione con l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nel 2015, prima di diplomarsi all'istituto tecnico industriale. Da notare, per concludere, anche le sue amicizie femminili tra i millennial dem (ragazze laureate in costose università private e munite di borse di Hermes), e i suoi viaggi negli Stati Uniti al fianco di De Giorgi.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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