
Domani, in vista del Consiglio europeo, Giuseppe Conte andrà in Aula per fingere che sul salva Stati sia ancora possibile trattare. In realtà è tutto già deciso, tranne i dettagli. Ma parte del M5s non abbocca: Gian Luigi Paragone primo a sfilarsi.C'è una soglia oltre la quale, continuando a ripetere la stessa bugia, anche chi la racconta finisce per convincersi di aver detto la verità. Sembra questa la condizione psicopolitica del quadripartito giallorosso sul Mes. Non solo La Verità, per più giorni consecutivi, ma lo stesso presidente dell'eurogruppo, il portoghese Mario Centeno, prima e dopo la riunione della scorsa settimana, ha messo le cose in chiaro, in modo ruvido e perfino mortificante per l'Italia. In sintesi: nessun rinvio sostanziale, ma solo l'apposizione finale della firma entro il primo trimestre del 2020 (esattamente com'era previsto da tempo); nessuna modifica all'architettura della riforma del fondo (come delineata e approvata nel giugno scorso); spazi residui di trattativa - molto limitati - solo per la normativa sussidiaria e di dettaglio. Eppure il ministro Roberto Gualtieri, accompagnato da un coretto mediatico, ha veicolato l'idea di un negoziato ancora aperto. Ecco, a quest'ultima interpretazione di Gualtieri (che è una via di mezzo tra una fake news e una forma di autoconsolazione) si aggrapperà domani, in Parlamento, la maggioranza. È infatti previsto l'intervento del presidente del Consiglio, come sempre capita alla vigilia di un Consiglio europeo (in programma il 12 e il 13 di questo mese). E in casi del genere, dopo il discorso del premier e il relativo dibattito, vengono messe ai voti risoluzioni impegnative per il governo. Che faranno dunque Pd-Italia viva-Leu-M5s? Sembrano orientati a presentare un testo comune che utilizzerà, per uscire dall'imbarazzo, proprio l'escamotage di fingere che ci sia ancora qualcosa da trattare. Ecco la formula di uno degli impegni che saranno contenuti nella risoluzione della maggioranza, secondo le prime indiscrezioni: «Condizionare l'adozione di ogni decisione vincolante in merito alla revisione del Mes alla finalizzazione, ancora non conclusa, del suo processo di riforma attraverso la definizione delle regole e delle procedure delle clausole di azione collettiva evitando l'applicazione dei principi della single limb Cacs».Di che si tratta? Nella conferenza successiva all'Eurogruppo, l'altra settimana, Gualtieri si era a lungo soffermato su alcuni aspetti molto minuti della normativa di dettaglio, e sul suo tentativo (il cui esito sarà chiaro solo a gennaio) di ottenere una possibilità di subaggregazione dei titoli nella disgraziata ipotesi di una ristrutturazione. In termini ultrasemplificati: mentre adesso, per ristrutturare, occorre sia un voto dei detentori di ogni serie di titoli emessi sia un voto complessivo (double limb), con la riforma basterebbe un unico voto complessivo (single limb), bypassando più facilmente eventuali minoranze di blocco. Ecco, Gualtieri, spingendo per la subaggregazione di titoli simili, vorrebbe esplorare la possibilità di coinvolgere nell'eventuale voto soltanto i relativi detentori. Intendiamoci: si tratta di una cosa significativa, come ogni dettaglio in questo genere di procedure, ma pur sempre all'interno di uno scenario già devastante, cioè della ristrutturazione del debito di un Paese in crisi. E qui al danno si aggiunge pure la beffa. Il danno è rappresentato dall'architettura di fondo della riforma del Mes, che rende la ristrutturazione del debito non più una circostanza eccezionale, ma un evento più probabile e ordinario (il che è di per sé terrorizzante per un Paese ad alto debito come il nostro). La beffa è rappresentata dal fatto che, anziché rovesciare il tavolo ponendo il veto, adesso il governo sembra divertirsi masochisticamente a discutere sui dettagli dell'ipotesi più catastrofica, comportandosi (questo è il messaggio inevitabilmente trasmesso agli investitori) come se si trattasse di una eventualità concreta e seriamente presa in considerazione. Capite bene che sta proprio qui l'incaprettamento: concorrere al peggioramento delle aspettative degli investitori sui titoli italiani. E però, pur di cavarsi da un impaccio politico, anche i grillini sembrano pronti a dare il loro ok. Ieri mattina c'è stata una riunione di maggioranza (guidata dal ministro Enzo Amendola e con la sottosegretaria Laura Agea) nella quale i grillini avrebbero solo fatto presente la necessità di sottoporre il testo ai loro gruppi parlamentari. Ma tutti i passaggi più