
Neanche il mondo animale sfugge alle fake news, con leggende che sopravvivono da millenni. È falso che i pipistrelli siano ciechi. Plinio il Vecchio scrisse che gli struzzi nascondono la testa sotto la sabbia: una balla, come quella delle lacrime di coccodrillo.Nemmeno il mondo degli animali sfugge alle fake news. E alcune false credenze, nonostante siano frutto di pura fantasia, sono ormai note in tutto il mondo. Uno dei miti più duri a morire? Gli struzzi, quando si sentono minacciati, infilano la testa nella sabbia. Nessuno ha mai visto uno struzzo fare una cosa così assurda, ma lo scrittore romano Plinio il Vecchio ne ha scritto 2.000 anni fa, e la leggenda sopravvive a due millenni di smentite. Il pennuto in realtà, quando se la vede brutta, ha una reazione molto più assennata: si butta per terra e si finge morto.Altrettanto famosa la leggenda secondo cui i cammelli conservano l'acqua nelle loro gobbe. È vero che cammelli possono sopravvivere sette giorni senza bere. Ma non perché ne trasportino riserve dentro le gobbe, bensì perché hanno grandi globuli rossi ovali che mantengono l'ossigenazione degli organi e un apparato renale di prim'ordine. Le gobbe servono ad altro: sono cumuli di grasso utili a fornire energia al posto del cibo.Altra credenza dura a morire: i pipistrelli si impigliano nei capelli. Uno zoologo americano di nome Merlin Tuttle, che ha dedicato la vita a studiare questi mammiferi volanti, dice di non essere mai riuscito a far impigliare un pipistrello nei suoi capelli: ha provato a prendere i pipistrelli in mano e poi ad appoggiarseli sulla testa, ma quelli proprio non volevano starci, non si impigliavano, e volavano via. Il famoso naturalista Desmond Morris dice che la leggenda potrebbe essere nata quando nelle vecchie fattorie i pipistrelli, se riuscivano a entrare, si accomodavano poi sulle volte, appesi a testa in giù: i piccoli stavano aggrappati al pelo delle loro madri, ma ogni tanto qualcuno poteva cadere sulla testa delle persone sottostanti. Dei pipistrelli si dice pure che siano ciechi. Altra balla. Molti pipistrelli usano l'ecolocalizzazione per orientarsi, ma tutti hanno piccoli occhi perfettamente funzionanti. Il modo di dire «sei cieco come un pipistrello» non ha dunque fondamento. Come tante altre fake news bestiali usate come metafore di certi comportamenti umani. Ad esempio quando qualcuno si finge dispiaciuto diciamo che «piange lacrime di coccodrillo». Perché il coccodrillo dopo aver divorato una preda lacrima. Ma il pentimento per il pasto non c'entra nulla: l'animale espelle semplicemente l'eccesso salino intorno agli occhi. Molte persone, poi, si tengono alla larga dai rospi perché convinte che questi animali dalla pelle bozzuta possano attaccare le verruche. In realtà le verruche si prendono solo entrando in contatto con altre persone che ce l'hanno: il papillomavirus che le trasmette è unicamente umano.Celebre anche la credenza secondo cui i tori odiano il rosso, e sarebbe questo il motivo per cui si avventano sul torero che sventola un drappo rosso davanti al loro muso. In realtà il toro non riesce neanche a distinguere il rosso, né alcun altro colore. Nella sua retina non ci sono i coni, dunque vede in bianco e nero. Perché allora attacca il torero? Perché prima di farlo scendere nell'arena gli organizzatori della corrida lo fanno innervosire.Un'altra assurdità data per buona da tanti riguarda i lemming: quando sono troppi, dice la leggenda, si suicidano in massa gettandosi in acqua. È vero che i piccoli roditori sono soggetti a ciclici boom demografici, dovuti a vari fattori come la disponibilità di cibo. E questo, specie in Svezia e Finlandia, spinge alcuni gruppi a lasciare le montagne dove vivono di preferenza per cercare nuove sistemazioni. Quando un gruppo incontra un corso d'acqua, nella ressa alcuni animali finiscono per caderci, e poiché i lemming non sono grandi nuotatori molti affogano e vengono poi ritrovati sulla riva. Nasce da qui, probabilmente, la leggenda del suicidio. Ma come ha spiegato il biologo Gordon Jarrell, «sono molti i lemming che sopravvivono e fondano colonie in luoghi in cui non ci si aspetterebbe affatto di trovare questi roditori»: un comportamento tutt'altro che autodistruttivo. Un altro mito duro a morire? Gli squali possono percepire una goccia di sangue in una piscina olimpionica. Anche se l'olfatto di uno squalo è estremamente acuto, non è migliore di quello di altri pesci: «Da quello che sappiamo, non è vero che possono sentire l'odore di una goccia di qualsiasi cosa in una piscina olimpionica», ha chiarito Tricia Meredith, biologa alla Florida Atlantic University di Boca Raton. Eppure, per via di questo mito, ci sono donne che non fanno il bagno con il ciclo per timore di attirare branchi di squali a banchettare: è vero che i fluidi corporei possono, a una distanza ragionevole, essere sentiti da squali e altri animali, ma uno squalo abbastanza vicino da percepire una quantità così contenuta di sangue saprebbe già della presenza della bagnante perché la vede e perché avverte il suo campo elettrico.E non sarebbe comunque scontato che la aggredisca. Dai database sugli attacchi non si deduce alcuna preferenza per le donne con il ciclo, mentre spicca il fatto che il 90 per cento delle vittime sia di sesso maschile. A volte anche i film aiutano a diffondere fake news bestiali. Una fra tutte, legata a L'era glaciale, è la convinzione che gli opossum dormano pendendo dalla propria coda. In realtà, nonostante usino la possente coda con molta agilità, il loro peso non gli permetterebbe di rimanere a testa in giù per più di pochi istanti. Alcune leggende, poi, sembrano essere state inventate per rendere meno triste l'esistenza in cattività degli animali: la memoria di tre secondi attribuita al pesce rosso potrebbe regalare all'animale una nuova avventura ogni volta che fa un nuovo giro nella sua boccia. Ma anche questo mito è stato sfatato: come hanno dimostrato i ricercatori canadesi della MacEwan University, i ricordi dei pesci rossi durano per giorni e giorni.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
Un mio profilo è stato cancellato quando ho pubblicato dati sanitari sulle pratiche omoerotiche. Un altro è stato bloccato in pandemia e poi eliminato su richiesta dei pro Pal. Ne ho aperto un terzo: parlerò dei miei libri. E, tramite loro, dell’attualità.
Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi. Facebook è gratis, come Greta è pro Lgbt, pro vax, anzi anti no vax, e pro Pal. Se sgarri, ti abbatte. Il mio primo profilo Facebook con centinaia di migliaia di follower è stato cancellato qualche anno fa, da un giorno all’altro: avevo riportato le statistiche sanitarie delle persone a comportamento omoerotico, erroneamente chiamate omosessuali (la sessualità è una funzione biologica possibile solo tra un maschio e una femmina). In particolare avevo riportato le statistiche sanitarie dei maschi cosiddetti «passivi».