rilevanti della bozza, oltre a quello già citato, hanno il sapore dell'autoinganno. Ecco alcuni altri impegni: «Approfondire i punti critici» (e, a testo sostanzialmente approvato, non si capisce cosa voglia dire); escludere «interventi restrittivi sulla dotazione di titoli sovrani da parte di banche e istituti finanziari e comunque la ponderazione dei titoli di stato attraverso la revisione del loro prudenziale» (ma questa non era materia del trattato Mes); garantire «l'equilibrio complessivo dei diversi elementi al centro del processo di riforma dell'unione economica e monetaria» (altra frase vuota e retorica); citazione della ormai mitica «logica di pacchetto» (che non esiste più, visto che gli altri elementi diversi dal Mes sono stati rinviati); e infine «prevedere il pieno coinvolgimento del Parlamento in un'eventuale richiesta di attivazione del Mes». Quest'ultimo è il vertice della presa in giro: si chiede che, se verremo praticamente commissariati, il Parlamento sia almeno sentito. Come potranno i grillini approvare un testo del genere, una simile capitolazione? Lo scopriremo entro domani. Intanto, sentito dall'Huffington Post, si è coerentemente sfilato Gian Luigi Paragone, che ha testualmente definito la bozza «una raffinata presa in giro».
Leonardo
Il fondo è pronto a entrare nella divisione aerostrutture della società della difesa. Possibile accordo già dopo l’incontro di settimana prossima tra Meloni e Bin Salman.
La data da segnare con il circoletto rosso nell’agenda finanziaria è quella del 3 dicembre. Quando il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà al quarantaseiesimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), su espressa richiesta del re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Una presenza assolutamente non scontata, perché nella Penisola araba sono solitamente parchi con gli inviti. Negli anni hanno fatto qualche eccezione per l’ex premier britannica Theresa May, l’ex presidente francese François Hollande e l’attuale leader cinese Xi Jinping e poco altro.
Emmanuel Macron (Ansa)
Bruxelles apre una procedura sull’Italia per le banche e tace sull’acciaio transalpino.
L’Europa continua a strizzare l’occhio alla Francia, o meglio, a chiuderlo. Questa volta si tratta della nazionalizzazione di ArcelorMittal France, la controllata transalpina del colosso dell’acciaio indiano. La Camera dei deputati francese ha votato la proposta del partito di estrema sinistra La France Insoumise guidato da Jean-Luc Mélenchon. Il provvedimento è stato approvato con il supporto degli altri partiti di sinistra, mentre Rassemblement National ha ritenuto di astenersi. Manca il voto in Senato dove l’approvazione si preannuncia più difficile, visto che destra e centro sono contrari alla nazionalizzazione e possono contare su un numero maggiore di senatori. All’Assemblée Nationale hanno votato a favore 127 deputati contro 41. Il governo è contrario alla proposta di legge, mentre il leader di La France Insoumise, Mélenchon, su X ha commentato: «Una pagina di storia all’Assemblea nazionale».
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)
La celebre psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi: «È mancata la gradualità nell’allontanamento, invece è necessaria Il loro stile di vita non era così contestabile da determinare quanto accaduto. E c’era tanto amore per i figli».
Maria Rita Parsi, celebre psicologa e psicoterapeuta, è stata tra le prime esperte a prendere la parola sulla vicenda della famiglia del bosco.
La sede di Bankitalia. Nel riquadro, Claudio Borghi (Imagoeconomica)
Il senatore leghista torna sulle riserve auree custodite presso Bankitalia: «L’istituto detiene e gestisce il metallo prezioso in nome dei cittadini, ma non ne è il proprietario. Se Fdi riformula l’emendamento...»
«Mentre nessuno solleva il problema che le riserve auree della Bundesbank siano di proprietà dei cittadini tedeschi, e quindi dello Stato, come quelle della Banca di Francia siano di proprietà dei cittadini d’Oltralpe, non si capisce perché la Banca d’Italia rivendichi il possesso del nostro oro. L’obiettivo dell’emendamento presentato in Senato da Fratelli d’Italia, e che si ricollega a una mia proposta di legge del 2018, punta esclusivamente a stabilire il principio che anche Bankitalia, al pari delle altre Banche centrali, detiene e gestisce le riserve in oro ma non ne è la proprietaria». Continua il dibattito su misure ed emendamenti della legge di Bilancio e in particolare su quello che riguarda le riserve in oro.






